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Google: ottime trimestrali. 88,27 miliardi di ricavi contro previsioni a 86,44 miliardi di dollari
Buona la prima delle trimestrali tech negli USA. Alphabet corre cavalcando i buoni dati cloud.
Sono delle grandi trimestrali quelle di Google, trainate principalmente dal business cloud, per un terzo trimestre del 2024 che ha fatto registrare ricavi, EPS, revenue del cloud e anche della divisione advertising superiori alle aspettative. Per quanto riguarda i ricavi,, abbiamo 88,27 miliardi di dollari, contro gli 86,44 miliardi di dollari delle previsioni. EPS a 2,12$ contro 1,83$ delle aspettative. A stupire sono comunque i ritorni del settore cloud: 11,35 miliardi di dollari contro previsioni che vedevano il consenso a 10,79 miliardi di dollari. Dati che sono molto positivi anche rispetto al terzo trimestre del 2023.
Una situazione sul fronte cloud che si aspetta positiva anche per le altre due grandi sorelle del settore, ovvero Amazon e Microsoft – per le quali ci si aspettano dati altrettanto positivi. Tutto questo in un momento che molti analisti avevano descritto come eccessivamente delicato almeno rispetto alle aspettative.
La prima delle grandi trimestrali della settimana tech
Sarà una settimana importante per quanto riguarda il settore tech. Domani sarà il turno di Microsoft, e poi sarà il turno anche di Amazon e di Apple: trimestrali importanti per un settore tech che rimane la stella polare dei mercati finanziari globali e in particolare il termometro dell’andamento dell’economia USA. Per Apple ci si aspettano risultati migliori di quelli ventilati soltanto qualche settimana fa, complice una Cina che in termini di domanda per questo tipo di merci sembrerebbe aver messo di nuovo il turbo.
Buona la prima, verrebbe da dire, per una settimana certamente non per cuori deboli ma che si è aperta nel modo migliore possibile. Google tira, le altre dovrebbero essere quantomeno in scia. Domani la sentenza dei mercati, con i futures che sono titubanti per il solito bilanciamento tra necessità di tagli – confermata anche dai dati del mercato del lavoro – e possibilità di schivare una recessione.
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Sismabonus 2025, la detrazione passa al 50% sulla prima casa. E al 36% sulle altre
Dal prossimo anno il sismabonus cambia completamente volto. Scopriamo quali sono le principali novità previste e come impatteranno sui contribuenti.
La Legge di Bilancio 2025 ha messo mano ai bonus edilizi, che dal prossimo anno saranno, in molti casi, ridimensionati. In altri addirittura non sono stati confermati. La rivoluzione messa in atto dall’Esecutivo non ha tralasciato nemmeno il sismabonus.
Lo scorso 23 ottobre 2024 è stato presentato il testo del provvedimento: nel caso in cui i cambiamenti al sismabonus dovessero essere confermati, le agevolazioni previste per i contribuenti si andranno ad allineare con quelle previste – sempre per il 2025 – per l’ecobonus e il bonus ristrutturazioni.
Cosa significa tutto questo? Che molto semplicemente a partire dal prossimo anno la detrazione dovrebbe passare al 50% per gli interventi realizzati sulla prima casa e al 36% per quelli che vengono effettuati nei secondi immobili. Ad ogni modo, per sapere se queste novità diventino reali è necessario attendere che la Legge di Bilancio 2025 venga approvata definitivamente.
Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire quali siano le novità più importanti relative al sismabonus.
Sismabonus 2025, quali sono le novità previste nel 2025
Come è destinato a cambiare, nel corso del 2025, il sismabonus? Attraverso la Manovra 2025 il legislatore ha introdotto una serie di novità per gli interventi connessi con la riduzione del rischio sismico degli edifici: i contribuenti si devono aspettare un abbassamento delle aliquote.
Come abbiamo già ampiamente anticipato, le novità sono previste direttamente dalla Legge di Bilancio 2025, il cui disegno è stato presentato lo scorso 23 ottobre alla Camera dei Deputati.
L’articolo 16, commi da 1-bis a 1-septies del Decreto Legge n. 63/2013 prevede che le aliquote del sismabonus inizieranno a percorrere due binari diversi nel momento in cui i lavori siano stati realizzati tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre 2025. Entrando un po’ più nello specifico è previsto che:
- continui ad esserci un’agevolazione al 50% per gli interventi realizzati dai proprietari o titolari di diritti reali di godimento sull’unità che viene adibita ad abitazione principale;
- negli altri casi l’aliquota è al 36%.
In futuro sono previste delle ulteriori riduzioni. Nel 2026 e nel 2027, infatti, le aliquote scenderanno rispettivamente al 36% e al 30%.
Nel caso in cui le novità dovessero essere approvate nella formulazione definitiva della Manovra 2025, la riduzione delle aliquote legate al superbonus andranno ad impattare direttamente su alcune tipologie di interventi che, al momento, rientrano nel sismabonus. Stiamo parlando, in estrema sintesi:
- gli interventi che permettono di passare ad una o due classi di rischio inferiori;
- eventuali interventi che siano realizzati nelle parti comuni degli edifici condominiali;
- interventi che sono stati realizzati attraverso la demolizione e la ricostruzione di interi edifici. I lavori devono essere stati realizzati da dalle imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare. L’immobile deve essere venduto entro trenta mesi.
Sismabonus, il limite di spesa
Il limite di spesa per il sismabonus è fissato a 96.000 euro per i contribuenti che abbiano un reddito inferiore a 75.000 euro.
Nel caso in cui dovessero essere approvate le misure nella forma che sta circolando in questo momento – a differenza di quanto era previsto lo scorso anno – non è necessario un salto di classe sismica. Saranno sufficienti dei miglioramenti alla struttura dell’edificio.
Dal prossimo anno la riduzione delle aliquote delle detrazioni del sismabonus arriveranno in maniera molto netta. Per le spese che sono sostenute fino al prossimo 31 dicembre 2024 vengono applicate delle aliquote variabili che oscillano tra il 70% e l’85%. A condizionare quale percentuale viene applicata è il miglioramento della classe di rischio sismico, un requisito che a partire dal 2025 non più richiesto.
Volendo tirare le somme di quanto sta accadendo, è possibile affermare che le agevolazioni previste dai vari bonus edilizi saranno appiattite. Le aliquote previste per il sismabonus sono comuni a quelle per l’ecobonus e per il bonus ristrutturazione.
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Sciopero portuali Usa della costa orientale in vista, le aziende si organizzano per salvare le scorte
Il timore di un nuovo sciopero nella costa orientale statunitense dei portuali mette in allarme le aziende, che si attrezzano per evitare di rimanere senza magazzino.
L’economia statunitense, nel 2025, è destinata ad essere condizionata da un nuovo sciopero. Questa volta ad incrociare le braccia potrebbero essere, di nuovo, i lavoratori dei porti della costa orientale e del Golfo – dai quali gli spedizionieri si stanno tenendo alla larga -. Complessivamente sono 45.000 i lavoratori portuali intenzionati a fermarsi nel caso in cui il loro leader sindacale non dovesse riuscire a stipulare il nuovo contratto con il datori di lavoro entro la scadenza del 15 gennaio 2025.
L’associazione dei datori di lavoro United States Maritime Alliance (USMX) e il sindacato International Longshoremen’s Association (ILA) erano riusciti a far cessare uno sciopero di tre giorni indetto ad ottobre con un accordo provvisorio sui salari. Era rimasta insoluta, però, la spinosa questione relativa all’automazione portuale.
Ma vediamo un po’ cosa sta accadendo e quali sono le potenziali conseguenze di questo nuovo sciopero.
Nuovo sciopero in vista dei portuali
Chris Peterson – CEO di Newell Brands (NWL.O), produttore di seggioloni Graco e pentole Crock-Pot – spiega che quello di cui ritengono aver bisogno nella seconda metà di gennaio, lo stiamo dirottando sulla costa occidentale Peterson aggiunge che l’azienda ha provveduto a trasferire un paio di centinaia di container di materiali essenziali sulla costa opposta per anticipare quello che, secondo lui, potrebbe essere un secondo sciopero della durata massima di due settimane.
L’accordo del 3 ottobre tra ILA e USMX ha garantito ai lavoratori un aumento salariale di circa il 62% in sei anni e ha riavviato il lavoro in 36 porti interessati, che gestiscono circa la metà del commercio oceanico degli Stati Uniti.
Tra i problemi contrattuali ancora in sospeso c’è l’automazione, un punto cruciale nelle negoziazioni, in quanto i sindacati la ritengono una perdita di posti di lavoro, mentre le aziende la vedono come una via per ottenere maggiori profitti.
Harold Daggett, leader sindacale dell’ILA, vorrebbe che i datori di lavoro abbandonassero i progetti di automazione che potrebbero mettere a repentaglio i posti di lavoro, nonostante la preoccupazione che i porti statunitensi possano restare indietro rispetto ai principali concorrenti globali che stanno abbracciando la tecnologia.
Sebbene venerdì il sindacato abbia dichiarato di voler tornare al tavolo delle trattative, molti spedizionieri sono scettici sul fatto che si possa raggiungere un accordo senza interrompere nuovamente i lavori nei porti chiave come New York, New Jersey, Houston e Savannah.
Mike Steenhoek, direttore esecutivo della Soy Transportation Coalition, teme che gli Usa possano ritrovarsi nella stessa situazione di poche settimane fa.
Salvatore Stile, fondatore della società di spedizioni Alba Wheels Up International con sede a New York, stima il rischio di un secondo sciopero al 60-70% e afferma che anche i suoi clienti stanno evitando i porti della costa orientale. Stile sottolinea che il problema principale è sempre stata l’automazione, non i soldi. Penso che diventerà dura.
Come verrà contrastato lo sciopero
La Newell, con sede ad Atlanta, sta nuovamente deviando le merci, dopo aver fatto in modo che centinaia di container pieni di articoli fabbricati in Asia arrivassero ai porti della costa occidentale anziché alle strutture della costa orientale a partire da ottobre.
I volumi nei porti dominanti della costa occidentale di Los Angeles e Long Beach hanno toccato nuovi massimi record quest’estate, quando aziende come Costco e Levi Strauss hanno cambiato costa o spostato merci extra prima della scadenza del contratto originale, il 30 settembre.
Secondo Mirko Woitzik, direttore globale dell’intelligence per Everstream Analytics, a tre settimane dalla fine dello sciopero di ottobre il numero totale di navi portacontainer in attesa è di 31, rispetto alle 54 del giorno successivo alla fine dello sciopero.
I rivenditori hanno probabilmente salvato il Natale affrettando l’arrivo delle merci. Tuttavia, gli effetti a catena dello sciopero hanno avuto degli effetti negativi in tutto il paese.
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Volkswagen, gli utili sono crollati del 42% nel terzo trimestre. E si parla di chiusure in Germania
Nel terzo trimestre 2024 gli utili di Volkswagen sono letteralmente crollati, mettendo in dubbio il futuro della stessa azienda.
Gli utili del terzo trimestre di Volkswagen sono calati del 42%, raggiungendo il livello più basso degli ultimi tre anni. La divisione automobilistica dell’azienda è alle prese con dei costi elevati e una domanda debole in Cina. I problemi maggiori si registrano in Germania, dove si corre il rischio di potenziali chiusure di stabilimenti.
In queste settimane Volkswagen sta affrontando una vera e propria battaglia con il sindacato, dato che ha allo studio una revisione pianificata che, per la prima volta nel corso dei suoi 87 anni di storia, prevede la chiusura di alcuni stabilimenti in Germania. Questo è il motivo per il quale i colloqui tra Volkswagen e il sindacato tedesco IG Metal saranno realmente tesi, anche perché il presidente del consiglio d’azienda ha minacciato di interrompere i colloqui e indire nuovi scioperi.
Volkswagen, i risultati sono deludenti
Deludenti i risultati di Volkswagen, che hanno messo in evidenza come il rendimento operativo delle vendite nel settore delle autovetture sia sceso al 2% dal 3,4% nei primi nove mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2023.
Arno Antlitz, responsabile finanziario del gruppo automobilistico, ha spiegato che questo mette in evidenza l’urgente necessità di significative riduzioni dei costi e di guadagni di efficienza.
Il mercato automobilistico europeo si è ridotto di circa 2 milioni di veicoli dall’inizio della pandemia: ogni anno Volkswagen vende qualcosa come 500.000 unità in meno ogni anno. I principali concorrenti – come Tesla e le case automobilistiche cinesi che offrono modelli più economici – hanno guadagnato quote di mercato in Europa.
Volkswagen, invece, ha perso delle quote di mercato in Cina, perché le case automobilistiche locali offrono modelli più economici. La situazione è stata aggravata dall’economia cinese, che ha rallentato a causa della crisi immobiliare.
Le consegne di Volkswagen in Cina, il più grande mercato automobilistico del mondo, sono diminuite del 15% a 711.500 veicoli nel terzo trimestre. Ciò ha trascinato verso il basso la cifra globale, che è scesa a 2,176 milioni di veicoli.
Il direttore finanziario Antlitz ha affermato che un aspetto positivo nei guadagni di Volkswagen è stato il miglioramento degli ordini in Europa occidentale tra luglio e settembre, con l’immissione graduale di nuovi modelli sul mercato, che ha fornito un impulso positivo per l’ultimo trimestre.
L’EBIT è sceso a 2,86 miliardi di euro nel periodo luglio-settembre, ampiamente in linea con la stima media di LSEG di 2,80 miliardi di euro.
Come si muovono le azioni Volkswagen
Da inizio anno, le azioni Volkswagen hanno perso circa un quinto, con una performance inferiore al calo del 10% registrato dall’indice automobilistico paneuropeo.
A settembre, la principale casa automobilistica europea ha tagliato le sue previsioni annuali per la seconda volta in meno di tre mesi, unendosi ai rivali BMW e Mercedes-Benz nel segnalare le difficoltà.
Proprio oggi i sindacati hanno annunciato dei potenziali scioperi alla Volkswagen, a meno che la casa automobilistica non sia disposta a escludere la chiusura degli stabilimenti dal suo piano di ristrutturazione, mentre le due parti si scontrano per la seconda volta su salari e potenziali chiusure di fabbriche.
Thorsten Groeger, capo negoziatore del potente sindacato IG Metall, ha affermato che i lavoratori si aspettano un futuro per tutti i siti tedeschi grazie alla ristrutturazione, che potrebbe essere la più grande nella storia recente dell’azienda.
Daniela Cavallo, presidente del consiglio aziendale, all’inizio di questa settimana ha minacciato di interrompere i colloqui, affermando che la dirigenza della Volkswagen aveva posto fine a un approccio consensuale consolidato nei rapporti con i lavoratori.
La dirigenza sostiene che gli stabilimenti tedeschi sono molto più costosi da gestire rispetto alla concorrenza, a causa degli elevati costi per i lavoratori e per l’energia, mentre il mercato automobilistico europeo si è ridotto rispetto ai livelli pre-pandemia e la domanda, un tempo robusta, in Cina è diminuita.
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Energia rinnovabile, investimenti in bilico in attesa dell’esito del voto statunitense
Riflettori puntati sull’energia rinnovabile, segmento nel quale gli investimenti rimangono in bilico in attesa dell’esito delle elezioni Usa.
Il settore dell’energia rinnovabile attraversa un periodo di incertezza, determinato, prima di tutto, dal ritiro degli investitori, i quali si ritrovano ad affrontare una serie di dubbi e perplessità determinate dalle imminenti elezioni negli Stati Uniti, che oltre a portare maggiore cautela, hanno convinto gli investitori a puntare unicamente a poche selezionate azioni.
Nel biennio 202-2021 il segmento dell’energia rinnovabile ha raggiunto valutazioni da bolla: alcuni importanti fondi si sono riversati sul mercato, attratti dal calo dei costi di sviluppo. Da quel momento i guadagni sono stati condizionati da alcuni fattori, tra i quali ricordiamo la concorrenza cinese nel settore delle energie rinnovabili, una ripresa dei rendimenti dell’energia convenzionale e alcuni problemi strutturali per le fonti rinnovabili, che sono stati condizionati dall’interruzione della catena di approvvigionamento e dalla carenza di connessioni alla rete.
Energia rinnovabile, cosa sta accadendo negli Usa
L’Inflation Reduction Act (IRA) negli Stati Uniti si è rilevato uno dei più importanti stimoli per chi avesse intenzione di investire nell’energia rinnovabile. La politica è stata adottata trasversalmente dai due principali orientamenti politici statunitensi, cosa che porta a ritenere che i benefici potrebbero continuare.
Alcuni osservatori, ad ogni modo, ritengono che il ritorno alla presidenza di Donald Trump possa incanalare i finanziamenti verso i combustibili fossili, avendo già promesso ulteriori trivellazioni petrolifere. Al contrario un’eventuale vittoria della democratica Kamala Harris potrebbe essere importante per ripristinare le energie rinnovabili. Ma anche se si dovesse verificare questa eventualità, non è detto che ci possa essere lo stesso boom del 2020-2021.
Will McIntosh-Whyte, gestore di fondi presso Rathbones Asset Management nel Regno Unito, spiega che i tassi stanno scendendo: questo, però, non risolve i problemi di concorrenza o la domanda del mercato finale, che è ancora presente, anche se con una traiettoria di crescita inferiore rispetto a prima.
I fondi di energia alternativa hanno registrato deflussi netti per 17 mesi consecutivi, la serie di perdite più lunga sui dati Lipper risalenti a settembre 2019. Finora nel 2024, gli investitori hanno ritirato più di 11 miliardi di dollari, portando gli asset a 54,2 miliardi di dollari. Durante il boom del 2021 a questo punto dell’anno, gli afflussi netti hanno superato i 29 miliardi di dollari.
In 12 mesi, il ritiro ha comportato un calo del 28% nel numero di unità in circolazione nell’iShares Global Clean Energy ETF, i cui maggiori investimenti includono la società statunitense di tecnologia solare First Solar, la società di servizi britannica SSE e Yangtze Power.
L’indice MSCI Global Alternative è destinato al suo quarto anno di cali, registrando una perdita del 18% dall’inizio dell’anno, mentre le azioni globali hanno guadagnato il 17%. L’indice viene scambiato con uno sconto del 2,7% rispetto alle azioni mondiali, su una metrica forward price-to-earnings, rispetto al premio di picco del 25-50% nel 2020-22.
Energia rinnovabile, il turno corto
Nel 2022 lo scoppio della guerra in Ucraina ha determinato dei rendimenti record per le aziende che operano nel comparto. In molti casi sono anche stati ripensate le strategie per passare alle energie rinnovabili.
Gli analisti hanno affermato che un modo per ottenere esposizione è attraverso i gestori di rete, come l’italiana Terna e la spagnola Iberdrola, il cui business regolamentato è meno volatile rispetto alle attività puramente rinnovabili.
Alcuni gestori di fondi hanno smesso di essere long e short sulla transizione all’energia verde. Tra le aziende che sono finite sotto i riflettori c’è lo sviluppatore di energia eolica offshore Orsted: gli investitori stanno aspettando che riesca a vendere più asset per porre rimedio alle sue finanze. La preoccupazione di molti osservatori è legata al fatto che una vittoria di Trump potrebbe mettere a rischio alcuni dei suoi progetti negli Stati Uniti, per i quali potrebbe non riuscire ad ottenere i necessari permessi.
Il gestore patrimoniale svizzero LFG+ZEST ha aperto una posizione corta sul produttore danese di turbine eoliche Vestas e EDP Renovaveis del Portogallo ritenendo che, indipendentemente dalle elezioni statunitensi, i profitti del settore continueranno a essere sotto pressione.
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Dazi UE per i veicoli cinesi: si parte da giovedì 31 ottobre. Ufficialità da portavoce Commissione UE
Pechino e Bruxelles non si mettono d’accordo. Dazi operativi da giovedì.
È fallimento totale nelle trattative tra Pechino e Bruxelles. Da giovedì prossimo saranno in vigore in tutta l’UE i dazi aggiuntivi sui veicoli elettrici made in China. Secondo quanto è stato riportato da AP, non sarebbe stato possibile trovare una soluzione concordata tra Repubblica Popolare Cinese e Unione Europea, cosa poi confermata da Olof Gill, che è portavoce per la Commissione Europea. Si apre così un altro capitolo di un’intensa guerra commerciale tra UE e Cina, che si installa su un più ampio tema di schermaglie fortunatamente solo commerciali tra i due blocchi, quello occidentale da una parte e quello di Pechino dall’altra.
Soltanto ieri il Ministero dell’Economia messicano ha consegnato al Dipartimento del Commercio USA una lettera di rimostranze per il ban di hardware e software cinese sui veicoli connessi alla rete che circoleranno negli USA, altro capitolo questo di una guerra commerciale che in realtà vede diversi paesi emergenti nel tentativo di tenere il piede della vendita nelle economie così sviluppate e quello dei finanziamenti da, appunto, Pechino.
Una misura protezionistica?
Non secondo Bruxelles. Le vendite dei veicoli cinesi sono passate nel giro di 3 anni dal 3,9% del mercato delle auto elettriche ad un ben più sostanzioso 25%, secondo l’UE grazie ad aiuti di stato a pioggia che permettono al Made in China di essere enormemente più competitivo sul mercato.
Secondo quanto è stato riportato da Olaf Gill, i dazi aggiuntivi saranno in vigore per almeno 5 anni, per quanto sarà comunque possibile continuare a trovare una soluzione tra le parti che porti alla riduzione o alal rimozione delle stesse.
Soluzione che per il momento però sembrerebbe lontanissima: la Cina non sembrerebbe avere alcuna intenzione di interrompere i finanziamenti ritenuti aiuti di stato secondo gli ispettori dell’UE. I dazi saranno diversi da brand a brand, a seconda della quantità di aiuti ricevuti.
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