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Intelligenza artificiale, servirà a tradurre i manga. Ma fa paura a molte aziende giapponesi
Il 40% delle aziende giapponesi ha paura dell’intelligenza artificiale. Ma viene già usata per tradurre i manga
Il 40% delle aziende giapponesi non avrebbe intenzione di adottare l’intelligenza artificiale nelle proprie attività, mentre un quarto l’avrebbe già adottata. È quanto emerge da un sondaggio effettuato da Reuters e reso pubblico questa mattina. Lo studio, condotto per conto di Nikkei Research, è stato realizzato sottoponendo ad una serie di domande qualcosa come 506 aziende nel periodo compreso tra il 3 ed il 12 luglio 2024. Gli intervistati hanno mantenuto il più totale e completo anonimato.
Il 24% degli interpellati ha ammesso di aver già introdotto l’intelligenza artificiale all’interno della propria azienda, mentre il 35% ha intenzione di farlo nel medio/lungo periodo. Il 41%, invece, non ha progetti in questo senso almeno nel futuro più prossimo. Una situazione che mette in evidenza come l’intelligenza artificiale nello specifico e l’innovazione tecnologica in senso lato siano adottate in maniera diversa dalle aziende giapponesi.
Intelligenza artificiale, gli obiettivi del futuro
Tra le domande poste agli intervistati – che prevedevano delle risposte multiple – una è relativa agli obiettivi dell’adozione dell’intelligenza artificiale. Il 60% degli intervistati ha dichiarato di aver intenzione di far fronte alla carenza di lavoratori, mentre un buon 53% la vorrebbe utilizzare per ridurre il costo del lavoro. Il 36%, invece, ha parlato di un’accelerazione della ricerca e dello sviluppo.
Ma quali sono gli ostacoli maggiori nell’introduzione dell’intelligenza artificiale? Secondo un dirigente di un’azienda di trasporti ci sarebbe l’ansia tra i dipendenti per una possibile riduzione dell’organico. Anche se gli ostacoli maggiori sembrano essere determinati da una mancanza di competenze tecnologiche, le ingenti spese in conto capitale e le preoccupazioni in merito all’affidabilità.
Il problema degli attacchi informatici
Argomento che, in un modo o nell’altro, orbita intorno all’intelligenza artificiale è quello relativo agli attacchi informatici. Il 15% degli interpellati ha ammesso di averne subito uno nel corso dell’ultimo anno, mentre il 9% ha dichiarato di avere partner commerciali che hanno subito degli attacchi nel corso dello stesso periodo.
I danni causati dagli attacchi informatici, in alcuni casi, sono stati molto importanti. Il 23% di quanti li hanno subiti o che avevano dei partner commerciali come obiettivi ha spiegato che le attività sono state temporaneamente interrotte. Il 4% ha ammesso di aver subito una fuga di informazioni.
Sotto il profilo delle misure adottate per migliorare la sicurezza informatica, il 47% degli intervistati ha dichiarato di aver esternalizzato la difesa, mentre il 38% ha spiegato di avere degli specialisti interni.
Gli attacchi informatici hanno colpito anche delle aziende giapponesi molto importanti, come l’editore Kadokawa, il cui caso ha convinto il governo a rafforzare le misure per la sicurezza informatica.
Intelligenza artificiale, gli investimenti
Dopo la pubblicazione del primo manga – avvenuta nel corso del mese di marzo 2023 – realizzato con la collaborazione dell’intelligenza artificiale, continuano gli investimenti in questo settore. L’ultima operazione, almeno in ordine cronologico, è quella che vede i principali editori giapponesi finanziare con circa cinque milioni di dollari una start-up di Tokyo. L’obiettivo è velocizzare la traduzione dei fumetti con l’ausilio dell’intelligenza artificiale.
L’investimento, pari a 780 milioni di yen, è stato effettuato da Shueisha, Kadokawa, Square Enix e altri importanti nomi del settore ed ha portato alla nascita di Mantra, una startup lanciata nel 2020 e che si è consolidata nel corso degli anni, diventando uno dei punti di riferimento per l’editoria giapponese.
L’azienda ha proposto Mantra Engine che permette, attraverso diversi piani di abbonamento, di tradurre i propri fumetti fino ad un massimo di cinque lingue contemporaneamente. Un’offerta molto allettante per un ramo dell’economia giapponese particolarmente vivace, ma che viene esportato ancora poco: ogni anno vengono pubblicati 700.000 volumi, dei quali solo il 2% supera i confini nazionali giapponesi.
In quel 2%, però, c’è un settore fortemente in crescita, basti pensare che negli Stati Uniti il numero di manga è quintuplicato nel periodo 2019-2022. Numeri che sono paragonabili a quelli francesi. Il trend è positivo anche in Italia.
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McDonald’s, negli Usa scatta il panico da cipolla dopo lo scoppio di un’epidemia di Escherichia coli
Dopo lo scoppio di un’epidemia di Escherichia coli in un ristorante di McDonald’s, negli Stati Uniti è scoppiato il panico da cipolla.
Le cipolle fresche sono bandite dalle principali catene di fast food statunitensi. Almeno temporaneamente. A far temere l’ortaggio è l’epidemia di Escherichia coli scoppiata in alcuni fast food di McDonald’s e della quale ne è ritenuta la probabile fonte. I casi registrati in questi mesi hanno messo a nudo uno degli incubi ricorrenti nei ristoranti: la gestione dei prodotti ortofrutticoli, che devono essere mantenuti liberi da contaminazione. Obiettivo da centrare per tutelare la salute dei clienti, ma che per gli ortaggi è più difficile da raggiungere rispetto alla carne bovina.
Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa sta accadendo e quali sono le conseguenze di quanto accaduto nei McDonald’s.
McDonalds, l’incubo delle cipolle
Con ogni probabilità le cipolle sono responsabili dell’epidemia di Escherichia coli scoppiata da McDonald’s. Per il momento il problema ha coinvolto i locali dislocati nel Midwest statunitense: si sono ammalate 49 persone e una è morta. A comunicarlo è stato il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. McDonald’s ha immediatamente ritirato il Quarter Pounder dal suo menù in un quinto dei suoi 1.400 ristoranti dispersi negli Stati Uniti.
A farla da padrone nei registri degli avvocati specializzati in malattie trasmesse da alimenti, in passato, erano principalmente gli hamburger di manzo. Gli enti di regolamentazione sanitaria federale hanno poi deciso di prendere dei provvedimenti severi sulla contaminazione da carne bovina, dopo che un’epidemia di Escherichia coli era stata collegata a Jack in the Box, quando gli hamburger avevo portato all’ospedalizzazione di qualcosa come 170 persone in tutti gli Stati Uniti. Quattro persone erano morte. Dopodiché, per fortuna, i focolai correlati alla carne bovina sono diventati molto più rari.
Quanto accaduto da McDonald’s riaccende il problema. In questo caso, però gli esperti mettono in evidenza che la carne di manzo viene cotta, mentre i prodotti freschi – proprio per definizione – non vengono cotti. Donald Schaffner, esperto di scienza e sicurezza alimentare della Rutgers University, spiega che la cottura corretta è una soluzione miracolosa contro la contaminazione.
I prodotti industriali utilizzati su larga scala, vengono lavati, disinfettati ed analizzati in modo simile alla carne bovina. Ma i test, spiegano gli esperti, non sempre sono in grado di rilevare livelli di contaminazione bassi.
Mansour Samadpour, uno specialista in sicurezza alimentare, spiega che le colture sono spesso coltivate all’aperto, dove le feci della fauna selvatica o degli animali nelle vicinanze possono infiltrarsi nell’acqua di irrigazione o nelle acque delle inondazioni. L’Escherichia coli è un normale agente patogeno nell’intestino degli animali. I bovini ne sono più colpiti di altri, ma è stato rilevato anche in oche, cinghiali, cervi e altri.
La contaminazione potrebbe derivare dall’uso di letame non trattato o di acqua di irrigazione contaminata, oppure dal fatto che le cipolle vengono conservate o tagliate in modo tale da risultare contaminate.
Un problema di sicurezza alimentare
La contaminazione è partita da aziende importanti e ben strutturate. McDonald’s e Taylor Farms – fornitore di cipolle gialle di McDonald’s negli stati interessati – sono delle aziende considerate dagli esperti di sicurezza alimentare come esempi di pratiche sicure.
McDonald’s ha spiegato che i suoi fornitori eseguono test sui prodotti frequentemente e lo hanno fatto nell’intervallo di date fornito dai Centers for Disease Control and Prevention per l’epidemia, ma nessuno di loro ha identificato questo ceppo di Escherichia coli.
Wendy’s nel 2022 ha ritirato la lattuga dai ristoranti di diversi Stati dopo che il CDC ha sospettato che fosse la fonte di un’epidemia di Escherichia coli che ha fatto ammalare decine di persone. Nel 2006, la lattuga di Taco Bell è stata identificata come la probabile fonte di un’epidemia di Escherichia coli che ha fatto ammalare 71 persone.
Il Food Safety Modernization Act del 2011 ha richiesto alla Food and Drug Administration di stabilire standard per la produzione e la raccolta sicure di frutta e verdura. La FDA ha introdotto normative per i prodotti agricoli che in precedenza non erano soggetti a molta regolamentazione.
Schaffner spiega che molto spesso ci si trova davanti ad uno schema fisso: c’è un problema di salute pubblica o di sicurezza alimentare e alla fine il Congresso reagisce e abbiamo delle normative.
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Mercedes-Benz, gli utili della divisione auto sono crollati del 64%
Gli utili della divisione auto di Mercedes-Benz sono letteralmente crollati. I flussi di cassa arrivano dalla divisione industriale.
Crollati del 64% gli utili della divisione automobilistica di Mercedes-Benz, una delle più importanti case automobilistiche specializzata in veicoli di lusso. I numeri sono di gran lunga inferiori alle stime degli analisti: i consumatori cinesi hanno continuato a ridurre gli acquisti di beni di lusso condizionati da un’economia sempre più debole.
Harald Wilhelm, CFO di Mercedes-Benz, ammette che i risultati del terzo trimestre non soddisfano le ambizioni dell’azienda, aggiungendo che il gruppo continuerà nelle operazioni di taglio dei costi.
Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa stia accadendo a Mercedes-Benz.
Mercedes-Benz, crolla gli utili
Nel trimestre compreso tra il mese di luglio e quello di settembre 2024 gli utili di Mercedes-Benz sono stati condizionati dai costi di rinnovamento dei modelli e da un mercato difficile. Il gruppo si è impegnato principalmente con le nuove versioni del SUV Classe G, che sarà lanciata nel corso del prossimo trimestre.
A livello annuale le vendite di automobili sono state leggermente inferiori rispetto a quelle dell’anno precedente. Quelle del quarto trimestre, sostanzialmente, risultano essere in linea con quelle del terzo.
Un aspetto positivo di conti di Mercedes-Benz è costituito dalla continua generazione di flussi di cassa che arrivano dal business industriale, che è riuscito a raggiungere i 2,39 miliardi di euro nel corso del trimestre, in aumento del 2% rispetto allo scorso anno.
L’utile rettificato prima di interessi e imposte (EBIT) nell’unità automobilistica è sceso a 1,2 miliardi di euro rispetto alla stima media di LSEG di un calo del 3,6% a 3,19 miliardi di euro
I problemi maggiori, però, arrivano dalla Cina. Ola Kaellenius, CEO di Mercedes-Benz, ha sottolineato come i consumatori cinesi siano molto più cauti nell’effettuare degli acquisti importanti: la debolezza economica che dura da molto tempo e la crisi immobiliare hanno determinato una notevole incertezza per molti consumatori.
Nel corso del terzo trimestre, Mercedes-Benz ha tagliato due volte il suo obiettivo di margine di profitto annuo. Si è unita, in questo modo, al crescente numero di concorrenti europei che attribuiscono la causa del calo dei profitti all’indebolimento del mercato cinese.
I risultati sono arrivati proprio nel momento in cui stanno proseguendo i colloqui tra Pechino e Bruxelles sui dazi sulle importazioni di veicoli cinesi in Europa. Questo è, senza dubbio, un grosso grattacapo per molti big dell’industria automobilistica, preoccupati dalle possibili ritorsioni di Pechino.
Le preoccupazioni delle case automobilistiche tedesche
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha dichiarato che le case automobilistiche tedesche non dovrebbero temere la concorrenza della Cina.
Secondo Scholz alcuni sostengono che la Cina potrebbe fare molto meglio dell’Europa con i motori elettrici. Le aziende tedesche non devono avere paura di questa concorrenza. Scholz ha poi sottolineato che in passato il settore aveva dovuto fronteggiare la forte concorrenza di Corea del Sud e Giappone e ribadendo la posizione della Germania contro i dazi dell’Unione Europea sui veicoli elettrici (EV) di fabbricazione cinese.
Scholz è contrario ai dazi che potrebbero danneggiare la Germania. L’Ue dovrebbe ricorrere a tali misure laddove il dumping e i sussidi mettono effettivamente i produttori europei in una situazione di svantaggio, ad esempio nell’industria siderurgica.
Il settore automobilistico europeo si trova ad affrontare molteplici sfide, che vanno dagli elevati costi di produzione alla gestione del passaggio ai veicoli elettrici, fino al calo della domanda e all’aumento della concorrenza.
Questi problemi hanno portato alcune case automobilistiche europee a ridurre la capacità produttiva, mentre il principale attore della regione, Volkswagen sta valutando per la prima volta la chiusura di stabilimenti in Germania.
Joerg Burzer, membro del consiglio di amministrazione di Mercedes-Benz e responsabile della produzione, spiega che tutti gli stabilimenti dell’azienda sono ben utilizzati, a parte uno a Sindelfingen in Germania, dove viene prodotta la linea di modelli di alta gamma Classe S.
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Veicoli elettrici, l’Unione europea e la Cina riaprono i colloqui per evitare i dazi
L’Unione europea e la Cina riaprono i colloqui per scongiurare il rischio di maggiori dazi sull’importazione di veicoli elettrici.
Tra la Cina e l’Unione europea la porta rimane aperta: Pechino e Bruxelles, infatti, hanno concordato di tenere ulteriori negoziati tecnici su possibili alternative ai dazi sui veicoli elettrici prodotti in Cina. Anche se, almeno per il momento, non sembra ancora chiaro come si possano muovere le parti in causa.
Ricordiamo, infatti, che l’Unione europea è pronta ad introdurre delle tariffe aggiuntive fino al 35,5% sui veicoli elettrici costruiti in Cina, per i quali sarebbero state stanziate delle sovvenzioni statali.
Veicoli elettrici, Europa Vs Cina
Sul fronte dei veicoli elettrici sembrerebbe accendersi uno spiraglio in fondo al tunnel. A seguito di una videochiamata che si è tenuta tra Valdis Dombrovskis, rappresentante dell’UE per il commercio, e Wang Wentao, ministro del Commercio cinese, sarebbero stati concordati ulteriori negoziati tecnici che si svolgeranno a breve.
La Commissione europea, che supervisiona la politica commerciale dell’Ue a 27 nazioni, ha già tenuto otto cicli di negoziati tecnici con le controparti cinesi e ha affermato che permangono notevoli lacune residue.
Dombrovskis e Wang hanno ribadito il loro impegno a trovare una soluzione che possa essere accettabile da entrambe le parti. E che, soprattutto, dovrà garantire parità di condizioni nel mercato dell’UE e risultare compatibile con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Due settimane fa la Cina ha esortato l’UE a non condurre negoziati separati con le aziende, avvertendo che ciò avrebbe scosso le fondamenta dei negoziati.
La Commissione ha affermato che Dombrovskis ha sottolineato che i negoziati dell’esecutivo dell’UE con la Camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di macchinari e prodotti elettronici (CCCME) non escludono discussioni con singoli esportatori.
Veicoli elettrici, importazioni cinesi in Europa
Nel corso del mese di settembre, la Cina ha inviato in Europa il secondo numero più alto di veicoli elettrici mai registrato: l’Ue ha importato qualcosa come 60.157 veicoli elettrici di produzione cinese, avvicinandosi al record registrato nel mese di ottobre 2023, quando si era arrivati a quota 67.455 veicoli. A riportare questi dati è Bloomberg, che ha citato dei dati doganali.
Nei primi giorni del mese la Commissione europea ha affermato di aver ricevuto sostegno dagli Stati membri per imporre delle tariffe che potrebbero arrivare fino al 45% sulle importazioni provenienti dalla Cina.
La proposta di imporre dei dazi definitivi sulle importazioni di veicoli cinesi, stando a quanto ha comunicato la stessa Commissione europea, ha ottenuto il sostegno necessario dagli Stati membri, anche se qualcuno si è astenuto dal voto. La Spagna e la Germania, infatti, sono contrarie ai dazi: temono, infatti, una guerra commerciale totale con la Cina, con un potenziale aumento delle tariffe di Pechino sull’importazione di prodotti europei, come:
- automobili;
- carne di maiale;
- latticini;
- brandy.
In questo momento sono in vigore dei dazi provvisori, che hanno iniziato ad avere efficacia dal 5 luglio 2024 ed hanno una durata complessiva di quattro mesi: a breve, quindi, termineranno.
Nel caso in cui la Cina e l’Unione europea non dovessero riuscire a trovare delle soluzioni alternative alle tariffe, i dazi sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi sono destinate a partire proprio dal mese di ottobre.
La maggiore preoccupazione arriva dalle case automobilistiche tedesche, che in Cina hanno un grande mercato e si sono opposte ai dazi sulle importazioni di veicoli elettrici.
VDA, l’associazione tedesca dei costruttori di automobili, ritiene che le tariffe europee antisovvenzione non colpirebbero solo i produttori cinesi, ma anche le aziende europee e le loro joint venture.
Oliver Zipse, amministratore delegato di BMW, ritiene che il voto a favore dell’introduzione di maggiori dazi sull’importazione di veicoli elettrici sia un segnale fatale per l’industria automobilistica europea. Ora è necessario un rapido accordo tra la Commissione UE e la Cina per evitare un conflitto commerciale da cui nessuno trae vantaggio.
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Petrolio, il Brent in mattinata guadagna lo 0,4%. Chiusura settimanale positiva
Il petrolio potrebbe chiudere la settimana in territorio positivo. I riflettori sono ancora punti sul Medio Oriente e sulle esportazioni dalla Russia.
In mattinata il prezzo del petrolio è in leggero rialzo. Le quotazioni sono sulla buona strada per riuscire a chiudere un guadagno settimanale superiore all’1%: le tensioni nella principale area del mondo nella quale si estrae petrolio – il Medio Oriente – e la ripresa dei colloqui per il cessate il fuoco a Gaza hanno tenuto sulle spine i trader.
Saliti, in mattinata, di 31 centesimi i future sul Brent, che sono, quindi riusciti a guadagnare lo 0,4% posizionandosi a quota 74,69 dollari al barile. Il greggio West Texas Intermediate degli Usa ha guadagnato uno 0,4% raggiungendo i 70,48 dollari al barile (guadagnati 29 centesimi).
Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire come si sta muovendo il petrolio.
Petrolio in leggero rialzo in prima mattinata
In una nota Tony Sycamore, analista di mercato di IG, resta dell’opinione che il prezzo corretto del petrolio sia intorno ai 70 dollari, in attesa di nuovi fattori trainanti, tra cui l’esito della riunione del Comitato permanente dell’NPC cinese e la risposta di Israele all’attacco missilistico dell’Iran del 1° ottobre.
Tutti e due i parametri di riferimento si sono attestati a 58 centesimi al barile nel corso della precedente sessione: le quotazioni hanno oscillato in risposta alle aspettative di un aumento o di una riduzione delle tensioni in Medio Oriente.
Gli operatori del settore stanno aspettando una risposta di Israele all’attacco missilistico dell’Iran avvenuto lo scorso 1° ottobre. Un eventuale contromossa di Tel Aviv potrebbe arrivare a colpire le infrastrutture petrolifere di Teheran e a interrompere le forniture. Alcune indiscrezioni, ad ogni modo, riferiscono che Israele avrebbe intenzione di colpire unicamente degli obiettivi militari iraniani, non nucleari o petroliferi.
Funzionari statunitensi ed israeliani sarebbero pronti a riprendere i colloqui per un cessate il fuoco e per il rilascio degli ostaggi a Gaza nel corso dei prossimi giorni. In precedenza i tentativi per raggiungere un accordo sono falliti.
Antony Blinken, segretario di Stato Usa, ha affermato che gli Stati Uniti non vogliono una prolungata campagna israeliana in Libano. La Francia, invece, ha chiesto un cessate il fuoco e si sta concentrando sulla diplomazia.
Sotto la lente d’ingrandimento degli investitori sono finite le misure di stimolo all’economia di Pechino. Gli analisti non si aspettano che le nuove misure possano dare una spinta alla domanda di petrolio dalla Cina.
Goldman Sachs ha lasciato invariate le sue previsioni sui prezzi del petrolio, del gas naturale e del carbone, stimando che gli stimoli cinesi sui prezzi dell’energia saranno modesti rispetto a fattori più importanti come l’offerta di petrolio dal Medio Oriente e le condizioni invernali per il gas naturale.
Le esportazioni di petrolio dalla Russia
Caleranno del 13% a novembre rispetto ad ottobre le esportazioni di petrolio dai tre principali porti occidentali della Russia, che si attesteranno a 1,95 milioni di barili al giorno.
Gli operatori del mercato tengono costantemente sotto controllo le esportazioni dai porti occidentali di Primorsk, Ust-Luga e Novorossiisk: rappresentano, infatti i flussi più volatili e sono fortemente influenzati dall’assorbimento delle raffinerie nazionali.
Nel corso del 2024 la Russia è riuscita a mantenere delle esportazioni elevate di petrolio, anche se ha dovuto ammettere una sovrapproduzione di greggio, superando la quantità concordata dall’Opec+. Il paese ha promesso di effettuare ulteriori tagli per compensare dalla fine del 2024.
La Russia ha ridotto la produzione di petrolio greggio a settembre di 28.000 barili al giorno (Bpd), portandola a circa 9 milioni di Bpd. I carichi di petrolio russo dai porti occidentali diminuiranno a novembre, rispetto ai 2,25 milioni di barili al giorno di ottobre.
Si prevede che le raffinerie di petrolio in Russia aumenteranno le lavorazioni il mese prossimo dopo una manutenzione stagionale importante a settembre-ottobre. A novembre la raffinazione del petrolio russo aumenterà: la Russia prevede di mettere offline solo 1,8 milioni di tonnellate della sua capacità di raffinazione, in netto calo rispetto ai 4,4 milioni di tonnellate di ottobre.
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Giappone chiede intervento del G20, mentre lo yen sfonda i 150 e ci rimane. “Troppa volatilità nel Forex”
Il ministro delle finanze Katsunobo Kato chiede aiuto al G20 a tutela del Forex.
Certi amori non finiscono, recitava una celebre canzone di un altrettanto celebre cantante italiano. La stessa canzone aggiungeva poi che fanno di giri immensi e poi ritornano. Ed è così forse che si può leggere l’intervento del Ministro delle Finanze giapponese Katsunobo Kato, che ha chiesto al G20 di essere vigile sull’eccessiva volatilità del mercato del Forex. Una vexata quaestio, se dalle canzoni di Venditti si vuole passare al più nobile latino, dato che in ogni momento di difficoltà dello yen, le autorità di Tokyo hanno fatto appello alle autorità statali di tutto il mondo affinché si trovasse una quadra politica più che di mercato.
Una questione che però indispettisce da sempre Janet Yellen, plenipotenziaria al Tesoro USA, che già a fine 2023 non le mandò a dire, confermando la superiorità del mercato rispetto alla politica nel fissare i tassi di cambio di riferimento. Dopo che al vertice della politica giapponese è arrivato il nuovo primo ministro Shigeru Ishiba, che pur in campagna elettorale aveva promesso pieno appoggio, se non addirittura indirizzo diretto, a politiche di sostegno allo yen.
La musica a Tokyo non cambia – e intanto lo yen si accomoda sopra i 150 contro il dollaro USA
Cambiano gli interpreti, ma la musica è sempre la stessa. Lo yen, dopo un recupero nel mese di agosto che aveva gettato i mercati nel panico dopo il rialzo a sorpresa dei tassi, firmato Kazuo Ueda (governatore di Bank of Japan), ha ripreso a correre verso livelli di cambio molto alti contro il dollaro USA. Ad oggi un greenback compra 151,85 yen, contro i 152 di ieri ma contro i soli 142 di fine settembre. Un cammino ribassista che conferma che i problemi di Tokyo sono tutti fuorché di facile soluzione.
E chissà se questa volta l’appello raccoglierà consensi, oppure se come le altre volte sarà l’innesco per un tripudio di porte chiuse.
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