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Maersk taglia: è termometro dell’economia globale?
Dietro i tagli recentemente annunciati da Maersk non c’è soltanto un problema per una delle più importanti aziende di logistica al mondo, ma una crisi profonda del settore dei trasporti, che almeno in passato ha sempre preceduto violente recessioni. Il gruppo danese dei trasporti via mare ha annunciato tagli per quasi il 10% del personale, per un totale di 10.000 lavoratori che dovranno cercarsi un impiego altrove, decisione alla quale si è arrivati dopo trimestrali che hanno raccontato di una forte riduzione dei profitti e dei ricavi.
Trattandosi però di una società di logistica di queste proporzioni, il problema non può essere confinato a certe decisioni aziendali: sovracapacità, costi e (in parte) prezzi più competitivi sono problemi che affliggono l’intero settore e che potrebbero avere delle cause più profonde e difficili da arginare per una singola impresa, proprio perché al di fuori del proprio controllo.
Cosa succede a Maersk?
Il titolo di Maersk ha perso quasi il 40% da inizio anno, all’interno di un 2023 che almeno secondo le previsioni pandemiche sarebbe dovuto essere il ritorno a una sorta di normalità per il mondo delle spedizioni. Normalità alla quale però non si è mai tornati: allo smaltimento dei backlog accumulati durante la fase pandemica ci si è trovati in una situazione di domanda globale in forte riduzione, di difficoltà di impiego del parco natanti che era stato allargato e più in generale in condizioni di profitti impossibili per il grosso delle aziende del comparto.
Non è però la storia di Maersk nello specifico che ci interessa in questo specifico approfondimento. Il gruppo gestisce circa 1/6 del traffico globale via mare ed è il punto di riferimento per grandi gruppi retail che producono nel Lontano Oriente. Quello di Maersk è anche un termometro dell’andamento della manifattura su scala globale, della domanda e più in generale del livello economico. Una rappresentazione plastica dei problemi della Cina, di quella tedesca, di quella più in generale europea e di quella che presto potrebbe diventare globale.
Un tempo i trader di esperienza guardavano alle grandi società di shipping per capire come si stesse muovendo l’economia prima dell’arrivo dei dati ufficiali. Rallentamenti di UPS, Fedex e DHL sono sempre o quasi stati anticipazione dell’ufficialità delle recessioni. Perché non fare lo stesso discorso con Maersk?
La conferma arriva dalla stessa Maersk
Per qualcuno dietro le parole del CEO del gruppo Vincent Clerc ci sarà anche un intento auto-assolutorio, ma sono parole comunque che chi segue i mercati e vi opera dovrebbe ascoltare con grande attenzione: dietro il rallentamento evidente delle operazioni, dei ricavi e dei profitti di Maersk c’è una situazione economica che non ha mai recuperato completamente dalla pandemia e che ha un outlook negativo.
Clerc ha aggiunto che se non ci saranno miglioramenti dall’ultimo trimestre del 2023, allora potremo essere certi o quasi di un 2024 da dimenticare: non è chiaro se si riferisse alla situazione economica globale o a quella di Maersk, ma le due cose possono essere fatte coincidere dato che, lo ricordiamo, stiamo parlando di chi gestisce circa 1/6 del traffico merci marittimo su scala globale.
Segnali orribili, che pur dovranno essere ancora certificati dall’ultimo trimestre dell’anno, senza che però ci sia alcun motivo di ottimismo all’orizzonte. Fed, e non potrebbe fare altrimenti, parla di effetti del ciclo di politica monetaria restrittiva che deve ancora produrre parte dei suoi effetti, in Europa la recessione è ormai soltanto da certificare in termini di dati, Cina e Giappone, per motivi diversi, sembrano essere nello spiraglio di una crisi impossibile da invertire sul breve.
Arrivano tempi duri, almeno a leggere il termometro di Maersk.