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Tesla, pronta la batteria Panasonic per aumentare l’autonomia delle auto
Panasonic ha progetto una batteria in grado di aumentare l’autonomia delle auto elettriche, per la quale Tesla ha mostrato interessa.
Si rafforza l’alleanza tra Tesla e Panasonic Energy, il suo fornitore di batterie ad alta capacità. Quest’ultimo ha terminato i preparativi per la produzione di due nuovi sistemi di accumulo da installare sulle auto elettriche. Un impianto appena ristrutturato nella prefettura occidentale di Wakayama diventerà la base operativa e fabbrica principale per la produzione delle nuove batterie, che secondo quanto annunciato da Panasonic, avranno una capacità cinque volte superiori rispetto alle cilindriche 2170 più piccole.
Panasonic ha inviato alcuni campioni di batterie 4680 alle principali case automobilistiche di cui è già fornitrice – tra le quali rientra anche Tesla – e intende avviare la produzione non appena avrà ottenuto il via libera da parte dei clienti.
Panasonic, le nuove batteria per Tesla
Panasonic ha annunciato che avrebbe avviato la produzione delle batterie 4680 nello stabilimento di Wakayama, dove in precedenza produceva dei componenti per batterie per autoveicoli. Le celle più grandi, che hanno un diametro di 46 mm e un’altezza di 80 mm, permetteranno di aumentare l’autonomia dei veicoli elettrici e di utilizzare meno celle per ottenere la stessa capacità delle batterie.
Tesla, da parte sua, a partire dal mese di novembre 2023 ha iniziato a consegnare il Cybertruck dopo una serie di ritardi e un difficile avvio della produzione. Tesla sta già producendo delle proprie batterie 4680, ma uno dei principali colli di bottiglia per i camion è proprio la velocità con la quale è in grado di realizzarle.
Kazuo Tadanobu, Ceo di Panasonic, ritiene di poter riuscire a produrre delle batterie a una capacità annuale di diversi gigawattora. Si prevede, inoltre, che lo stabilimento di Wakayama impiegherà circa 400 dipendenti nello sviluppo e nella produzione delle nuove batterie entro marzo 2025 e, almeno nelle intenzioni iniziali, dovrebbe diventare la sede nella quale sperimentare processi che potrebbero essere implementati in altre fabbriche di batterie in tutto il mondo.
Panasonic Energy produce già batterie cilindriche per veicoli elettrici da 2170 e 1860 nei suoi stabilimenti di Suminoe e Kaizuka in Giappone.
Subaru, produttore automobilistico e di batterie, per la quale gli Stati Uniti rappresentano un mercato chiave, ha annunciato, invece, che realizzerà uno stabilimento nella prefettura di Gunma, a nord di Tokyo, per la fornitura di batterie per autoveicoli a partire dall’anno fiscale 2028.
Tesla e l’intelligenza artificiale
Elon Musk ha smentito le indiscrezioni secondo cui la sua startup di intelligenza artificiale xAI avrebbe avviato dei colloqui per ottenere una quota in Tesla, in cambio dell’accesso alla tecnologia e alle risorse di xAI da parte del produttore di veicoli elettrici di Musk.
Nei giorni scorsi il Wall Street Journal ha riferito che Tesla avrebbe avuto in licenza i modelli di intelligenza artificiale di xAI per alimentare il suo software di assistenza alla guida e la tecnologia di guida completamente autonoma. Il WSJ, inoltre, ha riportato che Tesla avrebbe condiviso parte di questi ricavi con la startup.
Il WSJ, citando fonti a conoscenza della questione ma non identificate, ha affermato che xAI supporterà lo sviluppo di altre funzionalità per Tesla, tra cui un assistente vocale per le sue auto elettriche e un software per alimentare il suo robot umanoide Optimus.
Stando alle indiscrezioni circolate, i termini di un eventuale accordo di condivisione dei ricavi tra xAI e Tesla potrebbero dipendere in parte da quanto Tesla si affiderà alla tecnologia di xAI rispetto alla propria, aggiungendo che i dirigenti di xAI hanno discusso di una suddivisione equa dei ricavi derivanti dall’FSD di Tesla. Al momento xAI non ha rilasciato un commento sull’argomento.
Musk ha lanciato xAI l’anno scorso per competere con OpenAI, sostenuto da Microsoft. Ha suscitato preoccupazioni sul fatto che potrebbe allocare alcune risorse della casa automobilistica alla società di intelligenza artificiale.
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Petrolio, il sentiment degli investitori europei è rialzista. WTI scambiato a 73,5 dollari al barile
Il sentiment sul petrolio degli investitori europei è rialzista. La posizione è emersa da una serie di dati ben precisi diffusi da alcuni esperti.
Riflettori puntati sul petrolio: stando ai dati mensili Serix di Spectrum Markets, il sentiment sarebbe rialzista verso i due principali indici del petrolio greggio, per i quali a settembre è stato registrato 111 per il WTI e 108 per il Brent.
Le preoccupazioni relative all’approvvigionamento e le tensioni in Medio Oriente hanno determinato, almeno dal mese di giugno 2024 in poi, un costante aumento del sentiment sul petrolio greggio.
Nel mese di settembre 2024 il 36,9% delle negoziazioni, almeno secondo i dati di Spectrum, sono avvenute al di fuori dei tradizionali orari di mercato europei.
Petrolio, in sentiment degli investitori europei
Spectrum Markets ha pubblicato i suoi dati sul sentiment Serix per gli investitori al dettaglio europei per settembre, rivelando un cambiamento positivo verso entrambi i principali indici del petrolio greggio: WTI e Brent, rispettivamente a 111 e 108.
Ciò che spicca a settembre è il costante trend al rialzo del sentiment Serix sul petrolio greggio iniziato a giugno 2024, in concomitanza con l’escalation delle tensioni in Medio Oriente. Questo trend sembra essere guidato dall’instabilità geopolitica, alimentando l’ansia del mercato per le carenze di offerta e i relativi aumenti dei prezzi.
Michael Hall, Head of Distribution presso Spectrum Markets, spiega che il sentiment degli investitori al dettaglio sta mostrando una chiara tendenza al rialzo in linea con l’aumento dei prezzi del petrolio. L’instabilità geopolitica in Medio Oriente ha indubbiamente giocato un ruolo significativo, alimentando preoccupazioni su potenziali interruzioni dell’approvvigionamento, che si sono riflesse nelle prospettive rialziste per il petrolio greggio.
Secondo Hall il costante aumento dei valori Serix sia per WTI che per Brent evidenzia un cambiamento di sentiment, poiché gli investitori guardano al petrolio come a un asset chiave in mezzo a più ampie incertezze di mercato. Con il mercato energetico che continua a sperimentare volatilità, ci aspettiamo che questo interesse per il petrolio greggio persista.
Petrolio, i dati Serix di settembre
Il valore Serix indica il sentiment degli investitori al dettaglio: un numero superiore a 100 indica un sentiment rialzista, mentre un numero inferiore a 100 indica un sentiment ribassista.
A settembre 2024, il fatturato del portafoglio ordini su Spectrum è stato di 242,4 milioni di euro, con il 36,9% delle negoziazioni avvenute al di fuori dei mercati tradizionali ore (ad esempio, tra le 17:30 e le 9:00 CET).
Il turnover del portafoglio ordini è stato distribuito tra vari asset sottostanti come segue: 78,1% su indici, 3,5% su coppie di valute, 11,9% su materie prime, 3,4% su azioni e 3,1% su criptovalute. I primi tre mercati sottostanti negoziati sono stati Nasdaq 100 (27,8%), Dax 40 (24,8%) e Dow 30 (13,4%).
Esaminando i dati Serix per i tre principali mercati sottostanti, il Nasdaq 100 è passato da neutrale a rialzista a 101, mentre sia il Dow 30 che il Dax 40 sono rimasti ribassisti a 98.
Per quanto riguarda il petrolio, Saverio Berlinzani, Senior Analyst di ActivTrades, spiega che i future sul greggio WTI sono scesi a 73,5 dollari al barile questa notte, accelerando il calo rispetto alla sessione precedente, appesantiti dalle preoccupazioni sulle prospettive economiche della Cina, uno dei principali importatori di greggio. I dati del fine settimana hanno mostrato che le pressioni deflazionistiche della Cina si sono intensificate, e permangono rischi e preoccupazioni sui rischi di decrescita.
Secondo Berlinzani, un’ulteriore pressione sui prezzi deriva dal calo della domanda globale e dalla forte crescita dell’offerta. Tutto questo, nonostante le persistenti preoccupazioni sul fronte geopolitico, che potrebbero risollevare i prezzi dell’oro nero.
I prezzi dell’oro, invece, sono saliti nelle prime ore di lunedì – spiega Ricardo Evangelista, Senior Analyst di ActivTrades – toccando un massimo di dieci giorni. Nonostante le mutevoli aspettative sui tagli ai tassi della Federal Reserve, la domanda di metallo prezioso continua a essere sostenuta da acquisti rifugio, alimentati dall’instabilità geopolitica in Medio Oriente e dalle persistenti preoccupazioni sulla performance economica della Cina.
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Veicoli elettrici, a settembre le vendite sono cresciute del 30,5%. Traina la Cina, bene l’Europa
Le vendite di veicoli elettrici, a settembre, sono cresciute del 30,5%, trainate dall’eccellente performance della Cina.
A settembre le vendite di veicoli elettrici e ibridi plug a livello globale sono cresciute del 30,5% annuo. Un contributo determinante alla crescita è stato garantito dalla Cina, che è riuscita a superare i numeri record registrati ad agosto. Anche l’Europa ha ripreso a crescere. Queste sono, sostanzialmente, le analisi messe a disposizione dalla società di ricerche del mercato Rho Motion.
Il mercato dei veicoli elettrici statunitensi, ad ogni modo, si è mosso lentamente, ma ha, comunque, guadagnato terreno: un successo ritenuto importante dagli analisti anche in vista delle elezioni del 5 novembre, che rendono difficile, secondo il responsabile dei dati Charles Lester, prevedere quali possano essere le prospettive del futuro
Veicoli elettrici, perché i dati sono importanti
Ma perché scattare una fotografia dell’andamento del mercato dei veicoli elettrici è importante? Le case automobilistiche cinesi stanno cercando di aumentare le vendite nell’Unione europea, nonostante la spada di Damocle dei dazi sulle importazioni – che possono arrivare al 45% – e ad un vero e proprio raffreddamento della domanda globale di questo tipo di auto. In questi giorni, tra l’altro, le principali case automobilistiche cinesi stanno cercando di affrontare il salone di Parigi.
Ad ogni modo a settembre, secondo i dati di Rho Motion, le vendite di veicoli elettrici – sia quelli completamente elettrici (BEV) che quelli ibridi plug-in (PHEV) – sono riuscite a raggiungere quota 1,69 milioni. La parte del leone, in questo contesto, è stata fatta dalla Cina, dove le vendite sono cresciute del 47,9%, raggiungendo quota 1,12 milioni di veicoli venduti. In Canada e negli Stati Uniti, invece, le vendite si sono aumentate del 4,3%, attestandosi a 0,15 milioni di veicoli.
Aumentano, invece, del 4,2% le vendite di veicoli elettrici in Europa, dove raggiungono 0,3 milioni di unità immesse sul mercato: il Regno Unito ha registrato un balzo del 24%; alcuni guadagni arrivano anche da Italia, Germania e Danimarca.
I veicoli elettrici e quelli ibridi, nel mercato cinese, hanno un tasso di penetrazione che sta crescendo più rapidamente rispetto a quanto gli analisti si aspettassero. Secondo Lester le vendite potrebbero arrivare a dei livelli record ogni mese fino alla fine dell’anno.
Ad essere positiva, inoltre, è la crescita annua registrata dalla Germania: gli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni di carbonio stabiliti dall’Unione europea saranno, ad ogni modo, un buon banco di prova per il mercato dell’Unione.
William Roberts, responsabile della ricerca automobilistica di Rho Motion, ritiene che le vendite di veicoli elettrici in Europa raggiungeranno i 3,78 milioni di veicoli nel 2025 e i 9,78 milioni nel 2030, rispettivamente il 24% e il 19% in meno rispetto alle stime precedenti.
Veicoli elettrici, le tensioni al salone dell’auto di Parigi
Per quanto riguarda i veicoli elettrici, al salone dell’auto di Parigi è stata registrata molta tensione: a tenere banco è la decisione dell’Unione europea che vuole imporre degli ingenti dazi all’importazione, in un momento in cui il settore è contraddistinto da una domanda debole.
L’evento di quest’anno, il più grande salone automobilistico d’Europa, arriva in un momento cruciale. Le case automobilistiche europee in difficoltà devono dimostrare di essere ancora in gioco, mentre i rivali cinesi puntano a mettere piede in un mercato competitivo.
Tuttavia, c’erano alcuni punti in comune: i dirigenti di entrambe le regioni mettevano in guardia dai pericoli dei dazi dell’Europa.
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Warren Buffett sale al 32% di Sirius XM: titolo fa +8% a Wall Street
Warren Buffett punta forte su Sirius XM: ora Berkshire ha oltre il 32%.
Berkshire Hathaway, il gruppo di investimenti che fa capo a Warren Buffett, è salito al 32% di SirusXM, dopo un acquisto di 3,6 milioni di azioni per circa 87 milioni di dollari. Poca cosa rispetto all’enorme quantità di cash sulla quale siede Berkshire Hathaway – ma che è comunque un segnale della fiducia che il gruppo dell’Oracolo di Omaha nutre nel gruppo che si occupa di radio web e servizi satellitari.
A spingere verso l’acquisizione di quote ulteriori c’è – almeno secondo il commento di CNBC – l’accordo concluso con successo con Libery Media. L’esposizione di Buffett verso le azioni SiriusXM è iniziata quest’anno e ha visto il gruppo salire rapidamente oltre il 30%. Buffett non ha mai commentato a livello pubblico l’acquisizione, né è stata mai oggetto di approfondimenti per gli investitori del gruppo. Una scommessa su un titolo che non ha mai avuto grande fortuna a Wall Street, con gli analisti che hanno più volte definito il titolo come in lotta contro il tempo, anche a causa della particolare clientela che serve. Come ricorda ancora una volta CNBC, di 14 analisti soltanto 1 aveva il forecast su buy. Cosa che, a quanto pare, non ha spaventato in alcun modo Berkshire Hathaway.
Il titolo recupera
Il titolo, che viene da un 2024 non esattamente brillante, si appresta a chiudere la sessione di scambi con un gain oltre l’8% e con il titolo che sembrerebbe essere stabilmente sopra i 27$. Gain importanti all’interno di una giornata fondamentalmente positiva per tutto il comparto azionario e che ha visto altri asset tipicamente risk on come le criptovalute offrire un’ottima performance.
Entusiasmo alle stelle per i principali indici della borsa USA, con SPX500 che fissa un nuovo record e che da inizio anno ha offerto ritorni superiori al 23%. Tutto questo in quello che per molti poteva essere l’anno della crisi al termine di un percorso fatto di tassi alti e restrizioni monetarie per combattere l’inflazione.
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Nvidia: nuovo record! Ora punta ai 3.500 miliardi che batterebbero anche Apple
Nvidia insidia il primato di Apple. Altra giornata in positivo per il gruppo, che ora punta al top del marketcap.
Appetito per il rischio e AI sembrano andare ormai di pari passo. E questo si riflette più di tutti sulle azioni Nvidia, che per tutta la sessione di lunedì 14 ottobre sono rimaste sopra il record precedente di chiusura a 135,58$ di giugno. Nvidia che continua a macinare aspettative e che nel complesso continua a rappresentare un settore AI che è tornato ad essere ricco di aspettative positive. Aspettative che vanno di pari passo con le performance – amplificandole – delle principali borse USA.
Per mesi si è ritenuto che sarebbe stato infatti questo il comparto che avrebbe fatto da traino per un eventuale soft landing negli USA, con l’azienda che produce chip ad alta performance per l’intelligenza artificiale che ha recentemente annunciato di avere un backlog di almeno 12 mesi per il suo chip di ultima generazione, Blackwell, ultima iterazione della serie destinata ai calcoli del comparto più avido di numeri di sempre.
Soft landing o meno, l’AI continua a correre
Dopo un breve iato – che è stato vissuto come un breve momento di depressione delle pur altissime aspettative degli investitori – il comparto AI torna a correre. E corre spingendo verso un nuovo record le azioni del gruppo Nvidia, che anche oggi guadagnano oltre il 2,2% nel momento in cui pubblichiamo questo approfondimento.
Corsa che porta l’azienda in scia per diventare la società con la più alta capitalizzazione al mondo. Apple, che pur oggi guadagna più dell’1%, fa infatti registrare soltanto 120 miliardi in più di cap su oltre 3.500. Un altro 3% prima di vedere la società gestita da Jensen Huang sul tetto del mondo. Con il mercato che sembrerebbe avere ancora spazio per nuovi record, potrebbe essere questione ormai di pochi giorni di scambio in assenza di importanti correzioni, con il gruppo fondato da Steve Jobs che potrebbe presto scontare anche una ricezione degli ultimi iPhone piuttosto tiepida.
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Boeing, 17mila posti di lavoro a rischio. Adesso si muove il governo Usa
L’amministrazione Biden si muove ufficialmente nel tentativo di far riprendere le trattative tra Boeing e i sindacati.
Julie Su, segretario del Lavoro statunitense ad interim, si è recata a Seattle per incontrare i vertici di Boeing e il sindacato, che rappresenta qualcosa come 33.000 lavoratori, che in questo momento stanno scioperando. L’obiettivo di Julie Su è quello di riportare le parti al tavolo delle trattative.
L’intervento ufficiale dell’amministrazione Biden arriva nel momento in cui Boeing è alle prese con uno sciopero che sta paralizzando completamente le sue attività da cinque settimane. L’azienda, tra l’altro, nei giorni scorsi ha comunicato di voler licenziare qualcosa come 17.000 persone, il 10% della sua forza lavoro.
Al momento non è ancora chiaro se Julie Su incontrerà Kelly Ortberg, Ceo di Boeing.
Boeing, si muove Julie Su
Un portavoce del Dipartimento del Lavoro ha confermato che Su, segretario facente funzioni, incontrerà le parti per valutare la situazione e incoraggiarle ad andare avanti nel processo di negoziazione.
Le azioni di Boeing sono scese del 3% nelle prime contrattazioni, dopo l’annuncio a sorpresa fatto venerdì dall’azienda dopo la chiusura delle contrattazioni, di un nuovo rinvio del jetliner 777X e della fine della produzione del velivolo cargo civile 767.
Secondo fonti del settore, questa settimana la Boeing ha in programma una serie di riunioni interne per definire il piano occupazionale, che probabilmente si baserà, almeno in parte, su alcuni tagli per contenere i costi e impedire l’esodo di persone le cui competenze sono ancora necessarie.
La crisi si verifica in un momento in cui i mercati della Boeing sono in crescita e molti dei suoi rivali stanno sfruttando la scarsa manodopera per alleviare la pressione sulle catene di fornitura aerospaziali.
Il ritardo di un anno nelle consegne del 777X al 2026 sancisce un ritardo già ampiamente previsto nel settore dopo i ritardi di certificazione e collaudo. Indica che il successore pianificato del mini-jumbo 777 entrerà in servizio con sei anni di ritardo.
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