Finanza Personale
Taglio del cuneo fiscale 2025, chi ci guadagnerà realmente dal rinnovo della misura
Scopriamo chi ci guadagna realmente dal taglio del cuneo fiscale nel 2025: le regole, infatti, cambieranno leggermente rispetto a quelle di quest’anno.
Il taglio del cuneo fiscale, attraverso la Legge di Bilancio 2025, viene rinnovato anche il prossimo anno. La misura sembra destinata a diventare strutturale, anche se il funzionamento cambierà.
Il testo della Manovra 2025 – ricordiamo che quello che sta circolando è ancora provvisorio – ha ricevuto una serie di critiche, attraverso le quali è stato puntato il dito contro gli scarsi investimenti che sono stati riservati alla sanità. Questo è il motivo per il quale nei suoi passaggi in Parlamento potrebbero arrivare alcune importanti novità.
La domanda, però, che a questo punto è importante porsi è a chi convenga realmente il taglio del cuneo fiscale? E soprattutto come andranno ad impattare le novità direttamente in busta paga. Scopriamolo insieme.
Taglio del cuneo fiscale, le novità per il 2025
La conferma del taglio del cuneo fiscale per il 2025 implica che, almeno per la maggior parte dei lavoratori, non ci saranno delle novità in busta paga dal prossimo anno. Volendo sintetizzare al massimo gli aumenti che sono stati varati lo scorso anno – parliamo di una cifra che oscilla intorno agli 80 euro – saranno grosso modo confermati. Se non fosse arrivato un intervento da parte del governo Meloni sarebbero stati cancellati.
Ma proviamo a capire chi potrebbe guadagnarci dal taglio del cuneo fiscale. I contribuenti con un reddito inferiore a 20.000 euro lordi, invece di vedersi tagliare i contributi, si vedranno accreditare una somma aggiuntiva direttamente in busta paga: su questo importo non ci pagheranno le tasse. L’aumento verrà calcolato direttamente in percentuale sul reddito complessivo:
- quanti percepiscono fino a 8.500 euro: 7,1%;
- quanti percepiscono una somma compresa tra 8.500 e 15.000 euro: 5,3%;
- quanti percepiscono una somma compresa tra 15.000 e 20.000 euro: 4,8%.
Ma proviamo a fare un esempio concreto, in modo da vedere come funziona. Chi dovesse avere un reddito pari a 8.000 euro, paga 568 euro all’anno. Chi ha un reddito di 10.000 euro, ne pagherà 530 euro; mentre chi ha reddito di 17.000 pagherà 816 euro. Il guadagno cresce man mano che il contribuente si avvicina alla soglia dei 20.000 euro.
Rispetto a quanto versato di tasse quest’anno la differenza è leggera. Quanti incassano poco meno di 15.000 euro non vedranno alcun tipo di cambiamento: l’aumento continuerà a rimanere pari a 67 euro al mese. Chi ha un reddito poco inferiore ai 20.000 euro, l’aumento passerà da 77 a 80 euro al mese. In altre parole possiamo parlare di una sostanziale conferma del taglio del cuneo fiscale rispetto a quanto visto nel 2024.
Taglio del cuneo fiscale per chi guadagna fino a 40.000 euro
Quanti invece hanno un reddito compreso tra 20.000 e 40.000 il taglio del cuneo fiscale è sottoposto ad un meccanismo leggermente diverso. Non c’è alcuna sforbiciata dei contributi, ma una detrazione Irpef di importo fisso.
La detrazione, in questo caso, dipenderà direttamente dal reddito complessivo e non sarà condizionata unicamente da quello da lavoro dipendente. Quanti dovessero avere altre entrate oltre allo stipendio fisso saranno penalizzati dal nuovo sistema. L’aumento fisso nel 2025 è pari a:
- 1.000 euro ogni anno per quanti percepiscono un reddito compreso tra i 20.000 ed i 32.000 euro;
- una somma calante nel caso in cui il reddito sia compreso tra i 32.000 ed i 40.000 euro.
A guadagnarci di più, in questo caso, sono i soggetti che hanno un reddito complessivo pari a 32.000 euro: 1.000 euro all’anno, che sono pari a 83,30 euro al mese, sostanzialmente in linea con quanto hanno percepito nel corso del 2024.
I calcoli diventano leggermente più complessi per i contribuenti che vanno oltre questa cifra: volendo fare degli esempi concreti si parla di circa 875 euro per quanti guadagnano 33.000 euro all’anno,625 euro per chi percepisce 35.000, e appena 125 euro per chi ne guadagna 39.000.
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Bonus anziani, a chi spetta il contributo da 850 euro al mese
A partire dal 1° gennaio 2025 è possibile ricevere il cosiddetto bonus anziani, un contributo da 850 euro riservato ai soggetti più deboli.
Battezzato fin da subito bonus anziani, in realtà si chiama assegno di assistenza: è una quota integrativa riservata agli over 80, che si va ad aggiungere all’indennità di accompagnamento, che è fissata a 531,75 euro. Sarà in vigore a partire dal prossimo 1° gennaio 2025 e verrà erogata fino al 31 dicembre 2026. Il bonus anziani può essere utilizzato per sostenere le spese di cura ed assistenza, che vengono effettuati dai lavoratori domestici. Può servire anche per acquistare dei servizi destinati alla cura e all’assistenza se forniti dalle imprese specializzate.
Ma vediamo un po’ come funziona il bonus anziani e chi ha diritto a riceverlo.
Bonus anziani, i requisiti per riceverlo
Per poter ricevere il bonus anziani è necessario avere un’età anagrafica pari ad almeno 80 anni ed avere un bisogno assistenziale gravissimo, la cui valutazione è sottoposta alle verifiche dell’Inps. Il richiedente, inoltre, deve avere un Isee sociosanitario inferiore a 6.000 euro e deve essere titolare di un’indennità di accompagnamento. O, in alternativa, deve essere in possesso di tutti i requisiti per vedersela riconoscere. Non sono ancora state diffuse le modalità attuative del bonus anziani: si è in attesa dell’apposito decreto. Con ogni probabilità il contributo verrà gestito direttamente dall’Inps con una procedura telematica.
L’importo verrà erogato agli aventi diritto a partire dal 1° gennaio 2025: ossia gli over 80 fragilissimi. Il bonus anziani, sostanzialmente è una prestazione universale prevista dall’articolo 34 del Decreto Legislativo n. 29 del 15 marzo 2024, meglio noto come Decreto Anziani, all’interno del quale ci sono le norme per la tutela della terza età.
Il contributo, in estrema sintesi, è una quota integrativa di 850 euro al mese, che è chiamata più correttamente assegno di assistenza che si va ad aggiungere all’indennità di accompagnamento, che per il 2024 è stata fissata in 531,75 euro. Complessivamente la somma erogata diventa 1.381,76 euro al mese. La cifra non concorre alla formazione del reddito ai fini fiscali e, soprattutto, non potrà essere soggetta al pignoramento.
L’importo che arriva attraverso il bonus anziani potrà essere speso per alcuni servizi. Stando a quanto si legge dal provvedimento il contributo servirà per remunerare il costo del lavoro di cura e assistenza, che viene svolto dai lavoratori domestici con mansioni di assistenza alla persona. Il contributo può essere utilizzato per acquistare dei servizi destinati al lavoro di cura ed assistenza che vengono forniti da delle aziende qualificate nel settore dell’assistenza sociale non residenziale.
Bonus anziani, a chi spetta
Come si potrà ben intuire dal provvedimento, il bonus anziani non verrà riconosciuto a tutti. Ma solo ad una determinata categoria di soggetti, ossia gli anziani non autosufficienti, che abbiano un’età anagrafica superiore a 80 anni e abbiano la necessità di assistenza. A valutare i requisiti dei richiedenti sarà direttamente l’Inps.
Altro importante requisito molto importante da rispettare è quello relativo all’Isee sociosanitario, che deve essere inferiore ad una certa cifra.
Ricordiamo che l’Isee è l’indicatore della situazione economico equivalente: serve a fornire una valutazione dettagliata e il più possibile precisa della situazione economica di una famiglia. Viene preso in considerazione il reddito di tutti i componenti della famiglia, il loro patrimonio e viene utilizzata una scala di equivalenza che si basa direttamente sulla L’indicatore tiene conto di particolari situazioni di bisogno, prevedendo trattamenti di favore per i nuclei con tre o più figli o dove sono presenti (appunto) persone con disabilità o non autosufficienti
Leggermente più specifico, invece, è l’Isee sociosanitario, che viene utilizzato per permettere l’accesso a determinate prestazioni sociosanitarie come l’assistenza domiciliare per le persone non autosufficienti o con disabilità O per l’ospitalità alberghiera presso le varie strutture residenziali o semiresidenziali.
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Bonus edilizi, la stretta in Manovra comporta la perdita di 97,3 miliardi di euro
Addio a quasi 100 miliardi di euro: si potrebbe sintetizzare in questo modo la stretta in programma sui bonus edilizi. Vediamo il perché.
La Legge di Bilancio 2025 introdurrà una vera e propria stretta sui bonus edilizi, che si tradurrà, per le famiglie italiane, nel loro complesso, in una perdita di 97,3 miliardi di euro nell’arco di tre anni.
Stando ad alcuni dati diffusi dalla Cna – che si basano su un sondaggio predisposto da Nomisma – la stretta sui bonus sarà particolarmente pesante per le famiglie, che ad oggi riescono a beneficiare di una serie di agevolazioni con aliquote al 36% ed un tetto massimo di spesa pari a 48.000 euro. Sono complessivamente qualcosa come 10 milioni di famiglie che si troverebbero nella situazione di dover rinunciare ai bonus edilizi rivisti e corretti.
Il rapporto predisposto da Nomisma mette in evidenza che la domanda persa ammonterebbe a 97,4 miliardi di euro, ma genererebbe 119,7 miliardi di valore aggiunto e arriverebbe qualcosa come 2,085 milioni di posti di lavoro.
I danni dell’addio ai bonus edilizi
Tra l’altro il rapporto mette in evidenza che la stretta sui bonus edilizi provocherebbe dei danni anche in termini di valore sociale – come, ad esempio, il mancato abbattimento delle barriere architettoniche – e ambientale, per l’energia che non è stata risparmiata.
Nel caso in cui i bonus edilizi dovessero essere completamente azzerati si stima che altre 2,56 milioni di famiglie potrebbero rinunciare ad effettuare dei lavori di ristrutturazione.
Con ogni probabilità la spesa per gli interventi potrebbe attestarsi ai valori esistenti nel 2014, pari, quindi, a 14 miliardi di euro di investimenti. Si andrebbe incontro ad una contrazione tale da portare alla perdita di qualcosa come 17 miliardi di euro di valore aggiunto, la mancata attivazione di 300mila occupati, 33 milioni di euro di minor valore ambientale, mancati risparmi di energia per 2.300 GWh, 409 milioni di mancati risparmi nelle bollette.
Questo è il motivo per il quale Cna e Nomisma suggeriscono di mantenere per almeno un triennio gli attuali bonus edilizi.
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Riscaldamento, ecco quando si può accendere nelle varie zone d’Italia
Il riscaldamento non si accende lo stesso giorno in tutte la parti d’Italia. Scopriamo quando può essere utilizzato.
Con l’autunno arrivano i primi freddi e sono in molti a chiedersi quando sarà possibile accendere il riscaldamento. In molte zone d’Italia, soprattutto al Nord, la stagione termica è già cominciata; da altre parti, invece, si dovrà ancora aspettare un po’ di tempo. Nelle zone settentrionali e centrali dell’Italia (la cosiddetta Zona E), il riscaldamento può essere già acceso (il via è stato dato lo scorso 15 ottobre 2024). A breve lo stesso accadrà nel resto del paese.
Ma vediamo un po’ quando è possibile accendere il riscaldamento nelle varie parti dell’Italia senza correre il rischio di beccarsi una bella multa.
Accensione del riscaldamento, l’Italia divisa a zone
Il riscaldamento può essere acceso a seconda della zona nella quale rientra il Comune di residenza. Il legislatore, infatti, ha suddiviso in più zone la penisola. In base all’area di appartenenza è possibile accendere o meno il riscaldamento.
Nella Zona F, ad esempio, il riscaldamento può essere acceso e spento senza limitazioni. Al suo interno, infatti, rientrano i comuni più freddi e sono comprese le province di Cuneo, Belluno e Trento.
Si possono accendere dal 15 ottobre e devono essere spenti entro il 15 aprile nei Comuni che appartengono alla Zona E (i termosifoni possono stare accesi per un massimo di 14 ore ogni giorno). Al suo interno rientrano le seguenti province: Alessandria, Aosta, Arezzo, Asti, Bergamo, Biella, Bologna, Bolzano, Brescia, Campobasso, Como, Cremona, Enna, Ferrara, Frosinone, Gorizia, L’Aquila, Lecco, Lodi, Milano, Modena, Novara, Padova, Parma, Pavia, Perugia, Piacenza, Pordenone, Potenza, Ravenna, Reggio Emilia, Rieti, Rimini, Rovigo, Sondrio, Torino, Treviso, Trieste, Udine, Varese, Venezia, Verbania, Vercelli, Verona, Vicenza.
Le altre zone dove si può accendere il riscaldamento
Dal 1° novembre – che in alcuni casi può variare come a Roma, che si potranno accendere al 15 novembre – il riscaldamento può essere acceso nella Zona D. I termosifoni possono funzionare per un massimo di dodici ore al giorno e devono essere spenti entro il 15 aprile. Rientrano in questa zona: Ascoli Piceno, Avellino, Caltanissetta, Chieti, Firenze, Foggia, Forlì, Genova, Grosseto, Isernia, La Spezia, Livorno, Lucca, Macerata, Massa Carrara, Matera, Nuoro, Pesaro, Pescara, Pisa, Pistoia, Prato, Roma, Savona, Siena, Teramo, Terni, Vibo Valentia, Viterbo.
Dal 15 novembre, invece, i termosifoni possono essere accesi – per un massimo di 10 ore – nella Zona C e devono essere spenti entro il 31 marzo 2025. In questa zona rientrano le province di: Bari, Benevento, Brindisi, Cagliari, Caserta, Catanzaro, Cosenza, Imperia, Latina, Lecce, Napoli, Oristano, Ragusa, Salerno, Sassari e Taranto.
Il 1° dicembre 2024 l’accensione è prevista nella Zona B. Entro il 31 marzo devono essere spenti. Si possono utilizzare per un massimo di 8 ore al giorno. riguarda le province di Agrigento, Catania, Crotone, Messina, Palermo, Reggio Calabria, Siracusa e Trapani.
Nella Zona A i termosifoni possono essere accesi tra il 1° dicembre ed il 15 marzo. Il limite massimo che possono essere utilizzati è 6 ore. L’area comprende le province di Lampedusa, Porto Empedocle e Linosa.
I consigli per risparmiare
Ogni anno, puntale come l’influenza, arriva il momento nel quale è necessario accendere il riscaldamento perché fa freddo. L’operazione, generalmente, rappresenta anche un aumento delle spese per le famiglie. Con qualche piccolo accorgimento, però, è possibile riuscire a risparmiare.
Tra gli accorgimenti che si possono adottare c’è l’abbassamento di un grado della temperatura, ottimizzare l’uso della cucina – solo per fare un esempio basta abbassare l’intensità del fuoco una volta che l’acqua inizia a bollire – ridurre il tempo di utilizzo della doccia. Ma non solo: adottare delle valvole termostatiche e fare una regolare manutenzione della caldaia. Chi avesse, poi, la possibilità di effettuare dei lavori di ristrutturazione può puntare a risparmiare nel lungo periodo, soprattutto se riesce a sfruttare i bonus edilizi che rimangono.
Di certo seguendo questi consigli i costi non vengono completamente azzerati. Ma è possibile risparmiare un po’.
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Pensione di vecchiaia, chi ci può accedere nel 2025 e con quali regole
Scopriamo quali sono i requisiti per poter accedere alla pensione di vecchiaia nel 2025 e cosa cambierà rispetto a quest’anno.
Siamo ancora lontani da una riforma delle pensioni vera e propria che metta mano alla disciplina previdenziale. Ma la Legge di Bilancio 2025 ha introdotto alcune novità in materia, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti leggermente più flessibili. In questo ampio contesto, sono in molti a chiedersi quando avranno diritto ad accedere alla pensione di vecchiaia: ossia quando potranno andare in quiescenza senza beneficiare di scivoli anticipati o strumenti passeggeri.
Proviamo, quindi, a vedere quali sono i requisiti necessari per accedere alla pensione di vecchiaia nel corso del 2025. Anticipiamo che le regole sono rimaste pressoché le stesse.
Pensione di vecchiaia, chi ci può andare nel 2025
Ricordiamo che la pensione di vecchiaia è la forma di previdenza pubblica, che viene erogata ogni mese direttamente dall’Inps. Vi possono accedere i lavoratori dipendenti e quelli autonomi, che abbiano maturato almeno 20 anni di contributi con 67 anni di età. È necessario, prima di chiedere l’assegno previdenziale, cessare il rapporto di lavoro dipendente, ma non quello autonomo o parasubordinato.
I soggetti che rientrano nel sistema contributivo, per poter accedere alla pensione di vecchiaia, devono aver maturato il diritto ad ottenere un importo pari all’assegno sociale, che per il 2024 corrisponde a 598,60 euro.
Nulla è cambiato per quanto riguarda la decorrenza. La pensione di vecchiaia prevede una serie di finestre mobili: il primo assegno previdenziale arriva direttamente il mese successivo rispetto a quello nel quale è stata presentata la domanda.
All’orizzonte non si vedono delle particolari novità che abbiano un impatto sugli scatti della pensione. Il decreto annuale del Ministero delle Finanze non ha previsto degli adeguamenti alle aspettative di vita fino al 2026 – in Manovra è stato inserito lo sblocco delle progressioni, ma non sembra aver alcun tipo di impatto a livello pratico, almeno per il momento – alla luce delle aspettative di vita che sono state rilevate dall’Istat.
Pensione di vecchiaia, le deroghe che rimangono in vigore
Le consuete deroghe previste per la pensione di vecchiaia rimangono in vigore anche per il 2025. Stiamo parlando di una serie di eccezioni che vengono riservate ad alcune categorie di lavoratori:
- lavori gravosi e usuranti. In questo caso è possibile accedere alla pensione di vecchiaia con quota 97,6, quindi a 61 anni e 7 mesi, purché siano stati maturati almeno 35 anni di contributi se dipendenti. I lavoratori autonomi vi accedono con quota 98,6 (con un anno in più). In questo caso non sono previste delle novità;
- lavoratori con quindici anni di contributi (Legge amato). Alcuni particolari soggetti, che sono stati individuati attraverso l’articolo 2, comma 3, del Dlgs 503/1992 – vi rientrano quanti a fine 1992 avevano 15 anni di contributi – possono avere uno sconto di 5 anni sul regime contributivo dei 20 anni. In questo caso non sono previste delle novità;
- pensione contributiva di vecchiaia. I contributivi puri – che non hanno dei versamenti antecedenti al 1996 – possono andare in quiescenza con soli cinque anni di contributi, ma devono aver compiuto almeno 71 anni (non sono previsti degli importi minimi per l’assegno previdenziale). Nel caso in cui hanno intenzione di accedere alla pensione anticipata contributiva a 64 anni, il loro assegno previdenziale deve essere pari ad almeno 3 volte il trattamento minimo pari a 2,8 volte se sono delle donne con almeno un figlio;
Pensione anticipata: chi vi può andare nel 2025
La Legge Fornero, nel 2025, permette di accedere alla pensione anticipata ordinaria, purché si sia in possesso di un’anzianità contributiva pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.
La Manovra 2024 ha anticipato lo sblocco degli scatti dal 1° gennaio 2025, le stime dell’Istat sulle aspettative di vita hanno confermato che, almeno per il momento, non sono previsti degli adeguamenti ai requisiti anagrafici.
Finanza Personale
Addio alle detrazioni per i figli a carico, ma solo se hanno più di 30 anni
Nel 2025 si dovrà dire addio alle detrazioni per i figli a carico, ma solo se hanno più di trent’anni. Ecco cosa cambia.
A partire dal prossimo anno ci saranno importanti novità relative alle detrazioni per i figli a carico. La Legge di Bilancio 2025, sostanzialmente, elimina il bonus per i figli con più di 30 anni e conferma ufficialmente il fondo di Garanzia per i mutui prima casa.
Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di capire quali sono le principali novità introdotte a partire dal prossimo anno.
Detrazioni per i figli a carico, cosa cambia dal 2025
La Legge di Bilancio 2025, sostanzialmente introduce una serie di importanti novità per le detrazioni per i figli a carico, che sono riservate unicamente per quelli che hanno un’età compresa tra i 21 e i 29 anni. Nel momento in cui compiono 30 anni, l’agevolazione verrà meno. A questa regola generale fanno eccezioni i giovani con una grave disabilità accertata ai sensi dell’articolo 3 della Legge 104/92.
Ma quali sono i redditi che permettono di considerare un figlio fiscalmente a carico? Le regole sostanzialmente sono le seguenti:
- per i figli con fino a ventiquattro anni: reddito pari a zero;
- per chi ha un’età superiore a 24 anni: reddito pari a 840,51 euro.
Prima di proseguire è bene ricordare che la detrazione per i figli a carico è pari a 950 euro. L’importo diminuisce progressivamente man mano che cresce il reddito complessivo del nucleo familiare e il numero dei figli a carico. La detrazione è maggiorata nel caso in cui i figli abbiano un’età inferiore a tre anni.
Le altre agevolazioni fiscali introdotte dal 2025
Attraverso la Legge di Bilancio 2025 non sono solo state modificate le detrazioni per i figli carico, ma sono state modificate le agevolazioni fiscali per le famiglie che hanno un reddito complessivo superiore a 75.000 euro. Si prevede che possano essere ridotte le detrazioni relative:
- alle tasse universitarie;
- spese di affitto per studenti fuori sede.
Attraverso la Legge di Bilancio viene introdotto un limite massimo alle detrazioni di imposta che si basano sul reddito dichiarato. Quanti hanno un reddito inferiore a 75.000 euro potranno beneficiare delle detrazioni nel loro ammontare complessivo. Nel caso in cui dovesse essere superato questo importo è possibile beneficiarne fino ad un limite che viene definito attraverso l’importo base stabilito in base al reddito moltiplicato per un coefficiente che varia in base al numero dei figli a carico.
Questo è l’importo base che deve essere utilizzato per calcolare il coefficiente
- 14.000 euro, nel caso in cui il reddito dovesse essere superiore a 75.000 euro;
- 8.000 euro, nel caso in cui reddito risulti essere superiore a 100.000 euro.
Il coefficiente da utilizzare per moltiplicare l’importo base è il seguente:
- 0,50 se non sono presenti dei figli a carico;
- 0,70 se è presente un figlio a carico;
- 0,85 se sono presenti due figli a carico;
- 1 se sono presenti più di due figli a carico o uno figlio con disabilità.
Fondo di Garanzia per mutui prima casa
Alcune novità all’orizzonte per il Fondo di garanzia per l’acquisto della prima casa, che potrebbe essere finanziato per altri tre anni dalla Legge di Bilancio 2025. Quindi fino al 2027.
Ricordiamo che attraverso il Fondo di garanzia il legislatore è stata prevista una garanzia pubblica sui mutui relativi alla prima abitazione, purché abbiano un importo inferiore a 250.000 euro. Alcune categorie hanno l’accesso prioritario alla misura:
- i giovani con un’età inferiore a 36 anni;
- gli inquilini degli alloggi Iacp;
- nuclei monogenitoriali con dei figli minori conviventi;
- giovani coppie coniugate o conviventi more uxorio da almeno due anni.
Il fondo tenta di agevolare i più giovani perché l’Istat ha rilevato che il 63,3% dei giovani con un’età compresa tra i 18 ed i 34 anni vive ancora insieme ai genitori. Questa è, a tutti gli effetti, una situazione di stallo che coinvolge qualcosa come 6,5 milioni di ragazzi: in parte sono occupati, in parte cercano lavoro e altri sono degli studenti.
La decisione di eliminare la detrazione per i figli con più di 30 anni potrebbe andare ad aggravare ancora di più questa situazione. Spingendo i giovani a continuare a rimanere nel nucleo familiare di origine. E a non farsi una vita propria.
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