Finanza Personale
Inflazione, a Bolzano il carrello della spesa costa 579 euro in più, a Roma 388 euro
L’inflazione ha un impatto diverso nelle città: a Bolzano il carrello della spesa è aumentato molto di più che ad Aosta. Vediamo cosa cambia.
L’inflazione ad ottobre ha registrato una variazione nulla su base mensile, ma è aumentata dello 0,9% su base annua. Il mese precedente era ad un +0,7%. L’Istat, sostanzialmente, ha confermato la stima preliminare con la quale aveva previsto un che l’inflazione risalisse a +0,9%, anche se il quadro congiunturale generale rimane stabile.
Se è vero che a livello complessivo l’inflazione è salita dello 0,9%, è pur vero che il costo della vita non è uguale in tutte le città italiane. Riempire il carrello della spesa comporta degli oneri differenti a seconda della latitudine nella quale si abita. Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di capire quali differenze ci sono nelle varie città del nostro paese.
Inflazione, quali sono le città più care d’Italia
L’Istat ha reso noti i dati territoriali dell’inflazione riferiti al mese di ottobre 2024. Partendo da questa base l’Unione Nazionale Consumatori ha preparato una lista delle città più care del nostro Paese: quelle, in altre parole, dove il costo della vita è più alto. O dove, più correttamente, è aumentato di più. Per effettuare l’analisi sono stati presi in considerazione i capoluoghi di regione o i comuni con almeno 150 mila abitanti.
Bolzano si colloca in cima a questa particolare classifica: l’inflazione tendenziale, in questo caso, è su un +2%. In termini pragmatici questo si trasforma in una maggior spesa da parte delle famiglie media pari a 579 euro. La medaglia d’argento, invece, spetta a Roma, dove, pur registrando la quarta inflazione più alta d’Italia, porta a casa il secondo maggiore incremento di spesa all’anno: 388 euro per ogni famiglia. Sempre sul podio, ma nel gradino più basso troviamo Trento, dove con un’inflazione in crescita dell’1,3% la spesa supplementare risulta essere pari a 383 euro per una famiglia media.
Procedendo troviamo Siracusa, che grazie alla sua seconda maggiore inflazione – pari ad un +1,7% – fa pagare alle famiglie 364 euro in più. a seguire troviamo:
- Padova: inflazione in crescita del 1,4%, mentre la spesa aumenta di 360 euro;
- Parma, Ferrara e Rimini. Per tutte e tre le città i numeri sono i seguenti:+1,3% e +353 euro;
- Ravenna: +1,2%, +326 euro.
A chiudere la top ten delle città nelle quali l’inflazione pesa di più sulla spesa delle famiglie troviamo Macerata: con il suo +1,6% si trova al terzo posto per l’inflazione, ma l’incremento della spesa è pari solo a 322 euro.
Le città più economiche d’Italia
Andando, invece, a vedere le città più virtuose del nostro paese troviamo Aosta, dove si è iniziata a registrare la deflazione: -0,2%. Le famiglie hanno iniziato a risparmiare 52 euro. A pari merito al secondo posto troviamo Forlì e Cesena, anche loro in deflazione (-0,1%): in questo caso le famiglie riescono a risparmiare 27 euro. Potenza conquista la medaglia di bronzo, con una variazione nulla.
All’interno della classifica delle città più virtuose troviamo:
- Biella: +0,1%, +23 euro;
- Modena: +0,1%, +27 euro;
- Teramo: +0,2%, +45 euro;
- Novara: +0,2%, +50 euro;
- Firenze: +0,2%, +52 euro;
- Lodi: +0,2%, 52 euro.
A chiudere la top ten delle città più virtuose troviamo Cremona, con il suo +0,2% pari a 56 euro.
Dando, invece, un’occhiata alle regioni più costose, con un’inflazione annua pari a +1,6% troviamo il Trentino Alto Adige, dove le famiglie si ritrovano a dover pagare 455 euro in più ogni anno. Subito dopo arriva il Lazio, nel quale la crescita dei prezzi è pari all’1,4%: il costo della vita, in questo caso, ha registrato un’impennata pari a 342 euro. In terza posizione c’è la Liguria con il suo +1,1% e un rincaro annuo pari a 256 euro.
La Valle d’Aosta, invece, è la regione dove si risparmia di più: l’unica ad essere in deflazione: -0,2% pari a -52 euro. Seguono:
- Basilicata: +0,1%, +21 euro;
- Molise: +0,4%, +83 euro.
Finanza Personale
Tari, attenzione alle scadenze. Cosa succede se non la si paga in tempo
Attenzione alle scadenze Tari del 2024. Chi non versa la tassa entro il 30 novembre va incontro a delle conseguenze realmente pesanti.
Si avvicina a passo spedito la scadenza della Tari 2024, che è prevista per il prossimo 30 novembre (il Comune di Milano, in questi giorni, ha comunicato invece che la scadenza è stata fissata al 6 dicembre). Questa deadline deve essere fissata in calendario: dimenticarsi di passare alla cassa potrebbe diventare realmente costoso per i contribuenti, che devono mettere in conto delle sanzioni.
Tra l’altro attraverso il Decreto 87/2024 sono state introdotte delle modifiche importanti sulla Tari. Ma cerchiamo di capire a cosa devono stare attenti i contribuenti nel corso dei prossimi giorni.
Tari, le scadenze a cui prestare attenzione
La Tari – ossia la tassa sui rifiuti – ha uno scopo ben preciso: andare a coprire i costi del servizio di raccolta e smaltimento degli stessi. Questa tassa deve essere versata da quanti siano proprietari o siano in possesso a vario titolo di immobili che possano produrre dei rifiuti. È possibile evitare di pagare la Tari solo e soltanto nel caso in cui le abitazioni siano disabitate e non allacciate alle utenze.
A determinare quali debbano essere le scadenze sono i vari Comuni, che si possono muovere a propria discrezione. Nel caso in cui non dovesse essere consegnato il bollettino con le rate, spetta al contribuente rivolgersi direttamente all’amministrazione comunale per riceverne copia.
Nella maggior parte dei casi l’importo della Tari viene suddiviso in due o tre rate. La deadline definitiva è fissata al 30 novembre – con l’eccezione del Comune di Milano, come abbiamo visto in apertura -. Il cittadino ha la possibilità di effettuare il pagamento in un’unica soluzione o nelle rate previste dal Comune, purché venga rispettato il termine ultimo. Nel caso in cui la Tari non dovesse essere pagata, possono scattare delle sanzioni, che sono proporzionate all’entità del ritardo.
Tari, cosa succede se si paga in ritardo
Chi dovesse pagare la Tari oltre la data di scadenza è passibile di sanzioni da parte del Comune. Grazie al ravvedimento operoso, però, è possibile ridurre gli importi da pagare: questo particolare istituto permette di regolarizzare in modo spontaneo eventuali errori o dimenticanze nel pagamento delle tasse e delle imposte.
Il ravvedimento operoso dà possibilità, in altre parole, di pagare la Tari non ancora versata, con una sanzione ridotta e gli interessi calcolati sull’importo che non è stato versato a tempo ed ora.
Generalmente gli importi che costituiscono le sanzioni sono condizionati dalla tempestività con la quale si regolarizza la propria posizione. Fino ad un po’ di tempo fa non era così: prima del Decreto Sanzioni l’ammenda era pari al 30% dell’imposta o della tassa che si doveva versare. Grazie alla nuova norma si è scesi ad un massimo del 25%..
Oggi come oggi, chi volesse regolarizzare il versamento della Tari entro quindici giorni, va incontro ad una sanzione pari ad un 1/15 per ogni giorno di ritardo. Nel caso in cui si dovesse effettuare il pagamento tra i 15 ed i 90 giorni la sanzione ammonta al 12,5% dell’imposta. Nel caso in cui il ritardo dovesse superare i 90 giorni l’ammenda è pari al 25%.
Chi, invece, non dovesse pagare la Tari proprio per niente e non dovesse aderire nemmeno al ravvedimento operoso va incontro a delle conseguenze più serie. Non si parla più di sanzioni, perché il comune potrebbe decidere, per esempio, di agire con l’esecuzione forzata, che può portare al pignoramento dei beni del trasgressore da parte di un tribunale.
Nel caso in cui un contribuente non dovesse pagare la Tari perché il bollettino non gli viene consegnato le cose cambiano un po’. La responsabilità, in questo caso, non cade su di lui. spetta, comunque, al contribuente contattare il Comune, segnalare il problema e regolarizzare la propria posizione.
Finanza Personale
Multe da far spavento per gli automobilisti, dal 1° gennaio arriva un vera e propria stangata
Dal 1° gennaio 2025 per gli automobilisti si prospetta una vera e propria stangata: le multe aumenteranno e sbagliare costerà parecchio.
Dal 1° gennaio 2025 le multe per le infrazioni del Codice della Strada potrebbero diventare più care. All’orizzonte si prospetta una vera e propria stangata per gli automobilisti, che, in caso di violazione delle norme, potrebbero ricevere delle multe più care del 6% se non addirittura del 17%. Gli aumenti sarebbero determinati dall’adeguamento all’inflazione previsto dal Codice della Strada.
A lanciare l’allarme sugli aumenti delle multe ci hanno pensato le associazioni dei consumatori, che hanno ricordato come gli aggiornamenti siano stati sospesi nel corso degli ultimi due anni, onde evitare pesanti aggravi sugli automobilisti dopo la pandemia. Se non dovesse intervenire il Governo, adesso, l’aumento delle multe scatterà automaticamente.
Multe, gli adeguamenti bloccati fino al 2024
Il Codice della Strada – più precisamente all’articolo 195 – prevede che le sanzioni amministrative pecuniarie, irrogate nel momento in cui un automobiliste infrange le regole, debbano essere aggiornate ogni due anni in misura pari all’intera variazione del costo della vita, che è accertata dall’Istat attraverso l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati verificatesi nel corso dei due anni precedenti.
Il Governo aveva deciso di bloccare l’adeguamento delle multe con la Legge di Bilancio 2023 fino alla fine di quest’anno.
Gli adeguamenti che verranno fatti a partire dal 1° gennaio 2025 – sempre che non arrivi un intervento del Governo – rischiano di abbattersi sugli automobilisti, diventando una vera e propria stangata. Assoutenti sottolinea che, in mancanza di un intervento del Governo, gli importi delle multe per le violazioni del codice della strada verranno aumentate così come è previsto dall’articolo 195 del Codice della Strada.
Solo per avere un’idea di quanto stia accadendo, basti pensare che le multe per le infrazioni al codice della strada hanno portato – dal 1° gennaio 2024 ad oggi – qualcosa come 1,4 miliardi di euro nelle casse degli enti locali. A cui si devono andare ad aggiungere 1,8 miliardi di euro dell’intero 2023.
Quanto verrebbero a costare le nuove multe
Dal 1° gennaio 2025 le sanzioni stradali rischiano di diventare più pesanti per gli automobilisti. Ma permetteranno di far brillare un po’ di più le entrate degli enti locali. Stando all’indice biennale Foi dell’Istat l’aumento si dovrebbe attestare intorno al 6%. Prendendo atto che la norma prevede degli arrotondamenti, una multa per uso del cellulare alla guida diventerebbe pari a 175 euro, contro i 165 euro precedenti: si pagherebbero dieci euro in più. Un divieto di sosta passerebbe da 41 a 45 euro, con un aumento di tre euro. Attraversare un incrocio con il semaforo rosso costerebbe 177 euro contro i precedenti 167 euro (dieci euro in più). Superare il limite di velocità da 10 a 40 chilometri orari verrebbe a costare 183 euro, contro i 173 euro precedenti (+10 euro). Superare i limiti da 40 a 60 chilometri all’ora verrebbe a costare 576 euro: in precedenza era 543 euro. Mentre la multa arriverebbe a 896 euro nel caso in cui i limiti di velocità vengano superati di 60 chilometri orari, con un aggravio dei costi di 51 euro.
Gabriele Melluso, presidente di Assoutenti, spiega che è indubbiamente importante perseguire le violazioni del Codice della Strada, perché mettono a rischio la sicurezza pubblica. Ma non è andando ad incrementare gli importi delle multe che si riuscirà a garantire una maggiore sicurezza sulle strade.
Melluso, tra l’altro, è convinto che introdurre un piano educativo biennale nelle scuole superiori che abbia come oggetto la sicurezza stradale possa dare dei risultati migliori rispetto ad un aggiornamento delle sanzioni amministrative. questo è il motivo per il quale Assoutenti si è rivolta al governo guidato da Giorgia Meloni perché provveda a bloccare l’aggiornamento delle sanzioni così come fatto per gli ultimi due anni, ed eviti l’ennesima stangata a carico degli automobilisti italiani.
Finanza Personale
Bonus per gli studenti, ecco chi può ricevere 1.500 euro all’anno
Il bonus per gli studenti è un voucher del valore di 1.500 euro da spendere nelle scuole paritarie. I requisiti per ottenerlo.
Arriva il bonus studente da 1.500 euro, il contributo destinato alle famiglie i cui figli frequentano le scuole paritarie. Per il momento si tratta unicamente di un emendamento – a firma Lorenzo Malagola, deputato di Forza Italia – alla Manovra 2025, ma la novità è destinata a far discutere.
Il bonus 1.500 sarebbe riservato alle famiglie con un reddito Isee fino a 40.000 euro. Verrebbe riconosciuto attraverso un voucher, che potrà essere speso esclusivamente presso delle scuole paritarie. L’importo annuale sarà, ovviamente, pari a 1.500 euro, e viene erogato per ogni studente frequentante. Per coprire finanziariamente la misura sono stati stanziati 65 milioni di euro all’anno.
Bonus 1.500 euro, entriamo nel dettaglio
Le informazioni relative al potenziale bonus 1.500 euro per gli studenti sono rintracciabili direttamente dall’emendamento a firma Lorenzo Malagola. La misura partirebbe con l’esercizio finanziario 2025 e verrebbe erogato alle famiglie con un reddito Isee fino a 40.000 euro. Molto pragmaticamente i beneficiari riceveranno un voucher spendibile esclusivamente presso una scuola paritaria, che sarà pari a 1.500 euro ogni anno.
Il bonus 1.500 euro verrà riconosciuto per ogni studente che frequenta una scuola paritaria primaria, secondaria e di primo grado. E il biennio di una scuola paritaria di Secondo grado. Volendo sintetizzare al massimo, il bonus 1.500 euro è spendibile dalle elementari fino al biennio della scuola superiore.
Attenzione, però, che l’ammontare reale del voucher per ogni studente viene calibrato in base agli scaglioni proporzionali al reddito Isee. E soprattutto nei limiti di un finanziamento complessivo della misura pari a 65 milioni di euro ogni anno.
Sempre nel testo della proposta si legge che al momento la previsione di spesa del Ministero dell’Istruzione e del Merito è pari a 16,25 milioni per il 2025, 65 milioni per il 2026 e per il 2027. Sarebbe stato istituito un apposito fondo a copertura dell’iniziativa.
Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione, ha sottolineato come il governo sia consapevole dell’importanza di assicurare il diritto dei ragazzi – a prescindere dal reddito – di studiare nelle scuole paritarie. Valditara ha poi proseguito spiegando che si starebbe riflettendo su questo argomento importante e si sta studiando per individuare delle soluzioni praticabili.
Bonus 1.500 euro per gli studenti, la reazione del mercato
Immediata è stata la presa di posizione dei sindacati in relazione all’emendamento attraverso il quale si vorrebbe introdurre il bonus 1.500 euro.
Un emendamento che va nella direzione opposta alle nostre rivendicazioni – spiega Giuseppe D’Aprile, segretario Uil Scuola – . Se ci sono fondi disponibili, i finanziamenti devono servire, prioritariamente, ad aumentare le retribuzioni del personale per colmare la loro progressiva perdita di potere d’acquisto. Invece, da un lato si incentiva la frequenza della scuola privata, dall’altro, nella scuola statale, si prevedono tagli pari a 5.660 docenti e 2.174 Ata. Più che incentivare indirettamente le iscrizioni alle scuole paritarie, bisognerebbe invece ripartire con il potenziare prima la scuola statale, nazionale e laica di questo Paese per garantire a tutti lo stesso diritto all’istruzione. Sono prove tecniche di privatizzazione? Resteremo vigili e attenti e non resteremo a guardare, a partire dalla mobilitazione del prossimo 29 novembre”.
Vito Carlo Castellana, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, è sconcertato dalla notizia: decine di migliaia di famiglie fanno fatica a vedersi riconosciuto il diritto allo studio previsto dalla Costituzione per i figli che frequentano la scuola pubblica statale. Adesso le risorse vengono dirottate verso le famiglie che si possono permettere la scuola paritaria. Castellana ritiene che sia utile ed auspicabile un voucher che possa coprire le spese dei libri di testo e dei trasporti per gli studenti in difficoltà economica che frequentano la scuola pubblica statale. Prima ancora di essere approvato il bonus studenti sta già facendo discutere.
Finanza Personale
Bonus 500 euro per le attività extrascolastiche. Ecco chi lo potrà chiedere
Il bonus 500 euro potrà essere richiesto dalle famiglie con dei figli a carico con meno di 14 anni. Ecco i dettagli per chiederlo.
Ai nastri di partenza il nuovo bonus 500 euro, destinato alle famiglie con figli a carico che andrebbe ad aggiungersi a quanto spetta con l’assegno unico universale. Il nuovo contributo mensile servirebbe per effettuare una nuova serie di acquisti connessi principalmente alle attività extrascolastiche: corsi di musica, di lingue straniere o sportivi solo per fare degli esempi.
A proporre il nuovo bonus 500 euro, che verrebbe erogato una tantum, è il gruppo parlamentare Fratelli d’Italia presente alla Camera, dove, proprio in questi giorni, è al vaglio il testo della Legge di Bilancio 2025.
È importante sottolineare che quella relativa al bonus 500 euro, almeno per il momento, è solo una proposta, ma il fatto che l’emendamento sia stato presentato da Fratelli d’Italia aumenta le possibilità che la misura possa effettivamente passare. E che quindi il contributo da 500 euro possa realmente arrivare nelle tasche delle famiglie, anche se, almeno per il momento, è meglio non sbilanciarsi in un senso o nell’altro.
Sono diverse, infatti, le incognite che possono condizionare il passaggio o meno di questa proposta. Sarà necessario, infatti, verificare come il Governo ha intenzione di utilizzare le risorse che arriveranno dal concordato preventivo biennale, che dovrebbero aggirarsi intorno a 1,3 miliardi di euro. Per il momento, purtroppo, le risorse per introdurre il bonus 500 euro – che si andrebbe ad aggiungere a quello di 1.000 euro destinato alle famiglie con bimbi nati nel 2025 – non ci sono. Ma nel momento in cui il governo dovesse riuscire a liberare le risorse necessarie per coprirlo, potrebbero esserci maggiori speranze.
Bonus 500 euro, a chi spetterebbe
Prima di proseguire ribadiamo ancora una volta che il bonus 500 euro per il momento è solo una proposta, che deve essere ancora discussa ed eventualmente approvata.
Ad ogni modo l’emendamento presentato prevede che i potenziali beneficiari abbiano due requisiti fondamentali per potervi accedere. Il sussidio verrebbe erogato – ovviamente nel caso in cui fosse dato il via libera a tutta la misura – solo e soltanto a quelle famiglie che:
- hanno dei figli a carico con un’età inferiore a 14 anni;
- hanno un Isee inferiore a 35.000 euro.
Indubbiamente la soglia Isee è abbastanza alta ed è in grado di comprendere un buon numero di famiglie italiane.
Il contributo previsto dalla misura sarebbe pari a 500 euro netti per ogni figlio con un età inferiore a 14 anni. Ma deve essere utilizzato per acquistare una serie ben specifica di servizi. In un certo senso il bonus 500 euro costituisce un sussidio per le attività extrascolastiche: deve essere utilizzato per pagare determinati corsi, tra i quali ci sono quelli di lingua straniera, di musica. Parte di questi costi, inoltre, potranno essere detratti dalla dichiarazione dei redditi.
Il bonus 500 euro potrà essere utilizzato, inoltre, per coprire i costi relativi ai percorsi didattici culturali o turistici – i cosiddetti viaggi di istruzione – e le eventuali attività sportive. Stiamo parlando, quindi, di un importante contributo che arriverà a tutte quelle famiglie che, per una seria di problemi economici, non riescono a pagare le attività extrascolastiche dei figli.
Bonus 500 euro, quando si potrà chiedere
Per il momento non è ancora troppo presto per sapere quando il bonus 500 euro possa essere chiesto. Al momento informazioni ufficiali e dettagli specifici non ci sono ancora. Nel caso in cui la misura dovesse ottenere il via libera, il contributo non arriverà prima del 2025: ma attenzione potrebbero volerci alcuni mesi per definire le modalità di erogazione.
È possibile che la richiesta debba essere presentata all’Inps utilizzando i canali telematici ufficiali. Anche se è possibile che le famiglie debbano anticipare la spesa e ottenere il rimborso dopo aver documentato i costi.
Finanza Personale
Secondo acconto imposte 2024, arriva il rinvio al prossimo anno
Per il secondo acconto imposte 2024 Giorgetti ha aperto la strada al rinvio a gennaio 2025. Al momento, però, mancano i dettagli della misura.
Il versamento del secondo acconto delle imposte 2024 potrebbe essere rinviato. Ricordiamo che questo importante appuntamento con il fisco è previsto il prossimo 2 dicembre 2024: in calendario, ufficialmente, era il 30 novembre, ma cadendo di sabato ha fatto slittare l’appuntamento di alcuni giorni.
Ad annunciare il rinvio del secondo acconto delle imposte – tra le quali rientra anche l’Irpef – è stato Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, nel corso di una risposta ad un’interrogazione parlamentare del 13 novembre 2024 (per l’esattezza la numero 4-01551). La misura, stando almeno alle prime anticipazioni, ricalcherebbe quella dello scorso anno. Nel caso in cui il rinvio dovesse essere confermato dovrebbe essere inserito in un apposito emendamento al collegato fiscale della Legge di Bilancio 2025. In alternativa potrebbe essere prevista con una misura ad hoc, che potrebbe essere inserita in un altro provvedimento dell’esecutivo.
Secondo acconto delle imposte, cosa era previsto lo scorso anno
A differenza di quanto accade con il saldo e primo acconto, i cui importi possono essere tranquillamente rateizzati dai contribuenti, la regola generale impone che il secondo acconto – la cui scadenza è prevista per la fine di novembre di ogni anno – non sia rateizzabile.
Nel 2023 il legislatore intervenne con un una norma eccezionale che cambiò le carte in tavola: attraverso il Decreto Anticipi – o più correttamente il decreto Legge n. 145/2023 convertito in Legge n. 191/2023 – venne data la possibilità ai contribuenti di optare per il rinvio e il rateizzo degli importi dovuti. I diretti interessati potevano scegliere se effettuare il pagamento in un’unica soluzione o rinviarlo. Quanti avevano optato per il rinvio avevano a disposizione due diverse chance:
- effettuare il versamento in un’unica soluzione entro il 16 gennaio 2024, senza dover pagare delle sanzioni o degli interessi;
- rateizzare il versamento in un massimo di cinque rate, la cui prima era fissata al 16 gennaio 2024 e le successive cadevano il 16 di ogni mese fino a maggio. Sulle rate successive alla prima cadevano degli interessi.
Ad ogni modo la possibilità di rinviare e rateizzare il versamento del secondo acconto non venne data a tutti i contribuenti. L’opportunità venne riservata unicamente alle persone fisiche titolari di partita Iva con ricavi o compensi che, nel periodo d’imposta 2022, non fossero superiori a 170.000 euro. Per effettuare la scelta era sufficiente il comportamento concludente.
Secondo acconto imposte 2025, cosa cambia ora
Per il momento è possibile basarsi esclusivamente sulle anticipazioni del ministro Giancarlo Giorgetti, secondo il quale si starebbe valutando una norma analoga per il secondo acconto delle imposte 2024, che, almeno per il momento, è in scadenza il prossimo 2 dicembre 2024.
Cosa significa tutto questo? Nel caso in cui la proposta dovesse passare, i contribuenti avranno la possibilità di scegliere se pagare entro il 2 dicembre 2024 o se rimandare il versamento al 16 gennaio 2025. Quanti dovessero optare per questa seconda soluzione si troverebbero di fronte a due differenti possibilità:
- procedere con il versamento di quanto dovuto in un’unica soluzione entro il prossimo 16 gennaio 2025. In questo caso non sarebbero applicate delle sanzioni o degli interessi;
- rateizzare gli importi in un massimo di cinque rate, delle quali la prima dovrebbe essere versata entro il 16 gennaio 2025 e le restanti entro il 16 di ogni mese fino a maggio. Anche in questo caso sulle rate successive rispetto alla prima dovranno essere calcolati gli interessi a norma di legge.
Purtroppo le informazioni fornite da Giorgetti attraverso la sua risposta non contengono sufficienti dettagli sulla misura. Ad oggi, quindi, è necessario attendere per sapere se la chance venga data a tutti i contribuenti o se sarà limitata come era avvenuto lo scorso anno.
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