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Regali di Natale, si spenderanno 225 euro a testa per acquistare i doni

Per effettuare i regali di Natale di spenderanno fino a 225 euro a testa. La scelta ricadrà principalmente sulla moda e i profumi.

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Regali di Natale, si spenderanno 225 euro a testa per acquistare i doni

Tempo di regali di Natale: manca ancora una manciata di giorni al 24 dicembre e lo shopping entra letteralmente nel vivo. Un italiano su due  – più correttamente il 53% – deve ancora acquistare i doni da mettere sotto l’albero. Mediamente si prevede che si possano fare poco meno di nove regali a testa: la spesa prevista si attesta complessivamente a 8,1 miliardi di euro, con un budget pro capite di 225 euro. Per i regali di Natale si preferiranno principalmente i capi e gli accessori di moda, ma anche giocattoli, prodotti di profumeria e i libri.

A mettere in risalto questi numeri è un sondaggio condotto da Ipsos per conto di Confesercenti, che ha analizzato in un campione di consumatori italiani sui regali di Natale.

Regali di Natale, quanto conta la tredicesima

A condizionare la voglia  di spesa per i regali di Natale è l’inizio del recupero dei salari reali a cui si aggiunge la crescita dell’occupazione. Generalmente questi due fattori contribuiscono ad innescare un’accelerazione dei consumi, ma le famiglie sono prudenti anche sotto le vacanze di Natale.

I consumatori, mediamente, prevedono di spendere intorno ai 225 euro per acquistare dei regali di Natale. La previsione, grosso modo, è simile a quella dello scorso anno, quando la cifra si aggirava intorno ai 223 euro. Il budget, però, si alza tra quanti percepiranno la tredicesima: questi ultimi hanno intenzione di destinare 270 euro ai regali di Natale. Stiamo parlando del 20% in più.

Con l’avvicinarsi della vigilia, le famiglie iniziano a preferire il canale retail offline per effettuare i regali di Natale. I negozi stanno battendo l’online 6 a 4: il punto vendita fisico viene scelto nel 61% dei casi per effettuare gli acquisti. Il 46% dei consumatori si recherà presso un negozio di vicinato o in un centro commerciale, il 10% sceglie un monomarca di una grande catena di distribuzione e il 4% si recherà presso un mercato o un mercatino. Il 34% dei regali di Natale, invece, viene acquistato direttamente online. utilizzando principalmente le grandi piattaforme (36%). Si è ridotta del 2% la quota degli acquisti che vengono effettuati direttamente sul sito del produttore.

Regali di Natale, si preferisce la moda

Per i regali di Natale quest’anno le famiglie passeranno dalle boutique: il 47% dei consumatori afferma di puntare a dei prodotti di abbigliamento e accessori, mentre un buon 19% ha intenzione di puntare a delle calzature. Tra i regali più ricercati – al secondo posto – troviamo i prodotti di cosmetica: almeno il 42% degli intervistati afferma di preferire questo tipo di oggetto per fare dei regali di Natale. A chiudere il podio troviamo giochi e giocattoli, che interessano il 37% degli intervistati: videogiochi, bambole e giochi in scatole sono le categorie più ricercate.

Tra i regali di natale pi scelti ci sono anche:

  • libri e prodotti editoriali: 33%;
  • tecnologia: 32%, anche se vengono preferiti dei doni il cui costo rimane al di sotto dei 150 euro;
  • dono gastronomico: 30%;
  • prodotto da enoteca: 23%;
  • gioielli/bigiotteria: 26%;
  • oggettistica e prodotti da collezione: 24%.

L’incertezza, sia a livello economico che politico, tende infatti a frenare la fiducia delle famiglie, che continuano ad adottare comportamenti prudenti, privilegiando il risparmio e limitando le spese discrezionali – spiegano da Confesercenti -. In questo contesto, l’esito delle vendite natalizie dipenderà in larga misura dall’andamento della settimana finale, tradizionalmente cruciale per il periodo festivo, poiché contribuisce per circa il 50% alle vendite complessive dei regali. Sarà quindi fondamentale monitorare con attenzione le tendenze di consumo in questi ultimi giorni per valutare l’effettiva ripresa o conferma della prudenza nelle scelte di spesa. Ricordando che una ripresa stabile e duratura dei consumi richiede politiche economiche strutturali, orientate al rafforzamento del potere d’acquisto e alla riduzione del carico fiscale.

Pierpaolo Molinengo è laureato in materie letterarie ed è un giornalista pubblicista iscritto all'Albo dal 2002 [Link di verifica iscrizione all'Albo]. Ha iniziato ad occuparsi di Economia fin da subito, concentrandosi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i suoi interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Pierpaolo Molinengo scrive di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

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Andare in pensione a 64 anni nel 2025, con i fondi complementari si può

A partire dal 2025 si potrà andare in pensione a 64 anni grazie ai fondi complementari. Come funziona la nuova misura.

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Andare in pensione a 64 anni nel 2025, con i fondi complementari si può

Nel 2025 sarà possibile andare in pensione a 64 anni. Ad introdurre la novità è un emendamento alla Legge di Bilancio 2025, attraverso il quale si ha intenzione di rendere leggermente più flessibile l’uscita dal mondo del lavoro. Si potrà accedere all’assegno previdenziale così presto, però, solo se si ha già maturato almeno 20 anni di contributi e si è completamente ed interamente nel regime contributivo. E, soprattutto. cumulando gli importi del fondo complementare. Questi ultimi sono importanti unicamente – una volta sommati ai contributi previdenziali – per raggiungere l’importo richiesto per andare in pensione a 64 anni.

Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di capire chi coinvolge questa importante novità.

Andare in pensione a 64 anni nel 2025

Ruolo importante e determinante per poter andare in pensione al compimento dei 64 anni l’hanno i fondi complementari. Attraverso questi strumenti di risparmio privati, i lavoratori hanno la possibilità di integrare l’assegno previdenziale che viene erogato dal sistema pubblico (prima di tutto l’Inps). Spostando in questi strumenti una determinata cifra – magari parte del Tfr, il Trattamento di Fine Rapporto – è possibile creare una rendita che, nel momento in cui si andrà in pensione, potrà essere affiancata al tradizionale assegno previdenziale.

I fondi complementari giocheranno un ruolo molto importante per chi avesse intenzione di andare in pensione al raggiungimento dei 64 anni. Per il raggiungimento dell’importo minimo per accedere alla pensione viene ammessa la somma tra i contributi previdenziali e i fondi complementari.

Ricordiamo che attualmente la normativa permette di andare in pensione a 64 anni, nel caso in cui il lavoratore abbia maturato almeno 20 anni di contributi e se l’importo dell’assegno previdenziale che percepirà risulti essere pari ad almeno 3 volte la pensione minima per gli uomini e 2,8 volte per le donne. La novità si va ad inserire proprio nelle regole per accedere al suddetto importo: per raggiungerlo è possibile utilizzare anche la rendita del fondo complementare.

Stando ad alcune stime, la novità dovrebbe coinvolgere una platea ristretta: i lavoratori che operano unicamente nel regime contributivo hanno al massimo 28 anni di contributi, otto in più rispetto a quelli previste. Un maggiore effetto potrebbe essere atteso a partire dal 2030, quando la quota dei lavoratori che avranno raggiunto i requisiti minimi sarà più consistente.

Nel caso in cui la cumulabilità con i fondi previdenziali complementari dovesse essere estesa anche ai lavoratori che operano nel regime misto retributivo/contributivo pre 1996, la platea potrebbe allargarsi a 80.000 soggetti.

Un cambio di passo molto importante

Soddisfazione per la decisione di modificare le regole per chi avesse intenzione di andare in pensione al compimento dei 64 anni arriva da Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro della Lega, che ha sottolineato come:

Per la prima volta nella previdenza italiana si potranno cumulare la previdenza obbligatoria e quella complementare per raggiungere un assegno pensionistico pari a tre volte il minimo, riuscendo ad anticipare la pensione a 64 anni. Con il provvedimento si interviene in tema pensionistico affrontando concretamente il problema delle pensioni povere, destinate ad aumentare a fronte di un sistema contributivo che sarà più prevalente.

All’ultimo momento, invece, riceve uno stop il via libera alla norma che permette di attuare il silenzio assenso per trasferire il Trattamento di Fine rapporto nei fondi pensione. Nel corso degli ultimi giorni era salito il pressing della maggioranza per approvare un nuovo semestre che permetterebbe ai lavoratori di trasferire il Tfr dall’azienda alla previdenza complementare.

Alcune ipotesi che stanno circolando in queste ore prevedono alcune restrizioni del meccanismo per i neo assunti: una limitazione che andrebbe a ridurre il costo della misura e che, soprattutto, avrebbe incontrato il favore del Mef, già sceso in campo per fermare qualsiasi tipo di proposta che non abbia le coperture adeguate.

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Rottamazione quinquies, ecco perché potrebbe arrivare nel 2025

Nel 2025 potrebbe arrivare la rottamazione quinquies. La Lega ha intenzione di chiederla con una legge ad hoc. Ecco come dovrebbe funzionare.

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Rottamazione quinquies, ecco perché potrebbe arrivare nel 2025

Al momento non è prevista alcuna rottamazione quinquies. Ma non è tutto perduto: potrebbe arrivare nel 2025. A trarre vantaggio da una nuova sanatoria non sarebbero unicamente i contribuenti, con dei debiti con l’Agenzia delle Entrate: anche il Fisco ne potrebbe beneficiare. Permettere alle famiglie e agli imprenditori di regolarizzare le proprie pendenze tributarie darebbe un po’ di respiro alle casse dello Stato, proprio alla vigilia della riforma della riscossione, che tra non molto tempo dovrebbe entrare in vigore.

Lo scorso 9 dicembre 2024 si è chiusa definitiva la deadline della rottamazione quater (nel conteggio abbiamo tenuto conto anche dei cinque giorni di tolleranza previsti dalla normativa): sono in molti, ora come ora, ad attendere una nuova sanatoria delle cartelle esattoriali. Grazie all’ultima i contribuenti hanno potuto regolarizzare le pendenze fiscali fino al giugno 2022. Nel frattempo sono molte le persone che hanno contratto dei nuovi debiti con il fisco, che attendono speranzosi in una nuova possibilità per mettersi in regola.

Se è vero, da una parte, che l’Agenzia delle Entrate con una eventuale rottamazione quinquies dovrà rinunciare al gettito proveniente da interessi e sanzioni, dall’altra parte potrebbe riuscire ad ottenere maggiori entrate. È questa speranza a far accendere un lumicino in fondo al tunnel e a far sperare che una nuova sanatoria possa arrivare nel 2025.

Rottamazione quinquies nel 2025

In un certo senso la speranza che possa arrivare la rottamazione quinquies nasce da un emendamento (che è stato bocciarto) alla Legge di Bilancio 2025 presentato dalla Lega. Il Carroccio, nonostante il diniego ricevuto, ha annunciato l’intenzione di proporre nuovamente la rottamazione quinquies a gennaio: questa volta con una legge apposita.

Stando alle intenzioni del partito guidato da Matteo Salvini, la nuova sanatoria dovrebbe prendere in considerazione i debiti che sono stati iscritti a ruolo nel periodo compreso tra il 1° luglio 2022 e il 31 dicembre 2023. Stiamo parlando delle cartelle esattoriali che sono rimaste fuori dalla rottamazione quater. Anche la nuova iniziativa dovrebbe permettere di pagare il capitale iniziale senza che vengano applicate delle sanzioni o degli interessi.

Da quanto abbiamo descritto fino a questo momento, la rottamazione quinquies non si dovrebbe discostare di troppo dalle precedenti edizioni. Ma è prevista una novità che, almeno sulla carta, dovrebbe contribuire a superare tutti i punti critici delle varie sanatorie che abbiamo visto fino a questo momento: l’idea sarebbe quella di proporre una dilazione dei pagamenti in dieci anni. Le rate sarebbero mensili e la decadenza arriverebbe solo e soltanto nel momento in cui non verrebbero pagate almeno otto rate.

Attraverso la rottamazione quinquies si riuscirebbero a superare i problemi registrati con le precedenti, tra i quali ricordiamo:

  • le rate trimestrali con un importo troppo alto. Con la nuova sanatoria il versamento sarebbe mensile e quindi più abbordabile;
  • imporre una dilazione in cinque anni in 18 rate rende l’onere troppo pesante quando gli importi sono troppo alti. Suddividendo il pagamento in 120 rate mensili – ossia dieci anni – il versamento da effettuare sarebbe più piccolo e alla portata di tutti;
  • il fatto che alla prima difficoltà i contribuenti rischiano la decadenza, ha fatto in modo che in molti uscissero dalla sanatoria. Dando la possibilità di saltare alcune rate si permette a tutti di riuscire a mantenere i benefici della rottamazione quinquies.

L’importanza della rottamazione quinquies

Nel caso in cui la rottamazione quinquies assumesse i connotati che abbiamo appena visto, qualsiasi contribuente avrebbe la possibilità di sanare la propria posizione con l’Agenzia delle Entrate. Ma non solo: il fisco avrebbe un gettito più alto di tasse.

Ma siamo proprio certi che la rottamazione quinquies si faccia? La riforma della riscossione ha introdotto, proprio a partire dal 2025, il discarico automatico delle cartelle esattoriali non riscosse in cinque anni. Questo obbligherebbe l’Agenzia delle Entrate a mettere in conto, periodicamente, una sorta di saldo e stralcio.

Attraverso una nuova sanatoria il Fisco avrebbe la possibilità di riuscire a recuperare parte dei crediti. Questo è il motivo che renderebbe, almeno sulla carta, sensato pensare ad una nuova sanatoria.

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Bonus elettrodomestici 2025, ecco come funzionerà la misura dal prossimo anno

Dal prossimo anno prenderà il via il bonus elettrodomestici. Scopriamo come funzionerà la nuova misura e a chi sarà riservata.

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Bonus elettrodomestici 2025, ecco come funzionerà la misura dal prossimo anno

Il bonus elettrodomestici partirà dal 2025. L’obiettivo della misura è quello di andare a dare un sostegno economico a quanti hanno intenzione di sostituire un vecchio apparecchio. Al momento sono ancora da definire i criteri e le modalità di erogazione della nuova misura, ma Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha reso note le principali caratteristiche della misura.

Per coprire il costo del bonus elettrodomestici verrà istituito un fondo la cui dotazione iniziale sarà pari a 50 milioni di euro. Il contributo è destinato all’acquisto di prodotti Made in Europe ad alta efficienza energetica, che dovranno sostituire gli apparecchi meno performanti.

Ma vediamo come dovrebbe funzionare il bonus elettrodomestici e quali sono le principali caratteristiche (almeno quelle rese note in questo momento).

Bonus elettrodomestici, come funzionerà

Stando a quanto si evince dalla bozza del testo, il bonus elettrodomestici prevede un contributo non superiore al 30% del prezzo di acquisto di un prodotto. Complessivamente l’importo non dovrà essere superiore a 100 euro per pezzo, che può essere aumentato a 200 euro nel caso in cui l’Isee familiare risulti essere inferiore a 25.000 euro. Sarà possibile richiedere il contributo per acquistare unicamente un elettrodomestico.

Per coprire i costi del bonus elettrodomestici verrà creato un fondo la cui dotazione iniziale sarà pari a 50 milioni di euro: verrà istituito direttamente presso il Ministero. Stando a quanto ha anticipato Urso, il bonus elettrodomestici dovrebbe servire a tutelare la produzione nazionale, andando a sostenere le famiglie nei consumi e promuovendo l’acquisto dei prodotti ecosostenibili.

Stando alle prime indicazioni fornite nel corso di queste ore il bonus elettrodomestici dovrebbe durare solo per un anno (almeno per ora). Sarà fino ad esaurimento delle scorte. Il contributo viene, infatti, erogato fino ad esaurimento delle risorse stanziate.

Potranno accedere alla misura almeno mezzo milione di italiani (stando alle prime stime). Ad ogni modo, entro sessanta giorni dovrebbe essere emanato un decreto firmato congiuntamente dal ministro delle Imprese e del Made in Italy di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze attraverso il quale verranno definiti i criteri e le modalità attraverso i quali verrà erogato il contributo.

Tra l’altro il testo non ha messo alcun tipo di paletto sulla possibilità di cumulare questo incentivo con il bonus mobili, che, proprio per il 2025, permette di portare in detrazione il 50% degli acquisti effettuati a seguito di una ristrutturazione edilizia.

A spingere per l’inserimento del bonus elettrodomestici all’interno di un maxi emendamento alla Legge di Bilancio è stata la Lega. L’obiettivo di questo emendamento è quello di migliorare la competitività del sistema produttivo nostrano e cercare di mantenere i livelli di occupazione del settore. Ma non solo: uno degli scopi dell’emendamento è quello di contribuire ad aumentare l’efficienza energetica tra le pareti domestiche e ridurre i consumi energetici.

Le misure già presenti in Italia

Le famiglie già da parecchio tempo possono beneficiare del bonus mobili ed elettrodomestici, che prevede una detrazione Irpef per l’acquisto, appunto, di mobili ed elettrodomestici nuovi, che devono essere impiegati all’interno di un immobile appena ristrutturato. In un primo momento sembrava che questa agevolazione potesse sparire il 31 dicembre 2024, ma Maurizio Leo, viceministro all’Economia, ne ha annunciato la proroga alla fine del 2025.

Per il 2024 la detrazione deve essere calcolata su un importo massimo di 5.000 euro, che dovrebbe essere confermato anche per il prossimo anno. In precedenza, il tetto di spesa sul quale calcolare la proroga era più alto:

  •  8.000 euro per il 2023;
  • 10.000 euro per il 2022;
  • 16.000 euro per il 2021.

All’interno dell’importo devono essere comprese anche le eventuali spese di trasporto e montaggio. La detrazione deve essere ripartita, nella dichiarazione dei redditi, in dieci quote annuali di pari importo.

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In pensione nel 2025, cosa si devono aspettare i lavoratori il prossimo anno

Andare in pensione nel 2025: a quali novità andranno incontro i lavoratori a partire dal prossimo anno. Scopriamo quali novità ci sono e cosa aspettarsi.

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In pensione nel 2025, cosa si devono aspettare i lavoratori il prossimo anno

Tra le diverse misure che sono contenute all’interno della Legge di Bilancio 2025, alcune riguardano il sistema previdenziale in generale, altre la pensione di vecchiaia nel dettaglio. Il Governo, alla luce di quanto sta emergendo fino a questo momento, non sembrerebbe aver intenzione di rompere con il passato: viene confermata una sorta di continuità con quanto si conosce già, introducendo degli adeguamenti minimi.

Al momento non è arrivata una vera e propria riforma delle pensioni. Ma vengono introdotte alcune piccole modifiche atte ad incentivare la permanenza al lavoro. Cercando di garantire, al tempo stesso, un sostegno alle fasce più deboli. 

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa debba aspettarsi chi ha intenzione di andare in pensione.

Andare in pensione, cosa aspettarsi in futuro

Attraverso la Legge di Bilancio 2025 il legislatore ha introdotto una serie di modifiche al mondo delle pensioni. Al momento non è previsto un vero e proprio superamento della Legge Fornero – ma non si parla nemmeno ad un suo totale e pieno ritorno -. Restano ad ogni modo in vigore Quota 103, Ape Sociale ed Opzione Donna.

Entro la fine dell’anno, tra l’altro, dovrebbe arrivare anche la proposta del Cnel, sulla quale, con ogni probabilità, il Governo imbastirà una riforma previdenziale di più ampio respiro, in un contesto separato e distante dalla Legge di Bilancio.

In questo contesto sono confermate le classiche possibilità per poter andare in quiescenza anticipatamente. Stiamo pensando a Quota 103, Ape Sociale ed Opzione Donna:

  • grazie a Quota 103 i lavoratori hanno la possibilità di andare in pensione anticipatamente a 62 anni, purché abbiano maturato almeno 41 anni di contributi;
  • l’Ape Sociale permette l’uscita dal mondo del lavoro a 63 anni con almeno 30 di contributi, purché i lavoratori appartengono a determinate categorie;
  • Opzione Donna – fino al 31 dicembre 2024 – prevede il pensionamento al raggiungimento dei 35 anni di contributi e 61 di età. È prevista la riduzione di un anno per ogni figlio, per un massimo di due (quindi si scende a 59 anni).

Viene introdotta, inoltre, un’agevolazione per le madri con quattro figli o più, che rientra nella pensione anticipata ordinaria. 

La pensione di vecchiaia ordinaria e le finestre mobili

Ma andiamo a vedere quali sono i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia ordinaria. Per accedervi è necessario aver compiuto almeno 67 anni e aver versato contributi per almeno 20 anni. Discorso diverso per accedere alla pensione anticipata ordinaria, per la quale è necessario aver maturato i seguenti requisiti:

  • uomini: 42 anni e 10 mesi di contributi;
  • donne: 41 anni e 10 mesi di contributi.

Quello a cui devono stare attenti, nel corso del nuovo anno i lavoratori dipendenti, sono le cosiddette finestre mobili, ossia il periodo che intercorre tra la maturazione dei requisiti per andare in pensione e il momento nel quale l’assegno previdenziale viene effettivamente erogato. Il meccanismo – a tutti gli effetti penalizzanti per i beneficiari dei trattamenti previdenziali – è stato introdotto per contenere la spesa pensionistica, rimandando il momento nel quale gli importi vengono erogati. Ma vediamo come funzionano le finestre mobili dal prossimo anno:

  • pensione anticipata ordinaria. La finestra mobile è di tre mesi nel privato, mentre nel pubblico è variabile e si articola come segue: tre mesi per requisiti maturati entro il 31 dicembre 2024. Successivamente aumentano progressivamente fino a diventare 9 mesi dal 1° gennaio 2028;
  • quota 103: 7 mesi nel privato e per gli autonomi, 9 mesi per i dipendenti pubblici;
  • opzione donna: 12 mesi nel privato, 18 per le autonome;
  • pensione precoci (Quota 41): 3 mesi dalla maturazione dei requisiti.
  • pensione usuranti e gravosi: in questo caso la finestra mobile varia a seconda della categoria di appartenenza.
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Naspi 2025, dal prossimo anno la potrà chiedere anche chi si dimette

Importante novità potrebbe arrivare dal prossimo anno per quanti vogliono richiedere la Naspi: la misura sarà accessibile anche a chi si dimette (se passa l’emendamento alla manovra).

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Naspi 2025, dal prossimo anno la potrà chiedere anche chi si dimette

Tra le pieghe e le righe della Legge di Bilancio 2025 spuntano le novità relative alla Naspi, per la quale, a partire dal prossimo anno, sono previste alcune importanti novità: la misura dovrebbe essere estesa anche a quanti si dimettono volontariamente dal posto di lavoro. 

Ad introdurre la novità è un emendamento alla Manovra 2025, depositato nel corso di questi giorni, che introduce questa nuova casistica tra quelle previste per l’accesso alla Naspi 2025. È necessario, però, avere almeno 13 settimane di contribuzione.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di capire quali sono le novità previste dal nuovo emendamento presentato alla Legge di Bilancio 2025.

Naspi 2025, le novità della nuova Manovra

La Naspi, in estrema sintesi, è un’indennità mensile di disoccupazione che viene erogata ai lavoratori dipendenti, in seguito a degli eventi di disoccupazione involontaria, che si sono verificati a partire dal 1° maggio 2015. Il contributo viene erogato mensilmente per un numero massimo di settimane pari alla metà di quelle contributive che sono state maturate nel corso degli ultimi quattro anni.

Nel momento in cui al lavoro la situazione non dovesse essere rosea, i lavoratori, troppo spesso, sono restii a rassegnare le dimissioni: uno dei motivi per i quali non si procede in questo senso è l’impossibilità di accedere alla Naspi nel caso in cui il dipendente si dimetta volontariamente. A partire dal prossimo anno, però, le regole del gioco potrebbero cambiare.

Nel caso in cui l’emendamento alla Manovra 2025 dovesse passare, la Naspi potrebbe essere estesa anche a quanti presentano delle dimissioni volontarie. Oggi, infatti, la misura è riservata unicamente a quanti sono stati licenziati.

In un certo senso questa misura è una stretta contro i furbetti della Naspi, ossia quei lavoratori che, pur avendo deciso di chiudere il rapporto di lavoro con l’azienda, preferiscono non presentare le dimensioni e mettono l’azienda nella condizione di licenziarli per non perdere il diritto alla Naspi.

Le agevolazioni simili alla Naspi

L’emendamento va ad impattare direttamente sulla Naspi, ma le agevolazioni previste per i lavoratori che perdono l’impiego sono molte. Tra queste c’è la Dis-Col che è riservata ai collaboratori coordinati e continuativi, agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca con Borsa di studio. Per accedere a questa valida alternativa alla Naspi, questi soggetti devono aver maturato almeno un mese di contribuzione presso la Gestione Separata Inps.

I calcoli per conoscere a quanto ammonta l’importo sono molto simili a quelli previsti per la Naspi: ci sono gli stessi massimali. Non si tiene conto, infatti, dello stipendio percepito ma del reddito imponibile ai fini previdenziali (si fa riferimento ai versamenti contributivi che sono stati effettuati nel corso dell’anno solare nel quale si è concluso il rapporto di lavoro e in quello precedente: l’ammontare complessivo di quanto è stato percepito viene diviso per il numero di mesi di contribuzione).

Altra importante agevolazione è la Sar, ossia il Sostegno al Reddito, che viene erogato da FormaTemp. Il contributo spetta ai lavoratori che hanno avuto dei contratti di somministrazione. Per poter accedere a questa alternativa alla Naspi è necessario essere disoccupati da almeno 45 giorni con almeno 110 giorni di lavoro maturati. O da almeno 45 giorni da quanti abbiano concluso la procedura Mol, Mancanza di Occasioni di Lavoro.

Quanti dovessero trovarsi in questa situazione possono ricevere un bonus di 1.000 euro che si riduce a 780 euro nel caso in cui siano disoccupati da almeno 45 giorni e abbiano maturato almeno 90 giorni di lavoro nel corso dell’ultimo anno.

È poi possibile, infine ricorrere all’indennità di disoccupazione agricola, che spetta ai lavoratori del comparto agricolo, che possono accedere ad un’agevolazione pari ad un numero di giornate pari a quelle lavorate. In questo caso la misura può essere richiesta solo e soltanto se si è iscritti negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli dipendenti e si abbiano maturato almeno due anni di anzianità nell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria.

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