Finanza Personale
Imu 2024, come non pagare legalmente l’imposta sulla seconda casa
La normativa in vigore permette, in alcuni casi, di non pagare l’Imu sulla seconda casa. Ma si deve essere in possesso di alcuni requisiti.
Insieme al bollo auto e al canone Rai l’Imu è sicuramente una delle imposte più odiate dagli italiani. È una sorta di patrimoniale che costringe a passare dalla cassa i proprietari di un immobile. Attenzione, però, a meno che non sia accatastata in una categoria di lusso, sulla prima casa non è necessario pagare l’Imu: alla casa devono passare solo quanti siano in possesso di più di un immobile.
Partendo dal presupposto che l’Imu è un balzello sulla proprietà, molti contribuenti sono costantemente alla ricerca di un sistema per evitare di fare questo pagamento, cercando degli escamotage grazie ai quali sia possibile evitare di fare il versamento. Con l’avvicinarsi della data del saldo Imu (il 16 dicembre 2024), la ricerca diventa quanto mai ossessiva.
In questa sede cercheremo di spiegare quando è possibile non pagare l’Imu sulla seconda casa. Soffermandosi unicamente sulle casistiche previste dalla legge, che permettono di ottenere delle esenzioni parziali o totali, a seconda dei casi.
Come non pagare l’Imu sulla prima casa: il comodato d’uso
Cercare una scappatoia che permetta di non pagare completamente l’Imu è pressoché impossibile. Però la normativa permette di risparmiare un po’, nel caso in cui si dovessero rispettare alcuni requisiti. Cercare degli sconti e delle agevolazioni fiscali è sicuramente una strada che si può percorrere un po’ più facilmente: non fanno venire meno l’obbligo di versare l’Imu, ma certamente permettono di risparmiare un bel po’ di soldi a fine anno.
Per evitare di pagare l’intero importo dell’Imu è possibile dare in comodato d’uso gratuito l’immobile a dei parenti in linea diretta di primo grado. Quando un immobile viene dato in comodato tra genitori e figli per l’Imu viene riconosciuto uno sconto pari al 50% dell’intera imposta dovuta. Nel caso in cui i contribuenti volessero beneficiare di questo tipo di agevolazione devono rispettare una serie di requisiti ben precisi, tra i quali ricordiamo:
- il comodatario deve adibire l’immobile ad abitazione principale;
- è necessario che l’immobile che viene dato in comodato d’uso gratuito non rientri nelle categorie catastali di lusso, che sono: A/1, A/8 e A/9;
- il comodante deve essere proprietario o, comunque vada, possedere un solo immobile oltre alla casa principale;
- la residenza e la dimora abituale del comodante devono essere nello stesso Comune nel quale è ubicato l’immobile concesso in comodato d’uso;
- il comodante è tenuto a presentare la dichiarazione Imu attraverso la quale attesta di essere in possesso dei requisiti che abbiamo appena indicato.
Ottimizzare il patrimonio immobiliare per non pagare l’Imu
Per non pagare l’Imu sulla seconda casa ci sono altre soluzioni. Una di queste consiste nell’ottimizzazione del patrimonio immobiliare tra i parenti.
Proviamo a fare un esempio: un contribuente è proprietario di due differenti immobili. Il primo è esente Imu, mentre per il secondo è necessario pagare l’imposta. La strada da percorrere per evitare di fare degli esborsi è quella di donare l’immobile ad un figlio. Quest’ultimo dovrà trasferire la propria abitazione principale all’interno dell’immobile e avrà la possibilità di beneficiare delle esenzioni previste per la prima casa.
È bene ricordare, a quanti dovessero optare per questa soluzione, che le donazioni sono quasi sempre revocabili. È quindi importante, prima di fare l’operazione, verificare se la strada sia realmente percorribili e sollevi contestazioni ereditarie.
I contribuenti hanno poi una terza via da percorrere per riuscire ad evitare di pagare l’Imu. Sono esonerati da questo tipo di imposta gli immobili collabenti – quelli che appartengono alla categoria catastale F2 -: stiamo parlando di edifici che sono privi di rendita catastale, perché non sono in grado di produrre un reddito perché sono in stato di particolare degrado.
Rientrano in questa fattispecie i ruderi, gli immobili demoliti in parte, con il tetto crollato. Quando si è proprietari di una casa inagibile o inutilizzabile è possibile chiedere la revisione catastale per evitare di pagare l’Imu.
Finanza Personale
Il caffè al bar arriverà a costare 2 euro. Ecco perché
Il caffè al bar è destinato ad arrivare a costare due euro. La siccità in Brasile e in Vietnam, impattano direttamente sul raccolto.
Quanto costerà prendere un buon caffè al bar? Due euro? La domanda diventa lecita in un momento in cui il caffè Arabica sta correndo sulla Piazza di New York. I contratti future relativi al mese di dicembre hanno registrato un pesante rialzo, sfiorando i 3,9 dollari per libbra, raggiungendo i massimi che si erano visti nel 1977. Ma soprattutto registrando un aumento del 70% da inizio anno.
A brillare è anche il caffè Robusta, una varietà meno nobile, i cui future su dicembre sono cresciuti del 2,9% arrivando a 5.306 dollari la tonnellata, un valore che non si vedeva dagli anni Settanta. Il prezzo di questa importante commodity è condizionato da diversi fattori, che passano dalle condizioni climatiche nei Paesi produttori, per arrivare alle difficoltà legate alla logistica del settore. Cause che avranno un impatto diretto anche sui consumatori, quando dovranno acquistare il caffè.
Caffè, quali sono le cause degli aumenti
Sono diverse le cause che stanno determinando l’aumento del costo del caffè. E che stanno spingendo le quotazioni sulla piazza di New York. Una delle principali è la siccità che ha colpito il Brasile nel corso degli ultimi mesi: una situazione che ha innescato una serie di preoccupazioni relative al livello di produzione in questo paese. Altri problemi, poi, arrivano dal Vietnam: una delle più importanti zone di produzione è stata, anch’essa, colpita da una siccità nel periodo della crescita e, nel momento del raccolto, da forti piogge.
Quanto è accaduto in Brasile e nel Vietnam sono andati ad impattare sulla produzione di caffè: i due Paesi sono i maggiori coltivatori di questa materia prima. Il Brasile esporta principalmente la varietà premium Arabica, mentre il Vietnam è leader per la varietà Robusta.
A pesare sul prezzo del caffè non ci sono solo i problemi climatici di Vietnam e Brasile: alcune difficoltà sono state riscontrate anche in Colombia, il secondo produttore a livello mondiale della varietà Arabica. Il settore si sta ancora cercando di rimettere in piedi dagli effetti provocati da El Niño nel 2024. In una situazione diversa si trovano Costa Rica e Honduras, dove l’integrità dei raccolti è stata messa in dubbio dalle violenti piogge che hanno colpito recentemente i due paesi.
Quanto sta accadendo ai raccolti rischia di avere un duro impatto sulla produzione del caffè a livello mondiale, che, in ultima analisi, determinerà un aumento dei costi a carico dei consumatori finali. I venditori hanno aumentato i prezzi e tagliato gli sconti in modo da riuscire a proteggere i margini di profitto.
L’impatto sulla tazzina di caffè
Cosa cambia, a questo punto, per i consumatori italiani? Il rischio, secondo Assoutenti, è che una tazzina di caffè possa arrivare a costare 2 euro al bar.
Le forti tensioni che hanno investito le quotazioni del caffè si ripercuoteranno sui listini praticati al pubblico, portando a inevitabili ritocchi al rialzo per la classica tazzina servita al bar, ma anche per il cappuccino – spiega Gabriele Melluso, presidente di Assoutenti -. Negli ultimi anni l’espresso ha subito continui aumenti di prezzo, al punto che nel primo semestre del 2024 il prezzo medio nelle principali città si è attestato a 1,19 euro rispetto a 1,03 del 2021, con un rincaro del +16,1% in tre anni. Per non parlare del caffè consumato al tavolo, che in alcune zone d’Italia a forte vocazione turistica può arrivare anche a 5 euro.
A far impennare i listini, in un primo momento, era stato il caro energia. Adesso i livelli record che hanno toccato le quotazioni del caffè rischiano di far diventare reale la preoccupazione che una tazzina possa arrivare a costare due euro, cosa già paventata nel corso degli ultimi mesi dai produttori. ipotesi, inutile dirlo, che comporterebbe l’ennesima stangata per i consumatori , che potrebbero essere costretti a modificare radicalmente le proprie abitudini. Ogni anno vengono serviti nei locali pubblici qualcosa come 6 miliardi di caffè, che generano un giro d’affari pari a 7 miliardi l’anno.
Finanza Personale
Tasse, una zavorra che strangola la vita di imprese e privati nel 2024
Le tasse sono una zavorra per le imprese e i privati, che non riescono a tenere il passo con gli altri paesi dell’Unione europea.
Tasse, una zavorra per le imprese italiane. A cui si aggiungono i problemi connessi al conflitto russo-ucraino, che alle aziende del nostro paese è costato qualcosa come 155,1 miliardi di euro. Solo per avere un’idea di quanto stia accadendo, basti pensare che la pressione fiscale in Italia nel 2023 si è trasformata in qualcosa come 36,6 miliardi di euro di maggiori tasse che imprese e cittadini devono pagare. Pari a 620 euro pro capite in più rispetto al resto dell’Eurozona.
A metterlo in evidenza è l’Ufficio Studi Confartigianato: in una recente analisi ha scattato una fotografia su quelli che sono i principali problemi che devono affrontare imprese e cittadini: tasse e la guerra in Ucraina.
Tasse e conflitto in Ucraina, le zavorre delle imprese
155,1 miliardi di euro è il costo che stanno pagando dal 2022 ad oggi le imprese italiane per il conflitto russo-ucraino. A determinare questa pesante fase di stallo economico sono le mancate esportazioni verso i due paesi coinvolti nella guerra, che ha determinato una perdita di 13,4 miliardi di euro. A cui si devono andare ad aggiungere i 18,4 miliardi di euro di mancate esportazioni verso la Germania e i maggiori costi sostenuti per acquistare l’energia, pari a 78,9 miliardi di euro. Da non dimenticare, infine, i 44,3 miliardi di maggiori oneri finanziari che sono stati determinati dall’aumento dei tassi di interesse per contrastare l’inflazione.
Purtroppo le tensioni geopolitiche non sono destinate a fermarsi. Un altro shock ai prezzi energetici potrebbe arrivare arrivare dal protrarsi della crisi in Medio Oriente, destinata da avere un impatto recessivo sul Pil dell’Italia per 18,8 miliardi di euro nel corso del biennio 2025.
Le tasse, inutile negarlo, pesano sull’attività degli imprenditori: la pressione fiscale nel 2023 ha registrato un aumento pari a 36,6 miliardi di euro di imposte per le imprese e i cittadini. In Italia, rispetto al resto dell’Eurozona, si paga 620 euro di tasse pro capite in più.
A strangolare l’attività delle imprese e la vita delle famiglie non sono solo le tasse e il conflitto in Ucraina: c’è anche il caro bollette. Nel corso del biennio 2022-2023 le piccole imprese hanno dovuto pagare qualcosa come 11,8 miliardi di euro di energia elettrica in più rispetto alla media degli altri paesi dell’Unione europea.
Burocrazia e manodopera, gli altri problemi delle imprese
A preoccupare le imprese non è unicamente il fronte delle tasse, ma anche quello della burocrazia. Almeno il 73% degli imprenditori si è lamentato che le procedure amministrative sono complesse: stiamo parlando di sette punti percentuali in più rispetto al 66% della media dell’Unione europea. Ma non solo: il 78% degli imprenditori ha la sensazione di essere ostacolato dai continui cambiamenti legislativi. In questo caso stiamo parlando di ben 14 punti percentuali in più rispetto al 64% della media dell’Unione europea.
La vita degli imprenditori, inoltre, è complicata dalla carenza di manodopera. Il fenomeno continua a crescere, tanto che nel corso del mese di novembre 2024 le aziende di manifattura e servizi hanno difficoltà a reperire almeno il 47,9% del personale necessario: mancano 207.790 lavoratori. Sono 2,1 punti percentuali in più rispetto al 45,1% del 2023. in Italia si è venuto a generare un paradosso: i giovani non cercano lavoro, ma le aziende cercano lavoratori. Sempre Confartigianato, in un suo rapporto, ha messo in evidenza che i giovani inattivi tra 25 e 34 anni sono pari a 1.495.000 euro: un vero e proprio primato negativo per il nostro paese nell’Unione europea, con un tasso del 24,2% a fronte del 14,1% della media dell’Ue.
Anche in questo contesto pesano le tasse – o più correttamente – il cuneo fiscale sul lavoro. Nel nostro paese è pari al 41,1%, che corrisponde a 3,5 punti in più rispetto al 41,6% della media dei 22 paesi avanzati membri dell’Unione europea e a 10,3 punti in più rispetto alla media dei paesi che fanno parte dell’Ocse.
Finanza Personale
Pensioni, ecco il calendario dei pagamenti di dicembre 2024
Reso noto il calendario dei pagamenti delle pensioni del mese di dicembre 2024. Ecco quando verranno pagate.
A dicembre, come ogni mese, arriva puntuale come un orologio svizzero il pagamento delle pensioni. Ma non solo: verranno messe in pagamento alcune prestazioni sociali ed assistenziali previste per le famiglie e i disoccupati.
Andiamo a vedere, quindi, quando verranno messi in pagamento, nel corso del mese di dicembre 2024 le prestazioni dell’Inps. In questa sede non ci soffermeremo unicamente sulla pensione, ma daremo uno sguardo anche alla Naspi, all’assegno di inclusione e all’assegno unico. Ma vediamo una per una le date dei pagamenti previste nel prossimo mese.
Pensione, quando verrà pagata a dicembre
Come ogni altro mese, a dicembre la pensione verrà messa in pagamento il primo giorno bancabile: l’accredito, quindi, avverrà il 2 dicembre 2024 nel caso in cui il pagamento avvenga presso Poste italiane o negli altri istituti di credito tramite bonifico sul conto corrente postale o bancario.
Le pensioni inizieranno ad essere disponibili sempre dal 2 dicembre 2024 anche per i titolari di un Libretto di Risparmio, di un Conto BancoPosta o di una PostePay che abbiano optato per l’accredito diretto. Quanti siano in possesso di una Carta di Debito associata a dei conti o dei libretti o di Poste Pay avranno, quindi, la possibilità di fare i prelievi in contanti direttamente presso gli Atm Postamat più vicini a casa, senza la necessità di doversi recare direttamente allo sportello.
Discorso diverso, invece, per quanti hanno intenzione di ritirare le loro pensioni in contanti direttamente ad uno sportello. In questo caso devono rispettare l’ordine alfabetico, che si articola in questo modo:
- lunedì 2 dicembre 2024: A- B;
- martedì 3 dicembre 2024: C- D;
- mercoledì 4 dicembre 2024: E- K;
- giovedì 5 dicembre 2024: L – O;
- venerdì 6 dicembre 2024: P – R;
- sabato 7 dicembre 2024 (solo mattina): S- Z.
Ricordiamo che le pensioni possono essere ritirate presso uno dei 12.800 Uffici Postali che sono disseminati in tutto il territorio nazionale. Chi dovesse avere la necessità di ulteriori informazioni può consultare il sito di Poste Italiane o chiamare il numero verde: 800.003322.
Non c’è solo la pensione: gli altri pagamenti
Ad essere messa in pagamento nel corso del mese di dicembre 2024 non è solo la pensione. Verso la metà del mese – più correttamente il 17, il 18 e il 19 dicembre – viene messo in pagamento l’assegno unico. Le spettanze arriveranno a quanti lo stanno già percependo: nel caso in cui ci siano state delle modifiche o la domanda è stata presentata successivamente, l’accredito arriverà alla fine del mese successivo rispetto a quello di presentazione dell’istanza.
Volendo dare uno sguardo agli altri pagamenti oltre a quello delle pensioni, ricordiamo che a metà mese è prevista l’erogazione della Naspi di dicembre 2024. La data esatta di erogazione del contributo varia a seconda del giorno nel quale è stata presentata la domanda di disoccupazione. Quanti avessero la necessità di conoscere quale sia la data esatta possono consultare online il proprio fascicolo previdenziale, accedendo al sito istituzionale dell’Inps con lo Spid, la Cns o la Cie. Le stesse date coinvolgono quanti stanno percependo la Dis-Coll.
Ideologicamente molto lontano dalle pensioni è l’assegno di inclusione: una misura nata recentemente – ha visto la luce ufficialmente il 1° gennaio 2024 -: è stato avviato subito dopo la l’introduzione del supporto per la formazione e il lavoro, che è partito nel corso del mese di settembre 2024. La misura può essere richiesta telematicamente attraverso il portale dell’Inps o appoggiandosi sui patronati o sui Centri di Assistenza Fiscale.
Il contributo viene erogato dopo la verifica dei requisiti e decorre dal mese successivo rispetto a quello nel quale è stato sottoscritto il PAD. È importante sottolineare che l’erogazione è subordinata alla partecipazione ad un percorso realizzato su misura per il richiedente che prevede la partecipazione ad alcuni progetti di inclusione sociale e lavorativa. La prossima mensilità dovrebbe arrivare intorno al 27 dicembre 2024.
Finanza Personale
Isee 2025, finalmente fuori i Titoli di Stato. Cosa cambia per le famiglie italiane
I Titoli di Stato finalmente escono dall’Isee. La novità, che partirà non prima del nuovo anno, avrà un impatto sulla richiesta dei bonus e della altre agevolazioni.
La bozza di Dpcm attraverso il quale modificare il regolamento Isee è giunto alla Camera. Un traguardo indubbiamente importante, dato che al suo interno è contenuta una novità prevista dalla Legge di Bilancio 2024 (quella per intenderci dello scorso anno, approvata nel 2023) e che non è mai stata applicata fino a questo momento: l’esclusione dall’Isee dei Titoli di Stato e dei libretti postali.
Le nuove modalità di calcolo della situazione finanziaria delle famiglie, con ogni probabilità, dovrebbero partire dal prossimo anno, dopo che le commissioni parlamentari si saranno espresse sull’argomento.
Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire quale impatto possa avere l’esclusione dei Titoli di Stato e dei libretti postali dall’Isee.
Isee 2025, fuori dal calcolo i Titoli di Stato
Partiamo dalle basi. I Titoli di Stato e i libretti postali verranno esclusi dal calcolo dell’Isee fino ad un valore massimo pari a 50.000 euro. L’Inps, con il messaggio n. 165/2024, aveva spiegato, però, che la disposizione sarebbe entrata in vigore immediatamente, perché è subordinata all’approvazione di una serie di modifiche al regolamento Isee.
Fino ad oggi, quindi, la disciplina relativa al patrimonio immobiliare in possesso delle famiglie non è stata cambiata: la Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) è rimasta immutata rispetto al passato. I richiedenti, tra l’altro, continuano ad essere obbligati ad indicare tutti i rapporti finanziari di cui sono titolari al 31 dicembre 2022.
Fin qui abbiamo parlato di Titoli di Stato e libretti postali, ma è bene essere più precisi. Nell’esclusione dal conteggio Isee sono compresi:
- BoT;
- CTz;
- BTp;
- CcT;
- buoni postali fruttiferi;
- libretti di risparmio postale.
Essere in possesso di questi prodotti di investimento non sarà più rilevante ai fini dell’Isee. Nel conteggio rientrerebbero anche i prodotti di raccolta del risparmio che sono destinati al pubblico retail, ma non quelli riservati agli investitori istituzionali.
L’impatto sulla spesa publbica e sulle tasche delle famiglie
Stando alle valutazioni tecniche contenute all’interno della relazione tecnica allegata al Dpcm, le modifiche che verrebbero apportate al regolamento comporterebbero la riduzione del valore dell’Isee di molte famiglie. L’ovvia conseguenza è che le spese pubbliche per una serie di prestazioni aumenterebbero (stiamo pensando, solo per fare un esempio, ai bonus sociali sulle bollette e all’assegno unico). Si ritiene che l’aumento medio possa essere dello 0,23%, che comporterebbe un costo annuo aggiuntivo per lo Stato pari a 44 milioni di euro, che è già coperto con la Legge di Bilancio 2024.
L’impatto che avrebbe sull’Isee è sostanzialmente ritenuto trascurabile per molte prestazioni. Nella maggior parte dei casi le soglie richieste sono molto basse: sicuramente l’effetto più evidente coinvolgerebbe l’assegno unico, dato che gli importi vengono erogati proprio sulla base delle varie fasce Isee.
Cad Acli, per conto de Il Sole 24 Ore, ha fatto alcune simulazioni per cercare di capire quali siano gli impatti per i diretti interessati. Prendiamo in considerazione una famiglia composta da due genitori con due figli e con le seguenti caratteristiche:
- reddito da lavoro dipendente;
- abitazione di proprietà;
- grosso modo 79.000 euro di patrimonio mobiliare.
Il loro Isee potrebbe scendere di circa 2.000 euro nel caso in cui abbiano investito 25.000 euro in Titoli di Stato e di 4.000 euro nel caso in cui il suddetto investimento salga a 50.000 euro.
Possiamo ritenere che già dal prossimo anno le nuove regole dell’Isee possano essere applicate? Con ogni probabilità sì, anche se è ancora da sciogliere il nodo delle tempistiche per effettuare tutti i passaggi. Dopo che il Dpcm verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale, sono necessarie le istruzioni operative dell’Inps per compilare la Dichiarazione Sostitutiva Unica. Il testo ha già ottenuto il via libera dal Garante della Privacy, del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata.
Finanza Personale
Partita Iva, arriva il rinvio delle imposte al 16 gennaio 2025
Importante novità per i titolari di partita Iva: le imposte sono rinviate al 16 gennaio 2024. Ed è possibile pagarle in cinque comode rate.
Anche quest’anno i titolari di partita Iva hanno la possibilità di rateizzare i versamenti relativi al secondo acconto delle imposte sui redditi. Come già era avvenuto nel 2023, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti con un volume d’affari inferiore a 170.000 euro possono iniziare a versare gli importi dovuti a partire dal mese di gennaio 2025. Il pagamento può essere suddiviso in cinque rate.
Ma vediamo in cosa consiste questa novità riservata ai titolari di partita Iva.
Partita Iva, le tasse saranno a rate
La possibilità di pagare a rate il secondo acconto sui redditi è stata introdotta dalla Lega, che ha presentato ben tre emendamenti: due al Decreto Fiscale e uno alla Legge di Bilancio 2025. La rateizzazione, che coinvolge i titolari di partita Iva, è stata appoggiata da Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, che nel corso degli ultimi giorni aveva manifestato il proprio appoggio verso questo tipo di soluzione.
Nel corso del 2023, ad optare per il pagamento a rate per il secondo acconto delle imposte sono stati 276 mila titolari di partita Iva, suddivisi in questo modo:
- 83.233 contribuenti Irpef;
- 193.044 soggetti che hanno optato per i regimi minimi e forfettari.
La misura ha avuto un impatto diretto sugli incassi dello Stato, perché ha determinato uno spostamento di cassa per circa 600 milioni di euro. I titolari di partita Iva hanno sostanzialmente confermato l’interesse per questo tipo di flessibilità fiscale.
Alberto Gusmeroli, presidente della commissione Attività produttive della Camera, si dice molto soddisfatto dei risultati della misura, di cui è stato promotore. Gusmeroli ha sottolineato che la proroga costituisce a tutti gli effetti una vera e propria semplificazione fiscale. Per la seconda volta, nell’arco di cinquant’anni, le imposte non vengono pagate in anticipo, ma si versano nel momento in cui l’anno fiscale è chiuso ed il reddito è stato guadagnato. Vengono eliminate le sanzioni e la necessità di alcuni contribuenti di ricorrere a dei prestiti per riuscire a rispettare le scadenze.
Ma le novità previste per i titolari di partita Iva non finiscono qui. La Lega ha presentato un emendamento che punterebbe ad estendere la platea dei beneficiari, andando ad includere anche le persone fisiche, le società di persone, di capitale e le associazioni che sono soggette agli Isa. Il periodo di rateazione verrebbe esteso fino al 16 giugno 2025. Al centro di un’altra proposta ci sarebbero i contributi previdenziali ed assistenziali, che potrebbero rientrare nel regime del pagamento a rate.
Uno degli obiettivi che si è fissato Gusmeroli è quello di rendere strutturale il pagamento a rate del secondo acconto delle imposte, andando ad estendere la misura ai dipendenti e ai pensionati che hanno dei redditi aggiuntivi. L’intento sarebbe quello di garantire una maggiore equità fiscale, ma soprattutto mettere a disposizione degli strumenti di sostegno concreto a tutti i contribuenti.
Cosa prevede il rinvio nel dettaglio
Come andrà ad impattare sui titolari di partita Iva la norma che prevede il rinvio del secondo acconto delle imposte? Volendo sintetizzare al massimo viene rinviata la scadenza del 2 dicembre 2024 – ricordiamo che quella consueta del 30 novembre 2024 cade di sabato, quindi è previsto il consueto slittamento – al 16 gennaio 2025.
Attenzione, però, verranno rinviati unicamente le imposte sul reddito. Il nuovo testo emendativo non contiene l’estensione del rinvio e della rateazione per i contributi previdenziali ed assistenziali. Per questo tipo di versamento, quindi, i contribuenti dovranno continuare a rispettare la scadenza del 2 dicembre 2024.
Per i versamenti effettuati il 16 gennaio 2025 non sono previste delle sanzioni o degli interessi. questi ultimi verranno applicati unicamente ai versamenti effettuati tra febbraio e maggio 2025: dovranno essere applicati quelli previsti dalle normi vigenti.
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