Investimenti
Shell: addio a business riduzione emissioni. Gruppo manterrà solo quota di minoranza. Business da 120 milioni in calo
Shell segue l’esempio di altre società petrolifere e cerca il disimpegno dai business “green”.
Continua il disimpegno da parte delle grandi del petrolio dal settore ESDG. Shell, in un più ampio contesto di concentrazione degli sforzi sulle attività più redditizie, ha infatti annunciato la volontà di di cedere parte delle quote dei suoi business che operano nel settore della riduzione delle emissioni. La decisione sarebbe stata presa in quanto il gruppo anticipa la riduzione dell’attrattiva del mercato degli offset per le emissioni di CO2. Una situazione che probabilmente si incrocia anche con questioni politiche – principalmente negli Stati Uniti – che potrebbero fare da traino ad un graduale disimpegno a livello globale di certe attenzioni da parte di… certi gruppi.
Solo ad inizio ottobre BP aveva preso una decisione simile, rinunciando a qualunque piano per la riduzione della produzione di petrolio, altra notizia che fu interpretata come un fallimento, almeno parziale, degli sforzi fatti in tal senso dalle principali società che si occupano di idrocarburi.
Meno domanda per gli offset, ma non solo
A guidare la decisione di Shell sono stati almeno due motivi: la società ritiene che la domanda per gli offset sarà in calo per il futuro prossimo e dall’altro ritiene al tempo stesso di dover concentrare gli sforzi sulle attività più redditizie per il gruppo. Attività più redditizie che esulano dal gruppo di operazioni ESG che il gruppo ha pur avviato nel corso degli ultimi anni.
Il ritiro è già in parte avvenuto, anche perché Shell, secondo quanto viene riportato da Bloomberg, non vedrebbe in alcun modo un vantaggio strategico per i prossimi anni rispetto alla concorrenza.
Il gruppo avrebbe comunque intenzione di mantenere delle quote di minoranza, anche se non è chiaro per il momento di quale entità. Shell starebbe dialogando, per il momento, principalmente con società di private equity potenzialmente interessate all’acquisto. Non è chiaro che tipo, per il momento, di conseguenze avrà la cessione di Shell sul resto del comparto.
News Economia
Inflazione secondo aspettative negli USA: +2,6% per CPI, +3,3% per CORE. Ora tagli in dubbio?
Arrivano i dati dell’inflazione USA, perfettamente allineati con le previsioni. Bitcoin spinge verso il record.
Tutto secondo previsioni, o forse no. L’inflazione negli USA fa registrare una Core ferma al 3,3%, e un’inflazione classica al 2,6%, vicina a quella delle previsioni che si erano però rapidamente innalzate nel corso delle ultime ore. Siamo dunque in linea con quanto i mercati si aspettavano, per quanto questi dovranno emettere la loro sentenza definitiva durante la riapertura dei mercati alle 15:30 ora italiana. Difficile interpretare per ora, alla luce del rimbalzo per l’inflazione classica, quali saranno gli intendimenti di Federal Reserve per l’incontro del FOMC di dicembre, che è ancora in bilico per quanto riguarda la possibilità di tagliare o non tagliare i tassi di ulteriori 25 punti base.
Una situazione che comunque non è di particolare angoscia per i mercati, che non prenderebbero forse troppo male la possibilità di rallentare il percorso di ritorno verso i tassi neutrali (che però nessuno conosce), cosa che potrebbe essere interpretata anche come maggiore fiducia verso il soft landing, l’atterraggio morbido per l’economia USA che potrebbe a questo punto evitare la recessione.
Intanto i mercati già aperti…
Per ora atteggiamento pimpante anche sul mercato di riferimento quando le borse USA sono chiuse, ovvero quello di Bitcoin. Spike verso l’alto poi ampiamente corretto e poi ripartito, segno che di incertezza ce n’è ancora tanta e che servirà a conferma la guida da parte delle borse USA per capire quale direzione prendere.
Dati che dunque non cambiano granché a livello macro – con i prossimi sul mercato del lavoro che potrebbero essere i più importanti per quanto riguarda la prossima decisione di Federal Reserve. Decisione che comunque non sarà granché decisiva in termini di ritorno verso tassi espansivi. Come ha già ricordato infatti Jerome Powell, siamo ancora ampiamente in territorio restrittivo e con ogni probabilità dovremo rimanerci ancora a lungo, almeno fino a quando non si sarà convinti al 100% della traiettoria dell’inflazione verso il 2%.
Investimenti
Parla Neel Kashkari di Fed Minneapolis: se inflazione sopra +2,4% no tagli ai tassi
Si riapre lo scenario del “no tagli” a dicembre. Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis.
Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis – tra i falchi designati di questo ciclo – che mette le mani avanti sulle prossime decisioni di Federal Reserve per quanto riguarda i tassi di interesse, che saranno dettate anche dal dato sull’inflazione in arrivo il 13 novembre. Un dato sull’inflazione che ci si aspetta relativamente alto e in controtendenza rispetto al calo degli scorsi mesi.
Un dato alto che potrebbe, dice Kashkari, mettere in dubbio il taglio previsto per dicembre, ovvero il secondo dei tagli che sarebbero dovuti arrivare a conclusione del 2024. Poco male, per quanto i mercati preferirebbero certamente avere un altro taglio e dunque un ritorno a maggiore liquidità il prima possibile.
Tra il dire e il fare, lo spauracchio dell’inflazione…
Il problema torna a essere quello di qualche mese fa. L’inflazione potrebbe tornare a fare capolino. Tenendo conto di un mercato del lavoro che è però ancora forte, potrebbe essere proprio l’aumento dei prezzi per i consumatori a tornare preponderante e dunque a indirizzare le prossime decisioni di Fed. Questo almeno nella lettura di Neel Kashkari, che ha un atteggiamento mediamente hawkish e che i mercati non sembrerebbero condividere appieno.
Servirebbe un dato importante – nel senso di un dato più alto delle previsioni – che sono fissate intorno al 3,3% in termini di consenso per la Core e al 2,4% invece per l’inflazione classica. Per ora Fed Watchtool indica come probabilità dei tagli di 25 punti base a dicembre il 62%. Qualcosa che potrebbe cambiare comunque secondo il dato di domani, come ha appunto indicato Kashkari, che sarà anche hawkish, ma che nel caso di inflazione più alta del previsto potrebbe finire per avere ragione. Una ragione che potrebbe avere un impatto negativo su borse che stanno vivendo un grande 2024. E che aprirebbe però di nuovo ad una lettura ancor più interessante: se si può rallentare sui tagli, vuol dire che Fed ha enorme fiducia sulla possibilità di un soft landing, fiducia dettata dallo stato complessivo dell’economia USA.
Investimenti
Swisscom: nuove proposte per il deal Vodafone / Fastweb. Spazio fino al 10 dicembre per AGCM
Swisscom offre un pacchetto di remedies per ottenere ok AGCM. Basterà?
Arrivano gli emendamenti di Swisscom per la proposta di fusione di Fastweb con Vodafone nel nostro Paese, proposta che aveva ricevuto il niet – o meglio un primo giro di commenti preoccupati da parte di AGCM – l’autorità garante della concorrenza e del mercato in Italia. Autorità che aveva sottolineato come un’eventuale fusione dei due gruppi avrebbe creato un player dominante sia per il settore corporate e istituzionale, sia per il mercato retail.
Una situazione, quella delle possibili fusioni e acquisizioni dei maggiori gruppi della telefonia che operano in Italia che è da tempo fonte di preoccupazione e che ha visto diversi cambiamenti di fronte nel corso del 2024, anno che ha suggellato anche l’arrivo di KKR in TIM. Non è chiaro se le offerte di Swisscom saranno accettate da parte di AGCM, che a quel punto potrebbe anche decidere di sbloccare il tentativo di fusione.
I remedies offerti da Swisscom
I remedies, gli emendamenti offerti a AGCM sono in realtà diversi e permettono di avere una sorta di ottimismo per quanto riguarda la possibilità che l’affare vada in porto. Swisscom ha infatti offerto l’apertura ai competitor della sua infrastruttura fibra detenuta e controllata tramite Fastweb, per i clienti corporate e amministrativi. Al tempo stesso Fastweb manterrà tutti i contratti all’ingrosso con gli altri operatori per offrire connettività ai clienti di carattere residenziale.
Swisscom sarebbe anche d’accordo con la creazione di un trustee che monitori l’andamento del mercato e gli eventuali effetti della fusione di cui sopra. In ultimo, si preoccuperà di fornire tutte le informazioni rilevanti per il mantenimento di un mercato equilibrato anche dopo l’eventuale fusione. Non ci sono stati commenti per il momento da parte dei soggetti direttamente coinvolti.
La risposta dovrà arrivare dopo il 10 dicembre, data ultima per AGCM per valutare la proposta. Nel caso di ok, se ne riparlerebbe comunque nel primo trimestre del 2025. Il nuovo set di proposte non ha avuto effetti sul titolo di Swisscom, che viene scambiato a 513 franchi svizzeri, in calo dell’1,6% rispetto alla quotazione con la quale aveva chiuso la giornata di scambi di ieri.
Investimenti
Bitcoin sopra i 68.000$, MSTR fa +30%: a due anni dal GRANDE CRACK è un altro mondo crypto
Bitcoin spinge MSTR ai massimi di sempre. Ma c’è di più che sta accadendo nel mondo Bitcoin…
Quasi +30% in quella che diventerà una giornata storica sia per Bitcoin, sia per MicroStrategy. Quella che un tempo era una società di software e che oggi si è trasformata in un’enorme forziere di Bitcoin ha battuto i suoi massimi storici. +28,50%, prezzi vicini ai 350$ per titolo e festa grande sia per il prezzo di Bitcoin, sia per l’annuncio, da parte dell’azienda, di aver acquistato negli scorsi giorni altri 27.200 Bitcoin.
È un cammino che va di pari passo ma non troppo, con $MSTR che ha performato meglio di Bitcoin all’interno di un 2024 già straordinario per la criptovaluta più capitalizzata al mondo, oggetto di ETF e anche di attenzioni positive, questo forse il motivo dei motivi che ha portato alla corsa di questi giorni, da parte del futuro Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Un Trump Trade che sta producendo effetti che vanno oltre il brevissimo periodo e che aprono ora a scenari molto difficili da anticipare, in quella che è una price discovery vera e propria.
Settore maturo? Intanto spingono le azioni
Oggi ricorre un altro importante anniversario per il mondo crypto: esattamente due anni fa Sam Bankman-Fried, allora prodigio che dominava o quasi il mercato, firmava l’avvio del Chapter 11, la procedura di gestione del fallimento negli USA, che porterà poi l’exchange alla liquidazione e lo stesso SBF ad una condanna molto dura. Due anni che hanno visto Bitcoin quadruplicare il suo prezzo e anche l’arrivo di soggetti che forse in pochi sarebbero riusciti ad immaginare vicini a BTC, come Larry Fink di BlackRock.
Siamo però pur sempre sui mercati – e le digressioni romantiche su quello che fu contano meno di zero. Contano i numeri – e oltre i gain di giornata parlano di 38 miliardi di scambi, secondo quanto è stato riportato da Eric Balchunas di Bloomberg, per gli ETF più MSTR e Coinbase, l’unico exchange quotato in borsa.
Numeri che parlano più degli importanti gain (anche di MSTR) e che forse rispondono in modo affermativo alla domanda che ci siamo posti in apertura. Due anni valgono più di due secoli nel mondo crypto. E sono più che sufficienti per dimenticare, in soli due anni, dove era il comparto.
Investimenti
Federal Reserve taglia di 25 punti base. Occhi puntati sul discorso di Jerome Powell
Federal Reserve taglia i tassi di 25 punti base. Ora parla Powell che darà una direzione ai mercati.
Il FOMC delibera quanto era più che scontato. Taglio di 25 punti base ai tassi di interesse negli USA, seguendo quanto Powell aveva già indicato nella precedente riunione. Dovrebbe essere, a meno di clamorosi rimbalzi da parte dell’inflazione, il penultimo dei tagli di questo 2024. Cosa che però dovrà essere confermata anche dalla conferenza stampa di rito di Jerome Powell che si terrà alle 20.30 ora italiana. Una conferenza stampa che arriva al termine di una settimana che è stata dominata dalla questione elettorale.
La vittoria di Donald Trump non impatterà in alcun modo sulle prossime decisioni di una banca centrale, Federal Reserve, che rimane la più indipendente dal potere politico al mondo. Cii sarà però da fare qualche considerazione di medio e lungo periodo, in particolare in corrispondenza con politiche fiscali che si preannunciano come fortemente espansive, politiche fiscali che dovranno con ogni probabilità portare ad una sorta di contenimento delle politiche monetarie gestite da Federal Reserve.
Tutto secondo programma
Tutto secondo programma da Federal Reserve, con il FOMC che chiude la riunione comunicando tagli da 25 punti base. Tagli che erano stati in realtà anticipati da Jerome Powell e che sono giustificati sia da un rallentamento dell’inflazione, sia al tempo stesso da un rallentamento del mercato del lavoro. Per ora le condizioni per un soft landing sembrerebbero confermate: trimestrali e PIL confermano un’economia USA ancora in salute.
L’ultima parola però dovranno darla i mercati, per ora relativamente fiduciosi di quanto sta facendo Powell – tenendo però sempre conto del fatto che non tutto sarà nelle mani di Federal Reserve. Ora occhi puntati sulla conferenza stampa di Jerome Powell: il Presidente di Federal Reserve non è uomo di grandi proclami – e gli analisti si produrranno in esegesi di gesti, sguardi e parole per cercare di capire quale sarà la prossima direzione di Federal Reserve in termini di tassi.
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