Finanza Personale
Concordato preventivo biennale, ecco perché è una buona opportunità per far crescere le aziende nel 2025
Il concordato preventivo biennale è un’ottima occasione per far crescere le aziende. Scopriamo il perché.
Stando ai dati che sono stati diffusi dal Ministero dell’Interno sarebbero 522.195 le partite Iva – delle quali 403.195 sono soggetti Isa e 118.723 forfettari – ad aver aderito al concordato preventivo biennale. Stiamo parlando del 12% degli aventi diritto. L’Agenzia delle Entrate sta tentando di allargare il più possibile la platea degli aderenti: oltre alla proroga della scadenza (che è stata spostata al 12 dicembre 2024) ha inviato una lettera a 2 milioni e 200mila titolari di partita Iva.
Tra i soggetti che hanno deciso di aderire al concordato preventivo biennale vi sono molti soggetti che hanno ritenuto utile la possibilità di non incorrere in verifiche fiscali, che costituiscono un vero e proprio costo economico e di tempo. Anche per le aziende e i professionisti più virtuosi sotto il profilo fiscale. Ad aderire è anche un’ampia platea di partite iva che hanno ritenuto valida la possibilità di pianificare e prevedere anticipatamente quali possano essere i propri costi fiscali per il biennio 2024-25.
Concordato preventivo biennale, un opportunità per crescere
Secondo Maria Grazia Tumolo, commercialista del network Partner d’Impresa, il concordato preventivo biennale potrebbe dimostrarsi una valida opportunità per alcune imprese. A poterne beneficiare sono sicuramente le PMI ad alto tasso di innovazione in settori stabili come il tech. O le imprese che sanno di ricevere un round di finanziamenti che potrebbero permettere di accelerare la produzione e lo sviluppo e che, quindi, si aspettano uno sviluppo del fatturato.
Stando ai dati in possesso del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, nel corso del primo trimestre 2024 le startup innovative, nel nostro paese, sono state 12.954. Indubbiamente un numero in calo rispetto al 2023, che è giustificato dall’aumento delle PMI innovative, che rappresentano il passo successivo delle startup innovative.
Si tratta di un’opportunità per pianificare con maggiore precisione il proprio futuro fiscale – spiega Maria Grazia Tumolo -. Tuttavia, come ogni scelta strategica, richiede una valutazione attenta e un’analisi finanziaria organizzata per non incorrere in potenziali rischi.
Tumolo ritiene che in Italia ad essere interessati dal concordato preventivo biennale siano principalmente le imprese a gestione familiare con in corso un passaggio generazionale. Stando ai dati in possesso della XV edizione dell’osservatorio AUB del 2024 le piccole e media imprese a gestione familiare costituiscono il 65% del tessuto imprenditoriale italiano. Nelle aziende di più grande dimensione che rientrano tra queste, la leadership è nelle mani della famiglia imprenditoriale (65,7%), mentre nelle realtà più piccole lo è addirittura nel 78,8% dei casi.
Analizzando i bilanci di diverse imprese che seguo come professionista è emerso che molte aziende che dal 2021 al 2023 hanno avviato un percorso di passaggio generazionale che non si è concretizzato solo in una rivisitazione della compagine sociale, ma più incisivamente nell’avvio di processi di evoluzione e sviluppo tecnologico, hanno riscontrato una notevole convenienza all’adesione al concordato – spiega Maria Grazia Tumolo -. La convenienza pare emergere dalla convinzione abbastanza attendibile che il reddito che andranno a conseguire per l’anno 2024 sarà più alto di quello concordato mentre quello relativo al 2025, sebbene sottoposto a molteplici incertezze, sarà comunque il frutto di una pianificazione già esistente, fondata su commesse già firmate, contratti con nuovi clienti già avviati, lancio di nuovi prodotti già testati.
Imprese di famiglia e concordato preventivo biennale
Rispetto alle altre PMI innovative le imprese di famiglia hanno, a tutti gli effetti, una marcia in più: a renderle particolari è un elemento connesso all’esperienza pregressa, che viene tramandata alle nuove generazioni, soprattutto quando ci sono dei progetti di espansione delineati nel tempo.
In questo tipo di aziende, dove i legami affettivi di chi vi lavora sono importanti e fondamentali, si fa tesoro degli errori che sono stati commessi nel passato in modo che non vengano replicati dai figli nel momento in cui prendono in mano le redini dell’attività. Questo permette di dare una maggiore solidità di partenza alle aziende a cui si aggiungono delle visioni innovative introdotte dalle nuove generazioni. In questo contesto il concordato preventivo biennale è uno degli strumenti di leva per la crescita: un mezzo attraverso il quale impiegare il denaro che con ogni probabilità verrà risparmiato per avviare nuovi investimenti.
Finanza Personale
Intesa Sanpaolo, l’app è di nuovo down. Terrore per l’accredito delle pensioni
Di nuovo down l’app di Intesa Sanpaolo. Scene di panico e terrore tra i clienti, preoccupati per l’accredito della pensione.
L’app di Intesa Sanpaolo, questa mattina, risulta essere down. In poco meno di un mese questa è la seconda volta che i clienti di uno dei più importanti colossi bancari italiani hanno difficoltà ad accedere al proprio conto corrente. Questa volta, la banca ha comunicato che la visibilità di alcuni movimenti potrebbe non essere disponibile.
A preoccupare i clienti di Intesa Sanpaolo è l’impossibilità di vedere accreditati i bonifici. Ma lo stop arriva in una giornata delicata, che coincide con il termine ultimo entro il quale effettuare il versamento degli acconti per le imposte (per alcuni contribuenti non è scattato il rinvio al 16 gennaio 2025). Chi non avesse programmato l’operazione nei giorni scorsi, si trova impossibilitato a farlo oggi.
Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di capire quali sono i problemi che stanno affrontando i clienti di Intesa Sanpaolo.
Intesa Sanpaolo, l’app è down
Da questa mattina – con precisione dalle 7:40 di oggi 2 dicembre 2024 – l’app di Intesa Sanpaolo è down. I titolari di un rapporto bancario presso l’istituto di credito non hanno la possibilità di accedere al proprio conto corrente online e, soprattutto, non possono effettuare delle operazioni. Purtroppo il down risulta essere intenso e starebbe colpendo trasversalmente in tutte le regioni dell’Italia. Le segnalazioni dei disguidi hanno raggiunto dei picchi particolarmente elevati, anche rispetto ad altri malfunzionamenti che nel corso del mese di novembre hanno colpito il portale di Intesa Sanpaolo.
Nel momento in cui i titolari di un conto corrente provano ad accedere all’app di intesa Sanpaolo trovano un semplice segnale di errore. Nel messaggio si riesce a leggere esclusivamente: generic_error. Sfogliando, poi, i dettagli tecnici si scopre quanto segue: Server responded with 500 e poi il codice specifico dell’errore: (LO0023).
Stando a quanto segnalato da alcuni utenti, il down di oggi avrebbe creato non pochi disguidi, perché stando a quanto riportato dai clienti nei vari commenti sparsi sul web, sembrerebbe che il down di Intesa Sanpaolo abbia creato un problema con l’accredito della pensione, che molti clienti non riescono a visionare.
Il down dell’app di Intesa Sanpaolo sta generando degli episodi di panico. Oggi, infatti, in molti dovrebbero vedere accreditata la pensione. Qualcuno, particolarmente preoccupato, ha scritto:
Mia madre questa notte mi ha chiamato piangendo pensando gli avessero tolto la pensione, poi stamane di nuovo piangere perché intesa ha mandato un messaggio dicendo che ha superato il limite mensile.
Altri utenti, invece, riferiscono che Intesa Sanpaolo avrebbe già mandato una comunicazione, asserendo che il problema potrebbe essere risolto già in mattinata.
Intesa Sanpaolo, perché non si vedono gli accrediti
I problemi non sono solo relativi ad uno stop all’accesso all’app di Intesa Sanpaolo. Alcuni clienti riescono ad accedere, ma non riscono a navigare fluidamente e hanno dei problemi nella visione dei vari movimenti.
Certamente la preoccupazione più importante è quella relativa all’accredito della pensione o dei bonifici attraverso i quali si riceve lo stipendio. Una volta entrati nell’home banking, comunque vada, è possibile trovare il seguente messaggio che dovrebbe rassicurare un po’ i diretti interessati:
Gentile cliente, ti informiamo che, a causa di un rallentamento momentaneo, la visibilità di alcuni movimenti (per esempio mutui o accredito pensioni) potrebbe non essere disponibile. Ci scusiamo per il disservizio.
Certamente a questo punto sarebbe opportuno che Intesa Sanpaolo faccia chiarezza su quanto sta accadendo. Nell’arco do poco meno di un mese, infatti, è la seconda volta che i suoi clienti non riescono ad accedere al proprio conto corrente online. In un periodo nel quale si stanno chiudendo le filiali fisiche e si spingono a più non posso le app e le attività online, diventa scomodo non riuscire ad accedere alle proprie attività bancarie nemmeno in questo modo.
Finanza Personale
Addio al bollo auto, ecco chi non lo deve pagare più dal 2025
Chi potrà dire addio al bollo auto a partire dal 2025? Lo potrà fare solo una categoria di automobilisti in possesso di alcuni requisiti.
Gli automobilisti potranno dire addio al bollo auto dal prossimo anno, nel caso in cui dovessero essere in possesso di una serie di requisiti. L’obolo che ogni anno le famiglie devono pagare per il proprio proprio veicolo è una delle più detestate: sono in molti a domandarsi chi debba pagare il bollo auto e se sia possibile accedere a delle esenzioni per poter risparmiare questo balzello
Ma chi, ora come ora, può effettivamente dire addio al bollo auto? Le leggi attualmente in vigore prevedono una serie di esenzioni per delle categorie ben definite e molto precise. L’agevolazione spetta a quanti siano proprietari di un veicolo d’epoca: nel caso in cui le auto e le moto dovessero avere un’età superiore a 30 anni, l’obolo da versare è sostanzialmente ridotto a poco più di una tassa di circolazione forfettaria. Ma i mezzi non devono essere utilizzati per degli scopi commerciali.
Nel caso in cui, invece, il veicolo abbia un’età compresa tra i 20 ed i 29 anni, i proprietari hanno la possibilità di beneficiare di alcune esenzioni: ma attenzione è possibile accedervi solo e soltanto in alcune regioni, come ad esempio la Lombardia, che ha introdotto delle specifiche misure per queste particolari categorie. Non sarà possibile, però, dire addio al bollo auto in maniera automatica: il veicolo deve essere considerato di interesse storico.
I veicoli ecologici potranno dire addio al bollo auto
Discorso diverso per i veicoli elettrici e ibridi, che potranno dire addio al bollo auto. Sono molte le regioni italiane che premiano i mezzi a zero emissioni esentando dal pagamento del bollo auto per un periodo variabile, che può arrivare fino a cinque anni dal momento dell’immatricolazione. La misura ha due obiettivi ben precisi:
- incentivare l’adozione di mezzi meno inquinanti;
- favorire la mobilità sostenibile.
Ma le possibilità di dire addio al bollo auto non finisco qui. È bene ricordare, inoltre, che le persone con disabilità riconosciuta ai sensi della Legge 104 hanno la possibilità di richiedere l’esenzione dal pagamento dell’obolo per un veicolo che sia intestato a loro o a un familiare che lo abbia a carico fiscalmente. È possibile accedere a questo beneficio purché il mezzo rispetti alcune caratteristiche tecniche, tra le quali ci sono una cilindrata limitata e una potenza massima.
Finanza Personale
Tredicesima, 14,5 miliardi di euro andranno in tasse
A dicembre viene erogata la tredicesima. A guadagnarci non saranno solo e soltanto i lavoratori, ma anche il fisco, che riceverà un bel regalo.
Dicembre, tempo di tredicesima per i lavoratori dipendenti e per i pensionati. Ma peccato che sui 59,3 miliardi di euro erogati a livello nazionale, qualcosa come 14,5 miliardi di euro andranno al fisco. A fare i conti in tasca alle famiglie italiane – e alle casse dell’erario – ci ha pensato la Cgia di Mestre, che ha analizzato chi guadagna dalla tredicesima. E purtroppo non sono solo i dipendenti e i pensionati.
Da lunedì 2 dicembre 2024 inizierà ad essere erogata la tredicesima: i primi a vedersela accreditata sul conto corrente o a poterla ritirare in contanti presso gli sportelli degli uffici postali sono i pensionati. Nel corso delle settimane successive la riceveranno anche i dipendenti pubblici e quelli privati.
Tredicesima, in quanti la riceveranno nel 2024
Secondo le stime elaborate dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre a ricevere la tredicesima saranno qualcosa come 35,7 milioni di persone. Al netto delle imposte arriveranno nelle tasche dei lavoratori e dei pensionati 44,8 miliardi di euro. Ma non saranno solo loro ad essere felici della gratifica natalizia: anche il Fisco potrà festeggiare grazie ad un bottino di 14,5 miliardi di gettito Irpef.
Considerando le imposte e i contributi Inps, gli imprenditori privati e le amministrazioni pubbliche, per la tredicesima, dovranno pagare qualcosa come 59,3 miliardi di euro.
Secondo alcune stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze, i lavoratori dipendenti che nelle prossime settimane oltre alla tredicesima riceveranno il bonus Natale da 100 euro saranno almeno 4,6 milioni. Ad introdurre questa novità era stato lo scorso anno il governo Meloni: la novità interessa unicamente i dipendenti con dei redditi medio-bassi che guadagnano nel corso dell’anno meno di 28.000 euro ed hanno almeno un figlio a carico. Per ricevere il contributo, allo stesso tempo, è necessario avere un’imposta lorda su redditi di lavoro dipendente il cui importo sia superiore alle detrazioni (da lavoro) spettanti.
Finanza Personale
Il caffè al bar arriverà a costare 2 euro. Ecco perché
Il caffè al bar è destinato ad arrivare a costare due euro. La siccità in Brasile e in Vietnam, impattano direttamente sul raccolto.
Quanto costerà prendere un buon caffè al bar? Due euro? La domanda diventa lecita in un momento in cui il caffè Arabica sta correndo sulla Piazza di New York. I contratti future relativi al mese di dicembre hanno registrato un pesante rialzo, sfiorando i 3,9 dollari per libbra, raggiungendo i massimi che si erano visti nel 1977. Ma soprattutto registrando un aumento del 70% da inizio anno.
A brillare è anche il caffè Robusta, una varietà meno nobile, i cui future su dicembre sono cresciuti del 2,9% arrivando a 5.306 dollari la tonnellata, un valore che non si vedeva dagli anni Settanta. Il prezzo di questa importante commodity è condizionato da diversi fattori, che passano dalle condizioni climatiche nei Paesi produttori, per arrivare alle difficoltà legate alla logistica del settore. Cause che avranno un impatto diretto anche sui consumatori, quando dovranno acquistare il caffè.
Caffè, quali sono le cause degli aumenti
Sono diverse le cause che stanno determinando l’aumento del costo del caffè. E che stanno spingendo le quotazioni sulla piazza di New York. Una delle principali è la siccità che ha colpito il Brasile nel corso degli ultimi mesi: una situazione che ha innescato una serie di preoccupazioni relative al livello di produzione in questo paese. Altri problemi, poi, arrivano dal Vietnam: una delle più importanti zone di produzione è stata, anch’essa, colpita da una siccità nel periodo della crescita e, nel momento del raccolto, da forti piogge.
Quanto è accaduto in Brasile e nel Vietnam sono andati ad impattare sulla produzione di caffè: i due Paesi sono i maggiori coltivatori di questa materia prima. Il Brasile esporta principalmente la varietà premium Arabica, mentre il Vietnam è leader per la varietà Robusta.
A pesare sul prezzo del caffè non ci sono solo i problemi climatici di Vietnam e Brasile: alcune difficoltà sono state riscontrate anche in Colombia, il secondo produttore a livello mondiale della varietà Arabica. Il settore si sta ancora cercando di rimettere in piedi dagli effetti provocati da El Niño nel 2024. In una situazione diversa si trovano Costa Rica e Honduras, dove l’integrità dei raccolti è stata messa in dubbio dalle violenti piogge che hanno colpito recentemente i due paesi.
Quanto sta accadendo ai raccolti rischia di avere un duro impatto sulla produzione del caffè a livello mondiale, che, in ultima analisi, determinerà un aumento dei costi a carico dei consumatori finali. I venditori hanno aumentato i prezzi e tagliato gli sconti in modo da riuscire a proteggere i margini di profitto.
L’impatto sulla tazzina di caffè
Cosa cambia, a questo punto, per i consumatori italiani? Il rischio, secondo Assoutenti, è che una tazzina di caffè possa arrivare a costare 2 euro al bar.
Le forti tensioni che hanno investito le quotazioni del caffè si ripercuoteranno sui listini praticati al pubblico, portando a inevitabili ritocchi al rialzo per la classica tazzina servita al bar, ma anche per il cappuccino – spiega Gabriele Melluso, presidente di Assoutenti -. Negli ultimi anni l’espresso ha subito continui aumenti di prezzo, al punto che nel primo semestre del 2024 il prezzo medio nelle principali città si è attestato a 1,19 euro rispetto a 1,03 del 2021, con un rincaro del +16,1% in tre anni. Per non parlare del caffè consumato al tavolo, che in alcune zone d’Italia a forte vocazione turistica può arrivare anche a 5 euro.
A far impennare i listini, in un primo momento, era stato il caro energia. Adesso i livelli record che hanno toccato le quotazioni del caffè rischiano di far diventare reale la preoccupazione che una tazzina possa arrivare a costare due euro, cosa già paventata nel corso degli ultimi mesi dai produttori. ipotesi, inutile dirlo, che comporterebbe l’ennesima stangata per i consumatori , che potrebbero essere costretti a modificare radicalmente le proprie abitudini. Ogni anno vengono serviti nei locali pubblici qualcosa come 6 miliardi di caffè, che generano un giro d’affari pari a 7 miliardi l’anno.
Finanza Personale
Tasse, una zavorra che strangola la vita di imprese e privati nel 2024
Le tasse sono una zavorra per le imprese e i privati, che non riescono a tenere il passo con gli altri paesi dell’Unione europea.
Tasse, una zavorra per le imprese italiane. A cui si aggiungono i problemi connessi al conflitto russo-ucraino, che alle aziende del nostro paese è costato qualcosa come 155,1 miliardi di euro. Solo per avere un’idea di quanto stia accadendo, basti pensare che la pressione fiscale in Italia nel 2023 si è trasformata in qualcosa come 36,6 miliardi di euro di maggiori tasse che imprese e cittadini devono pagare. Pari a 620 euro pro capite in più rispetto al resto dell’Eurozona.
A metterlo in evidenza è l’Ufficio Studi Confartigianato: in una recente analisi ha scattato una fotografia su quelli che sono i principali problemi che devono affrontare imprese e cittadini: tasse e la guerra in Ucraina.
Tasse e conflitto in Ucraina, le zavorre delle imprese
155,1 miliardi di euro è il costo che stanno pagando dal 2022 ad oggi le imprese italiane per il conflitto russo-ucraino. A determinare questa pesante fase di stallo economico sono le mancate esportazioni verso i due paesi coinvolti nella guerra, che ha determinato una perdita di 13,4 miliardi di euro. A cui si devono andare ad aggiungere i 18,4 miliardi di euro di mancate esportazioni verso la Germania e i maggiori costi sostenuti per acquistare l’energia, pari a 78,9 miliardi di euro. Da non dimenticare, infine, i 44,3 miliardi di maggiori oneri finanziari che sono stati determinati dall’aumento dei tassi di interesse per contrastare l’inflazione.
Purtroppo le tensioni geopolitiche non sono destinate a fermarsi. Un altro shock ai prezzi energetici potrebbe arrivare arrivare dal protrarsi della crisi in Medio Oriente, destinata da avere un impatto recessivo sul Pil dell’Italia per 18,8 miliardi di euro nel corso del biennio 2025.
Le tasse, inutile negarlo, pesano sull’attività degli imprenditori: la pressione fiscale nel 2023 ha registrato un aumento pari a 36,6 miliardi di euro di imposte per le imprese e i cittadini. In Italia, rispetto al resto dell’Eurozona, si paga 620 euro di tasse pro capite in più.
A strangolare l’attività delle imprese e la vita delle famiglie non sono solo le tasse e il conflitto in Ucraina: c’è anche il caro bollette. Nel corso del biennio 2022-2023 le piccole imprese hanno dovuto pagare qualcosa come 11,8 miliardi di euro di energia elettrica in più rispetto alla media degli altri paesi dell’Unione europea.
Burocrazia e manodopera, gli altri problemi delle imprese
A preoccupare le imprese non è unicamente il fronte delle tasse, ma anche quello della burocrazia. Almeno il 73% degli imprenditori si è lamentato che le procedure amministrative sono complesse: stiamo parlando di sette punti percentuali in più rispetto al 66% della media dell’Unione europea. Ma non solo: il 78% degli imprenditori ha la sensazione di essere ostacolato dai continui cambiamenti legislativi. In questo caso stiamo parlando di ben 14 punti percentuali in più rispetto al 64% della media dell’Unione europea.
La vita degli imprenditori, inoltre, è complicata dalla carenza di manodopera. Il fenomeno continua a crescere, tanto che nel corso del mese di novembre 2024 le aziende di manifattura e servizi hanno difficoltà a reperire almeno il 47,9% del personale necessario: mancano 207.790 lavoratori. Sono 2,1 punti percentuali in più rispetto al 45,1% del 2023. in Italia si è venuto a generare un paradosso: i giovani non cercano lavoro, ma le aziende cercano lavoratori. Sempre Confartigianato, in un suo rapporto, ha messo in evidenza che i giovani inattivi tra 25 e 34 anni sono pari a 1.495.000 euro: un vero e proprio primato negativo per il nostro paese nell’Unione europea, con un tasso del 24,2% a fronte del 14,1% della media dell’Ue.
Anche in questo contesto pesano le tasse – o più correttamente – il cuneo fiscale sul lavoro. Nel nostro paese è pari al 41,1%, che corrisponde a 3,5 punti in più rispetto al 41,6% della media dei 22 paesi avanzati membri dell’Unione europea e a 10,3 punti in più rispetto alla media dei paesi che fanno parte dell’Ocse.
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