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I 35.000 tagli di Volkswagen terrorizzano l’UE, pronta a tornare indietro sul green

Ora di tornare indietro con il green deal? Von Der Leyen sembra aprire, e intanto parte il tavolo.

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GREEN DEAL EUROPA

Spiragli per tornare indietro. Il risultato delle trattative tra Volkswagen e sindacati è l’ultimo dei campanelli d’allarme di un’industria dell’auto in grave crisi, per i più cinici irreversibile, per i possibilisti invece benzina per un dietrofront deciso da parte delle autorità europee. D’altronde è così che sono state interpretate le parole di Ursula von Der Leyen e la contestuale nascita di un tavolo di Dialogo Stategico, che dovrà coinvolgere anche i principali gruppi del settore in Europa.

Gruppi del settore che chiuderanno un 2024 ai limiti del catastrofico. Oltre all’intenzione di Volkswagen di tagliare fino a 35.000 posti di lavoro da qui al 2030, c’è la situazione in involuzione netta di Stellantis, in Italia come altrove, e difficoltà anche per gli altri gruppi. E se di fusioni che permetterebbero ulteriori economie di scala si continua a parlare ai piani più alti, è altrettanto vero che per un’industria così rilevante in termini di PIL e di occupazione, non si potrà rimandare la discussione del problema ancora per molto.

L’ago della bilancia tedesco

Prima che ci arrivassero le autorità europee però, c’è stato bisogno di un segnale chiaro dalla Germania. Ne sono arrivati in realtà due: il primo è quello arrivato dalle trattative Volkswagen-sindacati. Trattative che hanno scongiurato chiusure immediate o quasi per alcuni degli stabilimenti ma che ufficializzano al tempo stesso la spada di Damocle dei 35.000 licenziamenti da qui al 2030. Il secondo dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, che è tornato a pareri più miti sul futuro del green deal e di tutto ciò che ha comportato per l’industria (anche tedesca) dell’auto.

Per ora dunque c’è un tavolo, o meglio, il progetto di un tavolo. E una frase di Ursula von Der Leyen che parla di apertura tecnologica. A cosa? Ad un passo indietro? Ed è davvero questo il tallone d’Achille di quella che ora è l’industria al centro dei pensieri e delle pene politiche?

Analista economico dal 2009. Collabora con TradingOnline.com offrendo analisi su Forex, Macroeconomia e Azioni, con un occhio vigile sui mercati emergenti come Turchia, Brasile, Indonesia e Cina. Gianluca Grossi è anche caporedattore per la nota testata giornalistica Criptovaluta.it, quotidiano dedicato al mondo Crypto e Bitcoin ed è anche analista per Criptovaluta.it® Magazine, il settimanale della medesima organizzazione. Segue da vicino il mercato ETF, in particolare sulla piazza di New York.

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Volkswagen: è accordo con i sindacati. 30.000 licenziamenti fino al 2030

Accordo tra Volkswagen e sindacati, soddisfatto il cancelliere Olaf Scholz. Fino a 30.000 licenziamenti entro il 2030.

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ACCORDO VOLKSWAGEN

Arriva il tanto atteso accordo, una soluzione – per quanto parziale – alla situazione degli impianti produttivi tedeschi di Volkswagen. Un accordo che per ora soddisfa le parti ma che comunque non contribuisce a rasserenare il clima che si respira nel settore automotive europeo. Sembra che si procederà con un accordo che prevederebbe la chiusura di un solo impianto (quello di Dresda) sui tre inizialmente preventivati, con quelli di Zwickau e Emden che invece dovrebbero rimanere aperti – per quanto alcuni con attività fortemente ridotte.

Vittoria parziale per i sindacati, perché ci saranno comunque scelte che sindacati e azienda hanno definito come dolorose. Potranno infatti arrivare fino a 35.000 licenziamenti da qui al 2030, data relativamente lontana e che potrebbe aprire ad un ripensamento, che dovrebbe però essere dettato da mutate condizioni di mercato. Mutamenti che però hanno poco tempo per arrivare, con il 29% della forza lavoro del gruppo tedesco che potrebbe essere mandata a casa. I tagli avverranno, ha annunciato l’azienda, tenendo conto della responsabilità sociale e cercando di favorire le uscite volontarie, cosa che dovrebbe coprire una parte, almeno secondo le previsioni del gruppo tedesco, dei licenziamenti.

Olaf Scholz canta vittoria

Olaf Scholz, il cancelliere tedesco, canta intanto vittoria, indicando le evoluzioni degli accordi come positive e accettabili anche a livello sociale. Per i più critici invece si tratta di una lattina calciata in avanti, con il problema – e l’eventuale scontro con i sindacati – che sarà semplicemente rimandato a data da destinarsi.

Tutto questo nella necessità impellente per il gruppo di tagliare i costi in un mercato dell’auto in enorme sofferenza nel presente e che vede poche prospettive di crescita per il futuro.

Le chiusure totali riguarderanno un solo impianto, e ci sarà però una riduzione delle attività in altri 5 impianti. Dal punto di partenza – che recitava 55.000 licenziamenti – una vittoria per i sindacati e una via d’uscita possibile per Volkswagen.

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Rosso profondo sulle borse europee: FOMC indica 2 tagli e getta anche Bitcoin nel panico

Panico principalmente sulle borse europee e anche sui mercati crypto. Ma è tutta colpa di Washington.

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PANICO BORSE

In pochi si sarebbero immaginati una situazione di questo tipo. Sì, il FOMC non è stato dei migliori, indicando una riduzione dello spazio per i tagli ai tassi di interesse per il 2025. Per chi guarda solo superficialmente a questo tipo di eventi, risulterà dunque inspiegabile una contrazione delle borse – soprattutto europee – a fronte di un taglio ai tassi. Le preoccupazioni però sono altre, a partire da una forte discrepanza tra le politiche monetarie di Washington e quelle di Francoforte.

Giornata da dimenticare anche per il mondo Bitcoin e crypto, con una correzione importante e in doppia cifra per diversi degli asset di questo settore. Ma che tipo di situazione si sta sviluppando? Ed è davvero giustificata la reazione dei mercati di oggi?

Meno tagli: da 7 a 2, ma il FOMC non ha sempre ragione

Ci sono dei punti forse più interessanti del pur importante sciacquone delle principali borse europee, una correzione che però c’è stata negli Stati Uniti. C’è un dato di fatto: per le previsioni del FOMC pare ci sia più preoccupazione dalle parti di Francoforte che dalle parti di New York.

Cos’è successo nei fatti? Secondo la mediana dei dot plot, ora i tagli previsti per il 2025 sono soltanto 2, mentre c’era chi indicava la possibilità di 7 tagli soltanto poche settimane fa. Ai mercati piacciono i soldi facili, che poi più educatamente si chiamano maggiore liquidità e politica monetaria espansiva, e dimenticano che questo tipo di condizioni in genere vengono a crearsi quando per l’economia ci sono problemi importanti.

Pesano comunque anche gli annunci di Trump. Annunci che parlando di dazi (inflativi), di chiusura dei mercati internazionali e di una contrazione della spesa pubblica. Cosa difficile però da verificare prima che verrà implementata, ma con mercati così reattivi tanto basta per seminare il panico, almeno in Europa. E sul mercato delle criptovalute.

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FOMC: CROLLO per mercati. NASDAQ e SPX500 in rosso. Bitcoin perde il 5%

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CROLLO MERCATI FOMC

Il FOMC non porta delle buone nuove. Scontato il taglio ai tassi di 25 punti base, a gettare nel pieno sconforto tutti i principali indici USA sono in realtà le previsioni sui tagli per il 2025 e le proiezioni sull’inflazione. In breve: FOMC prevede tagli per soli 50 punti base per il 2025, cosa che dovrebbe far rimanere la politica monetaria degli USA in territorio restrittivo, senza che arrivi quel fiume di liquidità che, almeno sul breve periodo, è linfa vitale per i mercati risk on.

Pagano tutti gli indici azionari, così come paga il mercato delle criptovalute, seppur Bitcoin riesca a tenere i 100.000$, segnale di un momento di forza straordinaria per l’asset che è stato il vero Trump trade di questo ciclo. Ad ogni modo di proiezioni interessanti che sono venute fuori dal FOMC ce ne sono tante, e andranno almeno a nostro avviso analizzate anche sul medio e lungo periodo. Non tutto è probabilmente perduto – e anzi, siamo in una situazione che sei mesi fa sarebbe stata forse impensabile, in positivo.

Meno tagli e non solo a causa della persistente inflazione

Jerome Powell è contento del mercato del lavoro e dell’andamento dell’economia, ed è meno contento della velocità con la quale l’inflazione sta cercando di tornare verso il target del 2%. Nessuna sorpresa neanche qui: la situazione è più che evidente anche dando uno sguardo molto superficiale agli ultimi dati. Ed era altrettanto scontato aspettarsi un FOMC con un dot plot molto meno ripido – cosa che indica per l’appunto che il cammino verso tassi più bassi sarà… come quello dell’inflazione, ovvero più lento del previsto.

Cose che i mercati, smaniosi di reagire sul brevissimo periodo, sembrano aver dimenticato. Così come sembrerebbero aver dimenticato quanto fallaci siano certe previsioni del FOMC. Previsioni che storicamente sono una fotografia del presente, un se rimaniamo così, allora faremo questo, più che uno strumento preciso di quanto avverrà in futuro. Per chi non dovesse ancora crederci, basterà andarsi a guardare il dot plot e relative previsioni dello scorso novembre.

E, chiudiamo così, le previsioni non sono neanche così pessime: PIL che tiene, disoccupazione che non supererà il 5% nel peggiore dei casi e inflazione comunque al 2% nel 2026. Qualche settimana fa in tanti avrebbero dato tutto per trovarsi in una situazione del genere.

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Nvidia: altra giornata di sofferenza. Siamo a -14% dai massimi

Nvidia: altra giornata negativa in borsa. Ecco cosa sta succedendo al titolo.

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NVIDIA CRACK

Altra giornata da incubo per Nvidia: chiusura in rosso, con un parziale recupero nell’after market. Il titolo continua a scontare problematiche sia a livello commerciale (con l’arrivo di importanti concorrenti), sia a livello legale, con le recenti problematiche con la Cina e con gli Stati Uniti in termini di antitrust. Il titolo è sotto del 14% dai suoi massimi e chiude un’altra giornata in rosso, trascinando con sé parte degli entusiasmi che circondavano il settore tech.

È la fine di un ciclo per NVIDIA? Probabilmente no, ma con l’attesa dei tagli ai tassi di domani la tensione è alle stelle, non tanto per i tagli che sembrano più che scontati, ma per il dot plot che includerà tutte le previsioni sui tagli futuri da parte dei membri del FOMC. Una situazione interessante, con la correzione di Nvidia che rimane però il centro focale di tutte le analisi sui mercati azionari di oggi.

Nvidia: che succede?

Dopo un periodo di successo incontrollato e incontrollabile, di dominio assoluto per quanto riguarda il settore che tira di più, ovvero quello dell’intelligenza artificiale, ecco la correzione che in tanti – in particolare le Cassandre – si aspettavano. -14% dai massimi e soprattutto -2% circa oggi, per una giornata di trading ancora negativa per un titolo che comincia a mostrare qualche problematica.

A pesare sono l’arrivo di concorrenti importanti, vedi Broadcom, che avrebbe già chiuso accordi con OpenAI e Apple, almeno secondo le voci di corridoio e anche le cause dell’antitrust che almeno in Cina hanno il profumo della ritorsione politica.

Una questione che dovrà essere pesata dai mercati anche alla luce dei prossimi dati sulle principali aziende AI, nonché appunto alla luce di quelle che saranno le decisioni del FOMC, in termini di dot plot, ovvero di previsioni di tagli per il 2025 e il 2026.

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Bitcoin: nuovo record a 107.000$, in Italia più tasse per tutti già dal 2025

Bitcoin: è nuovo record sui mercati. Intanto in Italia polemica sulle tasse. Operatori contenti, investitori meno.

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BTC RECORD TASSE

Washington ride, Roma un po’ meno. Al centro un nuovo massimo di Bitcoin, inarrestabile dopo le elezioni presidenziali e che oggi supera anche i 107.000$. Cifre importanti e che confermano come l’onda lunga post-elettorale sia lungi dall’esaurirsi e come gli investitori si aspettino degli interventi – possibilmente diretti – del nuovo governo dopo il 20 gennaio, giorno del giuramento.

Sull’altra sponda, quella europea, le cose vanno meno bene. Ci hanno provato prima i francesi, interrotti soltanto dal cambio di governo (e che volevano comunque stratassare solo gli enormi capitali), ci provano e ci riescono invece gli italiani, che portano a casa un aumento di tasse già dal 2025. Un aumento di tasse che colpirà in prima battuta soltanto i piccoli investitori e che dal 2026 invece colpirà tutti, con un aumento dell’aliquota di 7 punti percentuali, via di mezzo tra il precedente 26% e il 42% che fu annunciato dal vice-ministro Leo e poi confermato dal ministro Giorgetti in fase di bozza della Legge di Bilancio.

Così vicini ma così lontani

Il ritrovato feeling tra Roma e Washington non sembrerebbe colpire il mondo delle criptovalute. Se da un lato c’è il presidente investitore, quel Donald Trump che ha lanciato anche un suo progetto di finanza decentralizzata, dall’altro c’è il governo italiano, che nonostante le rimostranze dell’industria (e degli investitori), aumenta comunque le tasse sulle criptovalute.

Non aumenta come previsto però, tant’è che i leader dell’industria crypto italiana cantano vittoria a fronte di un aumento che – al netto di quanto riportato nei comunicati stampa – ci sarà già dal 2025. La vecchia soglia/franchigia (la confusione non è nostra, ma di un ormai celebre comunicato dell’Agenzia delle Entrate) è sparita. E quindi anche per pochi euro di plusvalenza si pagheranno tasse dal prossimo anno.

Vittoria? Giudicheranno i contribuenti, che poi anche nel nostro Paese finiscono per essere elettori. La discussione ora si ripeterà, forse, nel 2025. E il tentativo sarà quello di neutralizzare l’aumento che sarà, con quello che già è che sarà parte permanente della fiscalità italiana.

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