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Ape Sociale, per andare in pensione anticipatamente c’è tempo fino al 30 novembre

Per andare in pensione anticipatamente beneficiando dell’Ape Sociale è necessario presentare la domanda entro il 30 novembre 2024.

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Si avvicina una scadenza particolarmente importante per quanti hanno intenzione di accedere alla pensione anticipata usufruendo dell’Ape Sociale. Il 30 novembre 2024, infatti, scade il termine ultimo entro il quale è possibile presentare la domanda: la misura, è bene ricordarlo, è riservata a particolari categorie di dipendenti che rientrano in alcune condizioni lavorative, personali o familiari.

Ma vediamo come è possibile andare in pensione anticipata usufruendo delle possibilità messe a disposizione attraverso l’Ape Sociale.

Ape sociale, quali requisiti servono per andare in pensione

Introdotta il 1° maggio 2017, l’Ape Sociale permette di andare in pensione anticipatamente. il legislatore ha deciso di prorogarla fino al 31 dicembre 2024 e successivamente di estenderla fino al 31 dicembre 2025 (a prevederlo è il Disegno di Legge di Bilancio 2025, che è già stato approvato dalla Camera e attualmente risulta essere in discussione al Senato).

Per riuscire ad accedere all’Ape Sociale i potenziali beneficiari devono aver raggiunto un’età anagrafica pari ad almeno 63 anni e 5 mesi di età. I lavoratori che assistono dei familiari di primo o secondo grado – i cosiddetti caregiver – devono aver maturato almeno 30 anni di contributi; a quanti, invece, svolgono dei lavori gravosi ne servono 36, che scendono a 32 per alcune categorie specifiche.

Per le donne, che hanno intenzione di beneficiare dell’Ape Sociale, il requisito contributivo si abbassa di dodici mesi per ogni figlio, per un massimo di due anni.

È importante che i beneficiari non siano titolari di una pensione diretta e, soprattutto, devono cessare ogni tipo di attività lavorativa dipendente, autonoma o parasubordinata. Non importa che sia in Italia o all’estero. L’indennità erogata risulta essere incompatibile con ogni altro tipo di indennizzo erogato per sostenere il reddito legato alla disoccupazione involontaria, come, per esempio, l’assegno di disoccupazione e l’indennità dell’attività commerciale.

Ricordiamo che l’Ape Sociale è un contributo che viene erogato ad alcune categorie di lavoratori in difficoltà: permette di anticipare la pensione, percependo una somma fino a quando viene raggiunta l’età della pensione. L’assegno viene erogato a partire dal mese successivo rispetto a quello nel quale è stata presentata la domanda, ma devono essere rispettati tutti i requisiti e, soprattutto, deve essere cessata ogni tipo di attività lavorativa.  Vengono erogate dodici mensilità all’anno e dura fino a quando il beneficiario riceve la pensione di vecchiaia o fino a quando può ricevere altro tipo di pensione anticipata.

La copertura finanziaria della misura viene garantita dal controllo costante delle risorse finanziarie. Nel caso in cui i fondi dovessero essere limitati viene data la priorità ai soggetti che sono più vicini all’età pensionabile. A parità di età, ha la precedenza chi ha presentato la domanda per primo.

Ape Sociale, come si calcola l’importo

L’importo erogato mensilmente viene calcolato sulla base della pensione mensile maturata. Nel caso in cui dovesse essere inferiore a 1.500 euro, l’indennità sarà pari a questo importo. Se, invece, dovesse essere uguale o superiore, l’importo sarà sempre pari a 1.500 euro e non è soggetta a rivalutazione.

Quanti dovessero essere in possesso di contributi in più gestioni previdenziali, l’indennità mensile viene calcolata in maniera proporzionale ai periodi di contribuzione versata in ogni gestione.

Quanti dovessero maturare i requisiti per accedere all’Ape Sociale entro il 31 dicembre 2024 devono inoltrare l’istanza per accedervi entro e non oltre il 30 novembre 2024. La domanda preliminare serve per il riconoscimento dei requisiti di accesso alla misura. In altre parole, entro la fine di novembre i potenziali beneficiari devono istituire la pratica, perché si chiuderà l’ultima finestra utile per poter accedere alla misura. Le domande devono essere inviate alle sedi territoriali Inps competenti tramite i canali telematici ufficiali.

Laureato in materie letterarie e giornalista pubblicista iscritto all'Albo dal 2002 [Link di verifica iscrizione all'Albo]. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin da subito, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

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Bollette, addio al mercato liberalizzato. Chi potrà tornare al servizio tutelato

I soggetti vulnerabili avranno la possibilità di tornare al servizio di maggior tutela. Con la speranza di avere bollette più economiche.

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Bollette, addio al mercato liberalizzato. Chi potrà tornare al servizio tutelato

Riflettori puntati sulle bollette di luce e gas di casa, per le quali potrebbe esserci qualche novità all’orizzonte. Che potrebbero mettere in allarme le principali compagnie elettriche. A destare le principali preoccupazioni degli addetti ai lavori è il Ddl Concorrenza, che sta passando in Commissione Attività Produttive della Camera. In questi giorni si entra nel vivo del voto in vista del passaggio in Aula il prossimo 26 novembre 2024.

A mettere in allarme le principali utility italiane è una novità che dovrebbe riguardare le bollette delle utenze di casa: firmata da Alberto Gusmeroli, deputato della Lega, punterebbe a tutelare maggiormente glli utenti.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa sta accadendo.

Bollette di casa, maggiore tutela per i consumatori

Importanti novità le bollette sono arrivate a partire dallo scorso mese di luglio, quando il mercato è stato completamente liberalizzato. I clienti del servizio di maggior tutela che non avessero esercitato alcuna opzione per passare ad un nuovo contratto sono diventati clienti, in maniera automatica, delle società che si sono aggiudicate le aste area per area. A questi soggetti vengono applicate le tariffe Stg, acronimo di servizio a tutele graduali.

La migrazione automatica alle nuove tariffe, però, non ha coinvolto tutti gli utenti. Ne sono rimasti esclusi i seguenti soggetti:

  • gli anziani over 75;
  • i disabili per i quali viene applicata la Legge 104;
  • le famiglie che si trovano in difficoltà economica e che stanno accedendo al bonus elettrico grazie all’Isee;
  • le persone che sono gravemente malate e che, per questo, devono utilizzare delle apparecchiature elettriche per la sopravvivenza;
  • quanti stanno vivendo in abitazioni di fortuna a seguito di un evento calamitoso;
  • gli abitanti delle isole che non sono interconnesse con la rete nazionale elettrica.

I soggetti che abbiamo appena citato sono rimasti con il vecchio fornitore, che eroga loro il servizio di maggior tutela per i vulnerabili.

A settembre, però, questi soggetti hanno ricevuto un’amara sorpresa. Le bollette riservate agli utenti vulnerabili sono diventate meno convenienti rispetto a quelle che vengono applicate per l’Stg. Stando alle prime stime che sono circolate nel corso delle ultime settimane, sembrerebbe che l’aggravio sulle bollette si aggirerebbe tra i 120 e i 170 euro. Una bella mazzata per i soggetti più deboli.

Bollette, l’emendamento per aiutare i soggetti vulnerabili

Bollette, l’emendamento per aiutare i soggetti vulnerabili

In questo contesto si inserisce l’emendamento a firma Gusmeroli al Ddl Concorrenza, che proporrebbe di permettere agli utenti vulnerabili, che attualmente sono nel mercato libero o in maggior tutela, di accedere all’Stg. Un passaggio che darebbe la possibilità di usufruire di tariffe più economiche e risparmiare, direttamente sulle bollette, fino a 113 euro all’anno a famiglia. Complessivamente si parlerebbe di un risparmio di 1,3 miliardi di euro.

Ma non solo. Viene avanzata anche la proposta di istituire un numero unico, gestito dallo Sportello del consumatore Arera, attraverso il quale dare assistenza ai diretti interessati e facilitare i vari passaggi. Cercando di ridurre al massimo le barriere burocratiche.

Benché al momento non ci sia nulla di certo – stiamo parlando di un emendamento che deve essere ancora analizzato ed eventualmente approvato – il dibattito si è già aperto. La proposta ha iniziato a preoccupare le principali società elettriche: per loro si tratterebbe di un aggravio che potrebbe arrivare a costare quasi 2 miliardi di euro nell’arco di tre anni. Non si tratterebbe, infatti, di computare nel calcolo i 3,7 milioni di attuali utenti vulnerabili, ma l’obiettivo sarebbe quello di estendere la portata del beneficio a qualcosa come 5 milioni di utenti, considerando anche il trend demografico in corso che potrebbe portare molti clienti entrati nel mercato libero a tornare sui propri passi.

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Bonus Natale, si amplia la platea dei potenziali beneficiari

La platea dei potenziali beneficiari del bonus Natale si allarga, andando a comprendere anche le famiglie monogenitoriali.

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Bonus Natale, si amplia la platea dei potenziali beneficiari

Uno degli obiettivi che si è prefissato per il 2025 il Governo è quello di andare in aiuto ai lavoratori con i redditi più bassi. L’ultima ipotesi al vaglio prevederebbe il raddoppio della platea dei potenziali beneficiari del bonus Natale, ossia il contributo una tantum da 100 euro, che dovrebbe arrivare insieme alla tredicesima. La misura, destinata ad arrivare direttamente nella busta paga dei lavoratori, è riservata ai lavoratori dipendenti che hanno un reddito annuo inferiore a 28.000 euro. Stiamo parlando, grosso modo, di due milioni di persone.

Per reperire le risorse per coprire il bonus Natale, il Governo sta guardando al concordato preventivo biennale, per il quale il Consiglio dei Ministri ha riaperto i termini per l’adesione, dando la possibilità di accedervi fino al prossimo 12 dicembre 2024.

Ma cerchiamo di capire nel dettaglio quali sono le novità connesse con il bonus Natale e cosa devono aspettarsi i lavoratori dipendenti.

Bonus Natale, le novità all’orizzonte

A fare il punto della situazione sul futuro del bonus Natale ci ha pensato Luca Ciriani, il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, il quale ha spiegato che sono state trovate le risorse per raddoppiare la platea dei potenziali beneficiari. L’intento è quello di riuscire ad includere anche le famiglie monogenitoriali, che in un primo momento erano state escluse.

Le novità relative al bonus Natale sono contenute all’interno dello stesso decreto attraverso il quale è stata prevista la riapertura dei termini del concordato preventivo biennale. In linea teorica il testo dovrebbe essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in tempi brevi: in un secondo momento dovrebbe confluire direttamente nel Decreto Fisco in questo momento all’esame del Senato. Solo dopo questo lungo iter – che si dovrebbe realizzare, comunque vada, in tempi brevi – i 100 euro potranno arrivare direttamente nelle tasche degli italiani. Insieme alla consueta tredicesima.

Fino a questo momento il bonus Natale era una misura riservata ai nuclei familiari nei quali ci fosse un coniuge fiscalmente a carico dell’altro. Nella famiglia doveva essere presente anche un figlio. A questo punto la platea dei potenziali interessati alla misura è destinata a raddoppiare: per conoscere il perimetro esatto della misura è necessario attendere la pubblicazione del testo finale della norma.

Per il momento sarebbe stato messo nero su bianco la riapertura dei termini del concordato preventivo biennale, dal quale il Governo guidato da Giorgia Meloni si aspetta di riuscire ad ottenere nuove risorse per 1,3 miliardi di euro, che dovrebbero arrivare già con la prima tranche.

Bonus Natale, di cosa si tratta

Volendo sintetizzare al massimo il bonus Natale è un’indennità di 100 euro e viene corrisposta ai lavoratori dipendenti. Per poterlo ottenere è necessario essere in possesso di una serie di requisiti insieme alla tredicesima.

La misura è stata disciplinata attraverso l’articolo 2-bis inserito in sede di conversione del Decreto Legge n. 113/2024 ad opera della Legge n. 142/2024.

L’indennità viene erogata direttamente dal datore di lavoro in qualità di sostituto d’imposta, che poi recupererà l’importo attraverso una serie di compensazioni. Il bonus Natale deve essere calcolato sulla base delle giornate di detrazione di lavoro dipendente che spettano ai sensi dell’articolo 13 del Dpr n. 917/1986. Nel caso in cui dovessero essere inferiori rispetto a quelle previste per l’intero anno, è necessario procedere con il dovuto riproporzionamento.

I requisiti per accedere al bonus natale, all momento sono:

  • essere in possesso, nel 2024, di un reddito inferiore a 28.000 euro;
  • avere il coniuge ed un figlio a carico;
  • l’imposta lorda sui redditi di lavoro dipendente deve essere superiore alle detrazioni di lavoro dipendente.

Come abbiamo spiegato in precedenza la platea dei potenziali beneficiari è destinata ad allargarsi e potrebbe comprendere anche le famiglie monogenitoriali.

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Taglio dell’Irpef, a guadagnarci sarebbero in pochi. C’è anche chi rischia di perderci qualcosa

Dal taglio dell’Irpef sarebbero davvero in pochi a guadagnarci. Anzi, c’è chi corre il rischio di pagare di più. Ecco perché.

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Taglio dell'Irpef, a guadagnarci sarebbero in pochi. C'è anche chi rischia di perderci qualcosa

La Legge di Bilancio 2025 metterà mano alle aliquote Irpef previste per il prossimo anno. Ma cosa cambierà per i contribuenti? Chi ci guadagnerà realmente dalla revisione delle tasse? A partire dal 1° gennaio l’imposta sulle persone fisiche sarà confermata a tre aliquote – ossia il 23%, il 35% ed il 43% – con i relativi scaglioni di reddito. La novità, come in molti ben ricorderanno, è stata introdotta con la riforma fiscale di quest’anno.

A partire dal 2025, ad ogni modo, il Governo avrebbe sulla carta un nuovo taglio delle tasse per i lavoratori dipendenti, per gli autonomi e per i pensionati. La sforbiciata dovrebbe essere finanziata attraverso le risorse che arriveranno dal concordato preventivo biennale delle partite Iva, che è profumo di proroga proprio in questi giorni (al 12 dicembre 2024). A mettere in evidenza come ci sia uno stretto legame tra queste due misure è stato direttamente Maurizio Leo, viceministro all’Economia, che ha voluto sottolineare come risulti importante avere delle certezze su quelle che potrebbero essere le future entrate tributarie.

Irpef, le aspettative sul secondo scaglione

È importante premettere che, almeno per il momento, stanno circolando esclusivamente delle ipotesi: è ancora troppo presto per poter dare delle certezze. Tra l’altro la Legge di Bilancio 2025 deve essere approvata entro la fine dell’anno, quindi tutto può ancora accadere.

Il Governo sembrerebbe intenzionato a ridurre il secondo scaglione dell’Irpef. Stiamo parlando dell’aliquota del 35% che impatta direttamente sui contribuenti che hanno un reddito compreso tra i 28.000 ed i 50.000 euro, che dovrebbe essere abbassata di uno o due punti percentuali.

Il concordato preventivo biennale – prendendo in considerazione chi vi ha aderito al 31 ottobre 2024 – dovrebbe portare nelle casse dello Stato qualcosa come 1,3 miliardi di euro. Per riuscire a ridurre l’aliquota, però, servirebbe riuscire a racimolare almeno 2,5 miliardi di euro. Ossia il doppio degli attuali. Questo, sostanzialmente, è uno dei motivi per il quale la possibilità di aderire al concordato preventivo biennale è stata prorogata al 12 dicembre 2024.

Taglio aliquote Irpef, cosa cambia per i dipendenti

Il taglio delle aliquote Irpef quale impatto avrebbe sui contribuenti? A fornire una risposta a questa domanda ci ha pensato la Fondazione Nazionale dei Commercialisti, che ha spiegato che i proventi del concordato preventivo biennale, almeno in questo momento, potrebbero permettere di andare verso una riduzione di un punto percentuale dell’aliquota del secondo scaglione, che passerebbe, quindi, dal 35% al 34%. Il taglio dell’Irpef avrebbe un impatto positivo per qualcosa come 11 milioni di contribuenti italiani, che appartengono al cosiddetto ceto medio. Le risorse, ad ogni modo, non sarebbero sufficienti per riuscire ad abbassare l’aliquota al 33%, ossia di due punti percentuali.

Stando alle simulazioni elaborate dai commercialisti sull’eventuale taglio dell’Irpef, il passaggio dell’aliquota dal 35% al 34% permetterebbe di ottenere il vantaggio maggiore ai lavoratori dipendenti che hanno dei redditi lordi superiori a 35.000 euro. Ma proviamo fare un esempio pratico, in modo da capire quale sia l’impatto diretto di questa misura:

  • chi percepisce un reddito pari a 40.000 euro riuscirebbe a risparmiare 543 euro ogni anno;
  • quanti hanno un reddito compreso tra i 30.000 ed i 35.000 euro subirebbe una piccola perdita, che oscillerebbe tra i -101 e i -145 euro, sempre nell’arco dei dodici mesi.

I conti, ovviamente, cambierebbero nel caso in cui il taglio dell’Irpef fosse di due punti percentuali: lo scaglione, a questo punto, passerebbe dal 35% al 33%. Il risparmio annuale per quanti percepiscono 40.000 euro salirebbe a 627 euro, mentre la perdita per chi ha un reddito compreso tra 30.000 e 35.000 sarebbe compreso tra i -101 e i -107 euro.

I vantaggi fiscali, sostanzialmente, non sarebbero uniformi, ma sono condizionati dalle fasce di reddito a cui i contribuenti appartengono.

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Concordato preventivo biennale, si riaprono i termini per l’adesione. Ci sarà tempo fino al 12 dicembre

Si riaprono i termini per aderire al concordato preventivo biennale. I contribuenti avranno tempo di farlo fino al prossimo 12 dicembre 2024.

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Concordato preventivo biennale, si riaprono i termini per l'adesione. Ci sarà tempo fino al 12 dicembre

Chiusa una porta si apre un portone. Smentita anche nell’ipotesi di un’eventuale proroga, i termini per aderire al concordato preventivo biennale sono stati riaperti. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge attraverso il quale sono stati riaperti i termini per aderire alla misura.

Volendo sintetizzare al massimo, i titolari di partita Iva avranno tempo fino al prossimo 12 dicembre 2024 per sottoscrivere il patto con l’Agenzia delle Entrate. A rendere nota la notizia ci ha pensato Maurizio Leo, viceministro dell’Economia e delle finanze, che ha spiegato che a seguito dell’approvazione del decreto legge sono stati riaperti i termini per poter fruire del concordato preventivo biennale. Il nuovo termine per sottoscrivere il patto con il Fisco è stato fissato al prossimo 12 dicembre 2024.

Concordato preventivo biennale, si riapre la porta

Si riaprono i termini per aderire al concordato preventivo biennale. Stando a quanto spiega Maurizio Leo chi non fosse riuscito ad aderire entro la scadenza prevista per lo scorso 31 ottobre, avrà la possibilità di accedervi con questa nuova finestra.

Leo ritiene che questa nuova apertura costituisca un’importante prova di ascolto da parte del Governo, il quale, a seguito di un serrato confronto con i professionisti e le varie associazioni di categoria, ha deciso di allargare ulteriormente la possibilità di aderire a una misura che, almeno sulla carta, sarebbe apprezzata da tutti e conveniente.

Leo aggiunge che la riapertura dei termini di adesione al concordato preventivo biennale è stata effettuata solo ora per un semplice motivo: era necessario acquisire dati certi sul gettito prima di poter avviare un’ulteriore riduzione delle tasse per il 2025. 

Ma i diretti interessati come potranno aderire al concordato preventivo biennale? Stando alle prime indicazioni che sono circolate nel corso di queste ore, con ogni probabilità si tratterà di una dichiarazione integrativa che i titolari di partita Iva – sia quelli che applicano gli Isa che i forfettari – potranno formulare per poter aderire al concordato preventivo biennale.

È importante sottolineare che al momento non ci sono dei dettagli operativi, ma quello che sembrerebbe certo è che gli indecisi hanno un ulteriore mese per poter valutare al meglio l’impatto che il concordato preventivo biennale potrebbe avere sulle loro imposte.

Concordato preventivo biennale, il termine del 12 dicembre

La scadenza per aderire al concordato preventivo biennale è sostanzialmente spirata lo scorso 31 ottobre 2024. Adesso arriva questo ultimo colpo di coda, che permetterà ai contribuenti di sottoscrivere il patto fino al prossimo 12 dicembre 2024.

Una sorta di proroga dell’ultimo momento – o più correttamente postuma – con la quale sono state accolte le richieste che sono arrivate da più fronti nel corso degli ultimi mesi.

La decisione di allungare i tempi per l’adesione, sostanzialmente, ha accolto, anche se molto in ritardo, le richieste che sono arrivate dal mondo imprenditoriale e da quello professionale. Ma punta anche ad incrementare il gettito che ne potrebbe derivare.

Il concordato preventivo biennale, con i suoi incassi, servirà a tagliare l’irpef per il ceto medio: l’obiettivo, infatti, è quello di portare l’aliquota del 35% al 33%.

Ad oggi gli incassi garantiti dalla misura ammontano a 1,3 miliardi di euro. La decisione di riaprire i termini per l’adesione non costituiscono semplicemente un segnale di ascolto, ma sono una vera e propria necessità da parte del Governo che punterebbe a raccogliere almeno 2 miliardi di euro di gettito.

Il concordato preventivo biennale deve essere un successo, in modo da permettere un nuovo intervento sull’Irpef già con la Legge di Bilancio 2025. L’obiettivo, infatti, è quello di andare a ridurre la tassazione applicata ai soggetti con un reddito oltre i 28.000 euro.

Una recente simulazione effettuata dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti prevede che servirebbero almeno 2,5 miliardi per ridurre di due punti l’aliquota applicata al secondo scaglione.

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Stipendio, ci voglio più di 6 anni per riuscire a comprare casa. Senza mangiare nel frattempo

Ci vogliono più di sei annualità di stipendio per comprare casa. Ma attenzione: nel frattempo non si può mangiare o spendere diversamente.

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Stipendio, ci voglio più di 6 anni per riuscire a comprare casa. Senza mangiare nel frattempo

Acquistare una casa inizia a diventare sempre più un sogno per le famiglie italiane. Molto pragmaticamente servono 6,5 annualità di stipendio per concludere un acquisto nelle grandi città italiane. L’analisi, effettuata dall’ufficio studi del Gruppo Tecnocasa si riferisce al primo semestre 2024.

La città per la quale ci vuole un numero maggiore di annualità di stipendio è Milano, dove ne occorrono 12,5. Nel capoluogo lombardo, infatti, si trova il prezzo medio più alto (4.285 euro al metro quadrato), che la rendono la città più costosa in Italia. Nella classifica del numero maggiore di annualità di stipendio necessarie per acquistare casa seguono Roma – dove ne servono 9 – e Firenze, dove è necessario accantonare 8,8 annualità.

Comprare casa, il nodo dello stipendio

Quando si pensa a quante annualità di stipendio siano necessarie per acquistare casa non ci sono solo notizie negative. Le città meno costose – nelle quali è possibile trovare dei prezzi più contenuti – sono Palermo e Genova, dove sono sufficienti 3,3 annualità e dove è possibile trovare un prezzo medio rispettivamente di 1.127 euro al metro quadrato e 1.143 euro al metro quadrato.

Dando uno sguardo al passato i prezzi più alti sono stati registrati nel corso del 2007: in quel periodo i prezzi raggiunsero il loro apice. Per acquistare una casa erano necessarie dieci annualità di stipendio. In quel periodo le città più costose erano Roma, dove occorrevano 14,8 annualità e Milano dove ne bastavano 14. 

La Capitale riuscirà a rimanere in testa alla classifica fino al 2019. Quell’anno Milano è riuscita a superare Roma ed è diventata la città nella quale è richiesto il numero più alto di annualità di stipendio per comprare casa. Il capoluogo della Lombardia ha iniziato a raccogliere i frutti delle varie riqualificazioni che ha avviato nel suo territorio. Gli aumenti dei prezzi si sono iniziati a registrare nel centro della città e, man mano, si sono iniziati ad estendere anche alle varie periferie. Il trend continua ad essere confermato tutt’oggi.

Dando uno sguardo ad ampio raggio, si inizia a capire anche i motivi per i quali gli italiani devono accumulare lo stipendio per comprare casa: manca l’offerta abitativa. Stando ad un’analisi effettuata dall’ufficio studi Tecnocasa molti immobili sono stati acquistati subito dopo la pandemia. I progetti di nuova costruzione sono rallentati a causa delle incertezze e degli aumenti dei costi delle materie prime. In molte città è possibile iniziare ad intravedere i primi cambiamenti, ma al momento non risultano essere particolarmente significativi. Per il momento continuano a rimanere sul mercato gli immobili che necessitano di importanti interventi di riqualificazione.

Cosa cercano gli acquirenti quando voglio comprare casa

Ma cosa sono alla ricerca i potenziali acquirenti quando hanno intenzione di comprare casa? Stando ai dati aggiornati allo scorso mese di luglio 2024, le ricerche sono concentrate prevalentemente sui trilocali, che raccolgono il 40,2% delle richieste. Seguono il bilocale, con il 25,5%, ed i quattro locali con il 22,1%. La tipologia più ricercata, in estrema sintesi, è il trilocale. Il piccolo taglio risulta essere appetibile soprattutto da chi ha una bassa disponibilità economica e per gli investitori, che propendono per questa tipologia. Facendola diventare una soluzione abitativa particolarmente apprezzata.

Nel corso del tempo si registra una diminuzione della concentrazione della domanda su tagli leggermente più ampi: a determinare questo cambio di passo è principalmente l’aumento dei prezzi che ha interessato principalmente le città più importanti. Ma soprattutto determinata dall’esaurirsi della spinta data dalla pandemia alla ricerca di immobili con delle metrature più ampie. Il trend è stato confermato nel corso degli ultimi quattro semestri.

Si nota, al contrario, una diminuzione della concentrazione della domanda sui tagli più ampi, come conseguenza dell’aumento dei prezzi che sta interessando le metropoli e dell’esaurirsi della spinta data dalla pandemia alla ricerca di abitazioni più ampie. Il trend si conferma ormai da quattro semestri.

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