Finanza Personale
Bonus elettrodomestici, dal 2025 arriva il contributo da 100 euro per cambiarli
Dal 2025 dovrebbe arrivare il bonus elettrodomestici, il nuovo incentivo per cambiare i grandi apparecchi presenti in casa, diventati ormai obsoleti.
La stagione degli incentivi e dei contributi non è destinata a fermarsi nel 2025. Un nuovo bonus elettrodomestici potrebbe arrivare a partire dal prossimo anno. A promuovere la misura è la Lega, che attraverso una serie di emendamenti alla Legge di Bilancio 2025 ne ha inserito uno che prevede un incentivo per quanti hanno intenzione di cambiare i grandi elettrodomestici obsoleti e più inquinanti. Andandoli a sostituire con delle apparecchiature più nuove e in una classe energetica più alta, che non dovrà essere inferiore alla B.
Il bonus elettrodomestici, quindi, servirà a sostituire, solo per fare degli esempi, il frigo, la lavatrice, l’asciugatrice o la lavastoviglie. Il contributo sarà costituito da una detrazione Irpef che potrebbe arrivare a coprire il 30% del costo, nel limite massimo di 100 euro. Nel caso in cui la famiglia dovesse avere un Isee inferiore a 25.000 euro il contributo verrebbe aumentato a 200 euro. A firmare il provvedimento è Alberto Gusmeroli, presidente della commissione Attività produttive della Camera e responsabile Fisco della Lega, il quale ritiene che per questa misura possano essere impiegate delle risorse per un importo massimo pari a 100 milioni di euro per il triennio compreso tra il 2025 ed il 2027.
Bonus elettrodomestici, come funziona
Nel caso in cui il bonus elettrodomestici dovesse essere confermato verrà applicato attraverso una detrazione, che arriverà nel momento della presentazione della dichiarazione dei redditi. Il contribuente dovrà inserire i dati relativi all’acquisto e i documenti giustificativi: le fatture e le ricevute di pagamento.
Il saldo deve essere effettuato con delle modalità tracciabili: potranno essere utilizzati i bonifici, le carte di credito o di debito e qualsiasi altro mezzo che permetta di verificare la transazione. Attraverso il bonus elettrodomestici verranno coperti anche i costi di trasporto e di montaggio, purché queste spese siano assoggettate alle stesse modalità di pagamento tracciabili che vengono impiegate per ottenere la detrazione. Questi costi sono ammissibili solo e soltanto se sono strettamente connessi con gli acquisti incentivati, ma è necessario che siano documentati in maniera adeguata.
Questa agevolazione si andrà a sommare con il bonus mobili, che la Legge di Bilancio 2025 ha già provveduto a prorogare. La misura consiste in un contributo pari al 50% delle spese sostenute, fino ad un massimo di 5.000 euro: può essere utilizzata per l’acquisto di mobili nuovi e di grandi elettrodomestici che siano di una classe energetica elevata.
Quali elettrodomestici si possono acquistare
Cosa si intende per grandi elettrodomestici? A chiarire questo dubbio ci ha pensato direttamente l’Agenzia delle Entrate che ha spiegato che all’interno dell’agevolazione rientrano:
- frigoriferi;
- congelatori;
- lavatrici;
- lavasciuga;
- asciugatrici;
- lavastoviglie;
- apparecchi di cottura;
- stufe elettriche;
- piastre riscaldanti elettriche;
- forni a microonde;
- apparecchi elettrici di riscaldamento;
- radiatori elettrici;
- ventilatori elettrici;
- apparecchi per il condizionamento.
Anche per il bonus mobili – come abbiamo visto per il bonus elettrodomestici – all’interno delle spese possono essere considerate quelle per il trasporto ed il montaggio dei beni acquistati, purché siano sostenute con le stesse modalità di pagamento necessario per ottenere le varie detrazioni.
In alcuni casi gli acquisti devono essere comunicati direttamente all’Enea.
Le misure che abbiamo appena visto hanno degli obiettivi ben precisi: quello di andare a svecchiare il parco grandi elettrodomestici presenti in Italia, che è obiettivamente vetusto. Alberto Gusmeroli ha spiegato, inoltre, che la misura permetterà ai beneficiari di risparmiare sul costo delle bollette, grazie ai minori consumi, che porteranno ad un minor inquinamento. Ma non solo: si stimolerà il nostro sistema industriale tutelando i livelli occupazionali e la competitività dei siti produttivi che operano in questo comparto. E si supporta il settore del riciclo dei vecchi elettrodomestici, nel quale il nostro Paese ha un ruolo leader in Europa.
Finanza Personale
Tari, le famiglie arrivano a pagare fino a 329 euro. Arriva la stangata sui rifiuti
Le famiglie italiane devono fare i conti con la stangata sui rifiuti: la Tari inizia ad essere più costosa in tutte le città.
Gestire i rifiuti, per una famiglia media, diventa sempre più costoso. Anche alla luce degli incrementi della Tari che sono stati registrati in molte città. Nel 2024, rispetto solo allo scorso anno, le famiglie arrivano a pagare il 2,6% in più, pari, grosso modo, a 329 euro. Purtroppo il costo medio della Tari, almeno in alcune città del Sud Italia è molto più caro, arrivando a sfiorare i 600 euro. Nei centri del Nord italia, invece, la spesa si ferma al di sotto dei 200 euro.
Fortunatamente, invece, inizia a migliorare la raccolta differenziata: la media nazionale è arrivata a superare il 65%, anche se sono state messe in evidenza delle notevoli differenze tra i diversi capoluoghi. A scattare la fotografia dell’andamento del costo della Tari ci ha pensato il Rapporto 2024 dell’Osservatorio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva.
Tari, di cosa stiamo parlando
Ricordiamo brevemente che la Tari è stata introdotta per finanziare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. A partire dal 2014 ha sostituito una serie di imposte e tributi che i contribuenti dovevano pagare per questo servizio. Prima che la tari venisse introdotta, infatti, c’erano le seguenti imposte:
- Tares, ossia il Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi;
- Tia, la Tariffa di Igiene Ambientale;
- Tarsu, la Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Questa serie di tributi andavano a coprire, in un modo o nell’altro, i costi per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti. Attraverso la Tari, ad ogni modo, si è riusciti a semplificare il sistema e ad unificare i vari tributi sotto il cappello di un’unica imposta.
Tari, dove si paga di più
Andando a dare uno sguardo ai costi della Tari nelle diverse città italiane, si pososno scorgere delle differenze tra i vari capoluoghi. L’analisi ha tenuto conto di una famiglia tipo composta da tre persone, che abitano in una casa di 100 metri quadrati di proprietà. Il capoluogo con la tariffa più alta è Catania, dove si arrivano a pagare 594 euro all’anno. In questo caso non sono state registrate delle variazioni rispetto al 2023. Il costo più basso è registrato a Trento, dove si arrivano a spendere 183 euro, leggermente meno rispetto allo scorso anno.
Dando uno sguardo a livello regionale, è possibile affermare che la Puglia è la regione più costosa: mediamente si pagano 427 euro. Seguono la Campania, con 407 euro e la Sicilia con 390 euro. Le regioni dove si trovano le tariffe più basse sono:
- Trentino Alto Adige: 203 euro;
- Lombardia e il Molise, in entrambi i casi si pagano mediamente meno di 254 euro.
Stando ai dati diffusi dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, nel corso del 2022 nel nostro Paese sono stati prodotti qualcosa come 29,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, in calo dell’1,8% rispetto a quelli del 2021. La produzione pro capite si attesta sui 494 chilogrammi per abitante, in calo dell’1,6% rispetto all’anno precedente.
Una delle zone che produce il numero maggiore di rifiuti è il Centro Italia, dove c’è una media di 532 chilogrammi per abitante. Seguono il Nord (506 chilogrammi per abitante) e dal Sud (454 chilogrammi per abitante). Per quanto riguarda la raccolta differenziata, la media nazionale ha raggiunto il 65,2%: rispetto al 2021 è stato registrato un incremento dell’1,2%. I rifiuti urbani smaltiti in discarica, invece, ammontano al 18%.
A dare i migliori risultati in termini di raccolta differenziata è il Nord Italia, con il 71,8%. Seguono il Centro, con il 61,5%, e il Sud con il 57,5%. Soffermandosi un po’ di più a livello locale, il 57% i capoluoghi di provincia hanno superato o raggiunto il 65% della raccolta differenziata. in 20 capoluoghi la percentuale è inferiore al 50%. Tra i capoluoghi con le peggiori performance ci sono:
- Palermo: 15,6%;
- Crotone: 21,4%;
- Catania: 22%;
- Foggia: 26%.
Finanza Personale
Settimana bianca, stangata skipass (+23,9%). E si spendono fino a 8mila euro per l’albergo
Nel corso degli ultimi tre anni gli skipass sono aumentati fino al 23,9%. In arrivo una vera e propria stangata per chi ha in mente di fare la settimana bianca.
Con l’avvicinarsi della stagione della settimana bianca, le associazioni dei consumatori lanciano l’allarme per il caro skipass. Quest’anno gli amanti della neve, dopo una serie di rincari che si sono abbattuti sui costi della stagione sciistica, devono far fronte ad un vero e proprio salasso. Ad essere coinvolto dagli aumenti è tutto il comparto della montagna.
A sollevare il problema, questa volta, è Assoutenti, che, proprio in occasione dell’avvio della stagione invernale, ha predisposto un report attraverso il quale ha analizzato i costi dei servizi sciistici e delle spese che devono affrontare le famiglie. Le vacanze invernali sulla nese, lo scorso anno hanno generato un fatturato intorno a 11,2 miliardi di euro divisi tra le strutture ricettive, i rifugi, i ristoranti, le scuole di sci, i divertimenti, il commercio e i servizi vari. Complessivamente, tra turisti italiani e stranieri, ci sono state 8,9 milioni di presenze.
Skipass 2024, allarme costi
Vacanze sulla neve condizionate dal caro skipass. Le tariffe – anche in un momento in cui non c’è il caro energia – continuano a salire senza sosta. Gli skipass hanno registrato degli aumenti che ruotano intorno al 30% nell’arco di tre anni. È il caso del Dolomiti Superski, il biglietto giornaliero, il cui prezzo è salito del 3,8% rispetto allo scorso anno, ma del 23,9% rispetto a quanto si pagava nel 2021. A La Thuille lo skipass giornaliero costa il 19,1% in più rispetto al 2021, a Courmayeur il prezzo è più caro del 19,6%, mentre rispetto allo scorso anno il prezzo era più alto del 3,1%. prezzi in crescita del 3,4% rispetto allo scorso anno ma del 15,1% in tre anni a Cervinia Valtournenche.
Aumenti più pesanti sono stati registrati a Bormio, dove lo skipass giornaliero è aumentato del 5,4% rispetto all’ultima stazione, ma del 28,3% rispetto al 2021. Andamento simile a Livigno, dove gli aumenti sono rispettivamente del 4,7% e del 27,9%.
La situazione non è migliore per quanti decidono di affidarsi agli abbonamenti stagionali, per i quali sono stati registrati i seguenti aumenti:
- Valle d’Aosta: +6,6% rispetto allo scorso anno, +23,7% sul 2021;
- Livigno: rispettivamente +4,9% +21,3%;
- Bormio: rispettivamente +4,6%, +17,4%.
A finire sotto la lente d’ingrandimento di Assoutenti non ci sono solo gli skipass. L’associazione ha puntato i propri riflettori sulle strutture ricettive per un soggiorno di una settimana nelle località sciistiche più importanti. In linea di massima gli aumenti per la voce servizio di alloggio sono aumentati grosso modo del 21% rispetto al 2021. A destare le maggiori sorprese sono i listini degli chalet e degli alberghi: nel periodo compreso tra il 30 dicembre 2024 e il 6 gennaio 2025 – sono sette notti – prenotando attraverso i siti specializzati si spendono tra i 1.745 euro e i 15.750 euro a Courmayeur; da 2.111 a 8.075 euro a Livigno, da 1.449 a 9.867 euro a Ortisei, ma si può arrivare al record di 83.000 euro per un soggiorno di sette notti presso una luxury home di Cortina dʼAmpezzo.
Settimana bianca sempre più cara
Il caro energia ormai è alle spalle, ma i costi degli skipass e della settimana bianca sono sempre più alti. L’inflazione, al momento, risulta essere inferiore all’1%.
Gli aumenti applicati dagli operatori turistici appaiono del tutto ingiustificati e inaccettabili – denuncia Gabriele Melluso, presidente Assoutenti -. Un’arma a doppio taglio per il comparto del turismo perché, come abbiamo assistito questa estate, gli italiani reagiscono all’aumento delle tariffe modificando le proprie abitudini e tagliando il numero di notti fuori casa. Ma quest’anno saranno anche i turisti stranieri a punire le speculazioni sul turismo praticate in Italia: gli ultimi dati Demoskopika prevedono infatti flussi turistici al ribasso per la stagione invernale.
Finanza Personale
Pensioni, prevista un’indicizzazione davvero ridicola: 3 euro al mese
L’indicizzazione delle pensioni, nel 2025, è davvero ridicola: per le minime di parla di 3 euro la mese. Nemmeno due caffè.
Al via l’indicizzazione delle pensioni, ma senza arricchire i beneficiari degli assegni previdenziali. A partire dal 1° gennaio 2025 le minime aumenteranno del 2,2%, che, molto pragmaticamente, comporteranno la possibilità di ricevere ogni mese 3 euro in più. Una cifra che potrà servire, al massimo, a prendere due caffè al bar.
La tanto attesa indicizzazione delle pensioni ci sarà, ma non andrà ad impattare molto sulle tasche dei beneficiari. Ad ogni modo il testo provvisorio della Legge di Bilancio 2025 conferma la rivalutazione straordinaria degli assegni previdenziali, che per il 2025 si fermerà al 2,2%, mentre per il 2026 sarà all’1,3%.
Se non ci fosse stata questa previsione normativa, l’importo minimo degli assegni previdenziali si sarebbe ridotto. Incredibile anche solo a pensarlo, ma questo è un dato di fatto.
Ma cerchiamo di capire cosa cambierà dal prossimo anno e quali sono gli importi che arriveranno con le pensioni minime.
Pensioni minime 2025, le novità previste
Dal 1° gennaio 2025 sono previste alcune importanti novità per quanto riguarda le pensioni. Lo scorso 15 ottobre 2024 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di Legge di Bilancio, attraverso il quale sono stati confermati alcune misure che ruotano attorno al sistema previdenziale italiano e che permettono di andare in pensione anticipatamente. Nello specifico si è iniziato ad operare intorno a Quota 103, Opzione Donna ed Ape Sociale.
Le misure che abbiamo appena elencato verranno confermate con gli stessi requisiti che sono in vigore già dal 2024. Nel corso della conferenza stampa di presentazione del DDL Bilancio, Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, ha spiegato che a partire dal prossimo anno è previsto un aumento per le pensioni minime, anche se gli importi sono meno corposi rispetto a quanto era previsto inizialmente.
I titolari del trattamento minimo dell’Inps, oltre alla rivalutazione annuale, potranno beneficiare di un altro aumento, che è stato introdotto nel 2023 per contrastare l’inflazione, ma che non sarà più pari al 2,7% ma si fermerà al 2,2%. Una percentuale che è destinata a scendere ulteriormente a partire dal 2025, quando passerà all’1,3%.
Già la precedente indicizzazione delle pensioni prevedeva un aumento ridicolo degli assegni: la nuova percentuale permette di far arrivare nelle tasche dei diretti interessati una cifra ancora più bassa, pari a 3 euro.
L’assegno minimo Inps, oggi come oggi, è pari a 614 euro. Grazie a questa ulteriore indicizzazione l’importo si andrà ad attestare intorno ai 617 euro, ancora meno rispetto ai 625 euro che in molti prospettavano all’inizio e ben lontani dai 1.000 euro a cui molti partiti della maggioranza avevano puntato.
Aumenti ridicoli, ma senza loro gli importi sarebbero più bassi
Senza dubbio l’indicizzazione delle pensioni è veramente ridicola. Ma se non ci fosse stata, gli assegni previdenziali sarebbero stati addirittura ridotti. Le pensioni minime, infatti, partono da 598,10 euro e considerando un adeguamento all’inflazione che ruota intorno all’1% – senza alcun tipo di rivalutazione – l’importo dell’assegno previdenziale sarebbe diventato pari a 604 euro.
Da premettere, ad ogni modo, che le discussioni intorno al testo della Legge di Bilancio 2025 rimangono ancora aperte e l’effettiva rivalutazione degli importi dell’assegno previdenziale saranno condizionati dalle risorse che saranno effettivamente a disposizione.
A partire dal 2025, inoltre, cambierà anche il meccanismo dell’indicizzazione degli assegni previdenziali al costo della vita. Stiamo parlando, in estrema sintesi, della rivalutazione – o perequazione automatica che dir si voglia – che viene effettuata ogni anno. E che serve per andare ad adeguare gli importi erogati all’inflazione.
Non sono più previsti i tagli fissati alle rivalutazioni che abbiamo visto nel corso degli ultimi due anni: la rivalutazione tornerà ad essere piena e seguirà il sistema previsto dalla Legge n. 388/2000, che è organizzato su tre fasce di reddito:
- per i trattamenti fino a quattro volte il minimo: 100%;
- fino a cinque volte il minimo: 90%;
- superiori a 6 volte il minimo: 75%.
Finanza Personale
Bonus Natale 2024, cambiano i requisiti per richiederlo. Ecco quali sono quelli nuovi
I requisiti per ottenere il bonus Natale 2024 sono cambiati. Non è più necessario che il coniuge sia a carico, anzi può lavorare e avere un suo reddito.
Attraverso il Decreto Legge n. 167 del 14 novembre 2024 sono stati cambiati i requisiti per accedere al bonus Natale 2024. Per potervi accedere è necessario avere un figlio a carico – non più anche il coniuge – e deve essere rispettata una soglia massima di reddito.
Prima di proseguire è bene ricordare che il bonus Natale 2024 spetta ai lavoratori dipendenti che abbiano almeno un figlio a carico: vengono presi in considerazione tutti i figli, compresi quelli nati al di fuori del matrimonio e quelli che che sono stati riconosciuti, adottati, affiliati o affidati.
Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire quali requisiti per poter accedere alla misura.
Bonus Natale 2024, i requisiti per potervi accedere
Il lavoratore dipendente che ha intenzione di accedere al bonus Natale 2024 deve rispettare una particolare soglia di reddito, che deve essere inferiore a 28.000 euro. All’interno di questa cifra vengono considerate tutte le somme percepite a vario titolo dal contribuente, anche quelle esenti, come, per esempio, le agevolazioni che sono previste per il rientro dei cervelli per il regime rimpatriati. La circolare n.19/2024 dell’Agenzia delle Entrate, ad ogni modo, considera anche una serie di aspetti economici:
- i redditi da locazione che sono assoggettati a cedolare secca;
- i redditi che sono sottoposti alla flat tax a seguito dell’applicazione del regime forfettario per quanti svolgono un’attività previdenziale o d’impresa;
- la quota di agevolazione Ace;
- le mance per le quali – stando a quanto previsto dalla Legge di Bilancio 2023 – viene applicata la flat tax.
Uno dei requisiti più importanti per poter accedere al bonus Natale 2024 è quello di essere in possesso della capienza fiscale necessaria. In altre parole l’imposta lorda sui redditi da lavoro dipendente deve essere superiore a quello della detrazione per lavoro dipendente.
Ai fini del conteggio del reddito non deve essere preso in considerazione il reddito relativo all’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e quello delle relative pertinenze.
Non è necessario, inoltre, che l’eventuale coniuge sia carico. Può, addirittura, avere una condizione economica più favorevole: questo, ad ogni modo, non preclude l’accesso al bonus Natale 2024.
Il contributo si può chiedere una sola volta
A differenza di quanto accade con gli altri contributi, per richiedere il bonus Natale 2024 viene preso in considerazione il reddito e non l’Isee. Nel caso in cui all’interno del nucleo familiare entrambi i coniugi abbiano un reddito da lavoro dipendente possono ottenere il bonus Natale 2024 una sola volta.
Per accedere al sussidio è necessario presentare un’apposita domanda, che dovrà essere inoltrata al proprio datore di lavoro. Quella che deve essere compilata, in estrema sintesi, è un’autocertificazione sul possesso dei requisiti. All’interno del documento devono essere inseriti alcuni dati importanti, come il codice fiscale dei familiari che sono fiscalmente a carico. Il datore di lavoro, a questo punto, erogherà i 100 euro insieme alla tredicesima, direttamente nella busta paga.
Per recuperare la somma, il datore di lavoro, potrà utilizzare la somma sotto forma di credito, che dovrà utilizzare in compensazione. L’importo previsto è pari ad un massimo di 100 euro e deve essere calcolato sulla base dei giorni effettivamente lavorati dal dipendente. A poco importano i tipi di contratti sottoscritti – determinato o indeterminato – o l’orario di lavoro – part time o a tempo pieno -.
Quello a cui devono prestare la massima attenzione i dipendenti sono le scadenze, soprattutto se lavorano nel settore pubblico. In questo caso per richiedere il bonus Natale 2024, è necessario presentare la domanda sul portale NoiPA entro e non oltre le ore 12 del 22 novembre 2024.
Quanti non dovessero riuscire a rispettare questa deadline si vedranno riconosciuto il contributo in un secondo momento, in fase di dichiarazione dei redditi 2025. I lavoratori che operano nel settore sanitario, invece, devono inoltrare l’istanza entro e non oltre il 27 novembre.
Finanza Personale
L’Agenzia delle Entrate invia 3 milioni di lettere ai contribuenti. Ecco chi dovrà mettersi in regola
Sono circa 3 milioni le lettere che l’Agenzia delle Entrate invierà ai contribuenti: verrò chiesto loro di mettersi in regola al più presto.
L’Agenzia delle Entrate invia qualcosa come 3 milioni di lettere di compliance ai contribuenti. Le missive, che partiranno dal prossimo 1° gennaio 2025, sono la prima fase della sfida che il fisco ha avviato per regolarizzare i rapporti con i contribuenti. L’intento è quello di muoversi in anticipo e di giocare su più fronti.
Ma cerchiamo di capire nel dettaglio come ha intenzione di muoversi l’Agenzia delle Entrate a partire dal prossimo anno e quali saranno i soggetti interessati dalla novità.
Agenzia delle Entrate, dal 2025 partiranno 3 milioni di lettere
Una nuova convenzione siglata tra il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate prevede che a partire dal prossimo anno partano qualcosa come 3 milioni di comunicazioni. Sono diversi i fronti di intervento sui quali gli uffici tributari hanno intenzione di lavorare. Il più importante è costituito dall’omessa presentazione delle comunicazioni periodiche dell’Iva nel momento in cui siano state emesse delle fatture elettroniche o ci siano dei corrispettivi telematici regolarmente trasmessi. Per ogni singolo trimestre, l’Agenzia delle entrate provvederà ad effettuare una verifica per accertarsi se il contribuente abbia effettuato delle operazioni attive: nel caso in cui non dovesse essere presentata la relativa comunicazione, verrà inviata una lettera di compliance che invita il destinatario a regolarsi nelle dichiarazione.
A questo tipo di segnalazione se ne vanno ad aggiungere le segnalazioni relative all’omessa o infedele dichiarazione da parte delle persone fisiche e quelle relative alle anomalie che sono state riscontrate nella dichiarazione dei dati Isa. Le segnalazioni, inoltre, possono riguardare le eventuali anomalie riscontrate dai confronti tra i pagamenti elettronici ricevuti da quanti sono titolari di partita Iva e i corrispettivi che sono stati riportati all’interno della dichiarazione dei redditi.
L’Agenzia delle Entrate, inoltre, farà partire un ulteriore alert in anticipo: ad essere coinvolti, questa volta sono i titolari di redditi da lavoro dipendente e assimilati, ma anche quanti stiano percependo dei redditi da locazione: nel caso in cui non dovessero aver presentato la dichiarazione dei redditi il fisco li richiamerà all’ordine. In questo caso avranno la possibilità di regolarizzare la propria posizione entro 90 giorni dalla scadenza ordinaria della dichiarazione.
Le lettere di compliance dell’Agenzia delle Entrate
Le operazioni che l’Agenzia delle Entrate metterà in campo a partire dal 2025 si collocano all’interno dei tradizionali alert effettuati ormai da molto tempo e che hanno lo scopo di sollecitare i contribuenti a mettersi in regola. Solo per avere un’idea dell’operatività in questo senso basti pensare che nel 2015 le lettere di compliance inviate dall’AdE sono state poco più di 300mila, che hanno permesso di recuperare 300 milioni di euro. Nel 2023 sono diventate 3 milioni, con recuperi pari a 4,2 miliardi di euro.
Anche nel 2025 l’Agenzia delle Entrate proseguirà con le sue modalità di intervento: l’amministrazione tributaria ha, infatti, intenzione di continuare ad utilizzare questi strumenti in modo da creare dei rapporti non troppo conflittuali con i contribuenti. Ma soprattutto permettendo a questi ultimo di raccogliere le segnalazione che arrivano dai vari uffici e regolarizzare la propria posizione con delle sanzioni ridotte grazie al ravvedimento. Una soluzione che permetterà all’amministrazione tributaria di concentrare le proprie risorse su delle situazioni che comportino un maggior rischio fiscale.
I rapporti tra l’Agenzia delle Entrate sono un tema quanto mai importante, tanto da essere al centro di un convegno che si è tenuto in questi giorni a Pistoia dal titolo Etica & Fisco, nel corso del quale Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, retoricamente si è domandato come possa esistere una società senza tasse? sarebbe una società senza servizi, non in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini.
Le lettere di compliance dell’AdE vengono inviate proprio sulla scia di questo ragionamento, con l’intento di far regolarizzare i contribuenti e fornire i servizi alla società.
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