Finanza Personale
Addio al taglio del canone Rai, il Governo pronto a far pagare di più tutti gli italiani
Si riaccende il dibattito intorno al taglio del canone Rai. Si aprono due correnti di pensiero: chi vuole far risparmiare e chi vuole far spendere di più gli italiani.
Si apre la battaglia intorno al canone Rai, sul quale si è aperto un forte dibattito su una sua possibile riduzione. A riaprire la questione è stato un botta e risposta avvenuto tra il leader di Forza Italia Antonio Tajani e la Lega.Il Ministro degli Esteri, da Pechino, ha ribadito la propria contrarietà all’ipotesi di riduzione del canone Rai, che è stata avanzata dal partito guidato da Matteo Salvini.
Tajani ha ribadito che la proposta di ridurre il canone Rai non fa parte del programma di governo del centrodestra: questo è il motivo per il quale Forza Italia non condivide la proposta. Il timore è che con una riduzione dell’obolo si possano causare dei danni alla televisione pubblica, per la quale sarebbe necessario reperire dei finanziamenti diversi. Sul canone Rai interviene anche la deputata Elena Maccanti, componente della commissione di vigilanza Rai, che ha spiegato che la riduzione delle imposte sono degli obiettivi del centrodestra: le parole di Tajani sorprendono, perché si tratterebbe di confermare una misura già approvata nella Legge di Bilancio 2024. Anche con i voti di Forza Italia.
La proposta di tagliare il canone Rai
Sul canone Rai continua il muro contro muro tra la Lega e Forza Italia. La premier Giorgia Meloni rimane in silenzio, messa in mezzo dalle parole di Tajani che ritiene un’eventuale sforbiciata dell’imposta non facente parte del programma di governo e la replica della Maccanti, che sottolinea come il taglio del canone Rai non sarebbe nulla di nuovo, ma solo la conferma di una misura che era già stata approvata lo scorso anno.
A Montecitorio, al momento, girerebbero due diverse versioni sullo stato dei rapporti all’interno della coalizione. Alcuni sostengono che Giorgia Meloni abbia lasciato la palla a Matteo Salvini nel momento in cui quest’ultimo ha deciso di presentare un emendamento ad hoc al decreto fiscale, attraverso il quale introdurre il taglio a 70 euro del canone Rai. La mossa di Giorgia Meloni avrebbe uno scopo ben preciso: capire l’effetto di questa operazione. Ma anche evitare di creare delle frizioni con l’alleato su un tema che per il Carroccio è stato un cavallo di battaglia nel corso della campagna elettorale.
Altri, invece, sostengono che Salvini abbia intenzione di andare fino in fondo su un tema ritenuto – almeno da lui – prioritario. Il leader della Lega, in estrema sintesi, starebbe puntando i piedi per agitare le acque e per alzare il tiro. Questo giustificherebbe la scelta di presentare un emendamento nonostante i dubbi sollevati da Fratelli d’Italia e il no arrivato da Forza Italia.
Taglio al canone Rai, non si sentono ragioni
Alla Lega non si sentono ragioni. Alessandro Morelli – sottosegretario alla presidenza del Consiglio e fedelissimo di Salvini – ritiene che la Rai più che spendere troppo stia spendendo male. L’obiettivo della Lega è quello di ridurre le tasse degli italiani: questo è il motivo per il quale hanno intenzione di proseguire su questa strada.
Forza Italia, però, non ci starebbe. Stando ad alcune fonti autorevoli citate da Adnkronos, per il partito fondato da Silvio Berlusconi sarebbe una follia volersi far finanziare il taglio del canone Rai da 90 a 70 euro come è successo lo scorso anno. Le stesse fonti fanno notare che nel 2023 i 420 milioni di euro che non sono arrivati dalle bollette sono stati recuperati dalla fiscalità generale e questo non dovrebbe ripetersi.
Alessandro Cattaneo, responsabile nazionale dei Dipartimenti di settore di Forza Italia, ha spiegato che la domanda di fondo dovrebbe essere se e come manteniamo un presidio pubblico nel comparto televisivo. Il presidio, al pari di altri Paesi, compreso il Regno Unito con la Bbc, è opportuno mantenerlo e quindi, di pari passo, va conservato un finanziamento congruo che oggi ritengo adeguato con un canone a 90 euro.
Finanza Personale
Concordato preventivo biennale, si riaprono i termini per l’adesione. Ci sarà tempo fino al 12 dicembre
Si riaprono i termini per aderire al concordato preventivo biennale. I contribuenti avranno tempo di farlo fino al prossimo 12 dicembre 2024.
Chiusa una porta si apre un portone. Smentita anche nell’ipotesi di un’eventuale proroga, i termini per aderire al concordato preventivo biennale sono stati riaperti. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge attraverso il quale sono stati riaperti i termini per aderire alla misura.
Volendo sintetizzare al massimo, i titolari di partita Iva avranno tempo fino al prossimo 12 dicembre 2024 per sottoscrivere il patto con l’Agenzia delle Entrate. A rendere nota la notizia ci ha pensato Maurizio Leo, viceministro dell’Economia e delle finanze, che ha spiegato che a seguito dell’approvazione del decreto legge sono stati riaperti i termini per poter fruire del concordato preventivo biennale. Il nuovo termine per sottoscrivere il patto con il Fisco è stato fissato al prossimo 12 dicembre 2024.
Concordato preventivo biennale, si riapre la porta
Si riaprono i termini per aderire al concordato preventivo biennale. Stando a quanto spiega Maurizio Leo chi non fosse riuscito ad aderire entro la scadenza prevista per lo scorso 31 ottobre, avrà la possibilità di accedervi con questa nuova finestra.
Leo ritiene che questa nuova apertura costituisca un’importante prova di ascolto da parte del Governo, il quale, a seguito di un serrato confronto con i professionisti e le varie associazioni di categoria, ha deciso di allargare ulteriormente la possibilità di aderire a una misura che, almeno sulla carta, sarebbe apprezzata da tutti e conveniente.
Leo aggiunge che la riapertura dei termini di adesione al concordato preventivo biennale è stata effettuata solo ora per un semplice motivo: era necessario acquisire dati certi sul gettito prima di poter avviare un’ulteriore riduzione delle tasse per il 2025.
Ma i diretti interessati come potranno aderire al concordato preventivo biennale? Stando alle prime indicazioni che sono circolate nel corso di queste ore, con ogni probabilità si tratterà di una dichiarazione integrativa che i titolari di partita Iva – sia quelli che applicano gli Isa che i forfettari – potranno formulare per poter aderire al concordato preventivo biennale.
È importante sottolineare che al momento non ci sono dei dettagli operativi, ma quello che sembrerebbe certo è che gli indecisi hanno un ulteriore mese per poter valutare al meglio l’impatto che il concordato preventivo biennale potrebbe avere sulle loro imposte.
Concordato preventivo biennale, il termine del 12 dicembre
La scadenza per aderire al concordato preventivo biennale è sostanzialmente spirata lo scorso 31 ottobre 2024. Adesso arriva questo ultimo colpo di coda, che permetterà ai contribuenti di sottoscrivere il patto fino al prossimo 12 dicembre 2024.
Una sorta di proroga dell’ultimo momento – o più correttamente postuma – con la quale sono state accolte le richieste che sono arrivate da più fronti nel corso degli ultimi mesi.
La decisione di allungare i tempi per l’adesione, sostanzialmente, ha accolto, anche se molto in ritardo, le richieste che sono arrivate dal mondo imprenditoriale e da quello professionale. Ma punta anche ad incrementare il gettito che ne potrebbe derivare.
Il concordato preventivo biennale, con i suoi incassi, servirà a tagliare l’irpef per il ceto medio: l’obiettivo, infatti, è quello di portare l’aliquota del 35% al 33%.
Ad oggi gli incassi garantiti dalla misura ammontano a 1,3 miliardi di euro. La decisione di riaprire i termini per l’adesione non costituiscono semplicemente un segnale di ascolto, ma sono una vera e propria necessità da parte del Governo che punterebbe a raccogliere almeno 2 miliardi di euro di gettito.
Il concordato preventivo biennale deve essere un successo, in modo da permettere un nuovo intervento sull’Irpef già con la Legge di Bilancio 2025. L’obiettivo, infatti, è quello di andare a ridurre la tassazione applicata ai soggetti con un reddito oltre i 28.000 euro.
Una recente simulazione effettuata dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti prevede che servirebbero almeno 2,5 miliardi per ridurre di due punti l’aliquota applicata al secondo scaglione.
Finanza Personale
Stipendio, ci voglio più di 6 anni per riuscire a comprare casa. Senza mangiare nel frattempo
Ci vogliono più di sei annualità di stipendio per comprare casa. Ma attenzione: nel frattempo non si può mangiare o spendere diversamente.
Acquistare una casa inizia a diventare sempre più un sogno per le famiglie italiane. Molto pragmaticamente servono 6,5 annualità di stipendio per concludere un acquisto nelle grandi città italiane. L’analisi, effettuata dall’ufficio studi del Gruppo Tecnocasa si riferisce al primo semestre 2024.
La città per la quale ci vuole un numero maggiore di annualità di stipendio è Milano, dove ne occorrono 12,5. Nel capoluogo lombardo, infatti, si trova il prezzo medio più alto (4.285 euro al metro quadrato), che la rendono la città più costosa in Italia. Nella classifica del numero maggiore di annualità di stipendio necessarie per acquistare casa seguono Roma – dove ne servono 9 – e Firenze, dove è necessario accantonare 8,8 annualità.
Comprare casa, il nodo dello stipendio
Quando si pensa a quante annualità di stipendio siano necessarie per acquistare casa non ci sono solo notizie negative. Le città meno costose – nelle quali è possibile trovare dei prezzi più contenuti – sono Palermo e Genova, dove sono sufficienti 3,3 annualità e dove è possibile trovare un prezzo medio rispettivamente di 1.127 euro al metro quadrato e 1.143 euro al metro quadrato.
Dando uno sguardo al passato i prezzi più alti sono stati registrati nel corso del 2007: in quel periodo i prezzi raggiunsero il loro apice. Per acquistare una casa erano necessarie dieci annualità di stipendio. In quel periodo le città più costose erano Roma, dove occorrevano 14,8 annualità e Milano dove ne bastavano 14.
La Capitale riuscirà a rimanere in testa alla classifica fino al 2019. Quell’anno Milano è riuscita a superare Roma ed è diventata la città nella quale è richiesto il numero più alto di annualità di stipendio per comprare casa. Il capoluogo della Lombardia ha iniziato a raccogliere i frutti delle varie riqualificazioni che ha avviato nel suo territorio. Gli aumenti dei prezzi si sono iniziati a registrare nel centro della città e, man mano, si sono iniziati ad estendere anche alle varie periferie. Il trend continua ad essere confermato tutt’oggi.
Dando uno sguardo ad ampio raggio, si inizia a capire anche i motivi per i quali gli italiani devono accumulare lo stipendio per comprare casa: manca l’offerta abitativa. Stando ad un’analisi effettuata dall’ufficio studi Tecnocasa molti immobili sono stati acquistati subito dopo la pandemia. I progetti di nuova costruzione sono rallentati a causa delle incertezze e degli aumenti dei costi delle materie prime. In molte città è possibile iniziare ad intravedere i primi cambiamenti, ma al momento non risultano essere particolarmente significativi. Per il momento continuano a rimanere sul mercato gli immobili che necessitano di importanti interventi di riqualificazione.
Cosa cercano gli acquirenti quando voglio comprare casa
Ma cosa sono alla ricerca i potenziali acquirenti quando hanno intenzione di comprare casa? Stando ai dati aggiornati allo scorso mese di luglio 2024, le ricerche sono concentrate prevalentemente sui trilocali, che raccolgono il 40,2% delle richieste. Seguono il bilocale, con il 25,5%, ed i quattro locali con il 22,1%. La tipologia più ricercata, in estrema sintesi, è il trilocale. Il piccolo taglio risulta essere appetibile soprattutto da chi ha una bassa disponibilità economica e per gli investitori, che propendono per questa tipologia. Facendola diventare una soluzione abitativa particolarmente apprezzata.
Nel corso del tempo si registra una diminuzione della concentrazione della domanda su tagli leggermente più ampi: a determinare questo cambio di passo è principalmente l’aumento dei prezzi che ha interessato principalmente le città più importanti. Ma soprattutto determinata dall’esaurirsi della spinta data dalla pandemia alla ricerca di immobili con delle metrature più ampie. Il trend è stato confermato nel corso degli ultimi quattro semestri.
Si nota, al contrario, una diminuzione della concentrazione della domanda sui tagli più ampi, come conseguenza dell’aumento dei prezzi che sta interessando le metropoli e dell’esaurirsi della spinta data dalla pandemia alla ricerca di abitazioni più ampie. Il trend si conferma ormai da quattro semestri.
Finanza Personale
Ravvedimento Imu, come sanare l’imposta non pagata ed essere in regola con il Fisco
Se si dimentica di effettuare il pagamento, il contribuente può utilizzare il ravvedimento Imu per sanare la propria posizione.
Come funziona il ravvedimento Imu e soprattutto entro quale scadenza deve essere versato il saldo dell’imposta municipale unica 2024? Con l’avvicinarsi della fine dell’anno, la tradizionale patrimoniale sulla casa torna a preoccupare i contribuenti, che sono alle prese con il versamento di quest’anno e con il problema di regolarizzare eventuali dimenticanze del passato.
Il saldo Imu 2024 deve essere versato entro e non oltre il prossimo 16 dicembre. È esente da questo obolo l’abitazione principale, purché non sia un immobile di lusso. Ricordiamo che l’Imu è una tassa che grava sulla proprietà immobiliare ed è necessario gestirla con la massima attenzione e la dovuta pianificazione, in modo da evitare di dover versare antipatiche sanzioni e interessi per non aver rispettato le scadenze previste dalla normativa.
Inutile negarlo in questa sede: l’Imu, se da un lato rappresenta una pesante voce di costo per i proprietari immobiliari, dall’altro è un’importante voce di guadagno per tutti i Comuni italiani. Rispettare le scadenze è, prima di tutto, un’importante forma di tutela delle proprie finanze, perché evita di andare incontro a degli oneri aggiuntivi da pagare.
Ma vediamo un po’ come è necessario muoversi con il ravvedimento Imu e il suo saldo dell’imposta per il 2024.
Imu, le scadenze previste per il 2024
Partiamo con il ricordare quali sono le scadenze Imu previste per il 2024. I contribuenti devono passare alla casa rispettando le seguenti scadenze:
- il 16 giugno di ogni anno per versare l’acconto. Nel 2024 la deadline è stata spostata al 17 giugno, perché il 16 cadeva di domenica;
- il saldo deve essere effettuato entro il 16 dicembre.
Volendo sintetizzare al massimo, l’acconto Imu serve a pagare la prima metà dell’imposta annuale. Il saldo di dicembre, invece, rappresenta la seconda e ultima parte dell’obolo. La ripartizione è stata introdotta per evitare degli eccessivi carichi fiscali in capo ai contribuenti e, soprattutto, permettere loro di dilazionare l’obolo da versare.
L’importo Imu da versare si viene a determinare calcolando la percentuale di possesso dell’immobile – nel caso di due comproprietari è il 50% ciascuno – e i mesi nei quali si è mantenuta la proprietà nel corso dell’anno. Un mese viene considerato completo nel caso in cui il possesso si sia protratto per più di quindici giorni.
Per provvedere al versamento dell’Imu è necessario utilizzare il Modello F24: è uno strumento di pagamento unificato, che permette ai contribuenti di effettuare i versamenti di vari tipi di imposte e tributi. L’operazione può essere effettuata attraverso:
- il Modello F24 telematico, a cui possono ricorrere tutti i contribuenti;
- il Modello F24 cartaceo, che può essere utilizzato esclusivamente dai soggetti non titolari di partita Iva e in assenza di crediti da compensare.
All’interno del modello F24 è necessario andare ad indicare i dati dell’immobile, l’anno di riferimento e uno specifico codice tributo.
I contribuenti che non sono in possesso di una partita Iva, spesso e volentieri, optano per il bollettino postale, perché ritenuto più semplice e perché è possibile recarsi direttamente ad un ufficio postale per effettuare il pagamento.
I soggetti che sono residenti all’estero possono versare l’Imu attraverso un bonifico bancario diretto al Comune nel quale gli immobili sono ubicati.
Ravvedimento Imu, come sanare l’imposta non pagata
Sono diversi i motivi che potrebbero aver portato a non pagare l’imposta. In questi casi il contribuente può ricorrere allo strumento del ravvedimento operoso, che costituisce una soluzione per evitare che le sanzioni diventino più pesanti.
Attraverso il ravvedimento Imu è possibile sanare i pagamenti versando l’importo dovuto, con una sanzione ridotta e gli interessi calcolati sulla base degli effetti giorni di ritardo. Le sanzioni collegate al ravvedimento Imu cambiano in base al tempo trascorso: regolare la propria posizione entro 14 giorni conviene molto di più rispetto che farlo dopo i 90 giorni.
Finanza Personale
Ape Sociale, per andare in pensione anticipatamente c’è tempo fino al 30 novembre
Per andare in pensione anticipatamente beneficiando dell’Ape Sociale è necessario presentare la domanda entro il 30 novembre 2024.
Si avvicina una scadenza particolarmente importante per quanti hanno intenzione di accedere alla pensione anticipata usufruendo dell’Ape Sociale. Il 30 novembre 2024, infatti, scade il termine ultimo entro il quale è possibile presentare la domanda: la misura, è bene ricordarlo, è riservata a particolari categorie di dipendenti che rientrano in alcune condizioni lavorative, personali o familiari.
Ma vediamo come è possibile andare in pensione anticipata usufruendo delle possibilità messe a disposizione attraverso l’Ape Sociale.
Ape sociale, quali requisiti servono per andare in pensione
Introdotta il 1° maggio 2017, l’Ape Sociale permette di andare in pensione anticipatamente. il legislatore ha deciso di prorogarla fino al 31 dicembre 2024 e successivamente di estenderla fino al 31 dicembre 2025 (a prevederlo è il Disegno di Legge di Bilancio 2025, che è già stato approvato dalla Camera e attualmente risulta essere in discussione al Senato).
Per riuscire ad accedere all’Ape Sociale i potenziali beneficiari devono aver raggiunto un’età anagrafica pari ad almeno 63 anni e 5 mesi di età. I lavoratori che assistono dei familiari di primo o secondo grado – i cosiddetti caregiver – devono aver maturato almeno 30 anni di contributi; a quanti, invece, svolgono dei lavori gravosi ne servono 36, che scendono a 32 per alcune categorie specifiche.
Per le donne, che hanno intenzione di beneficiare dell’Ape Sociale, il requisito contributivo si abbassa di dodici mesi per ogni figlio, per un massimo di due anni.
È importante che i beneficiari non siano titolari di una pensione diretta e, soprattutto, devono cessare ogni tipo di attività lavorativa dipendente, autonoma o parasubordinata. Non importa che sia in Italia o all’estero. L’indennità erogata risulta essere incompatibile con ogni altro tipo di indennizzo erogato per sostenere il reddito legato alla disoccupazione involontaria, come, per esempio, l’assegno di disoccupazione e l’indennità dell’attività commerciale.
Ricordiamo che l’Ape Sociale è un contributo che viene erogato ad alcune categorie di lavoratori in difficoltà: permette di anticipare la pensione, percependo una somma fino a quando viene raggiunta l’età della pensione. L’assegno viene erogato a partire dal mese successivo rispetto a quello nel quale è stata presentata la domanda, ma devono essere rispettati tutti i requisiti e, soprattutto, deve essere cessata ogni tipo di attività lavorativa. Vengono erogate dodici mensilità all’anno e dura fino a quando il beneficiario riceve la pensione di vecchiaia o fino a quando può ricevere altro tipo di pensione anticipata.
La copertura finanziaria della misura viene garantita dal controllo costante delle risorse finanziarie. Nel caso in cui i fondi dovessero essere limitati viene data la priorità ai soggetti che sono più vicini all’età pensionabile. A parità di età, ha la precedenza chi ha presentato la domanda per primo.
Ape Sociale, come si calcola l’importo
L’importo erogato mensilmente viene calcolato sulla base della pensione mensile maturata. Nel caso in cui dovesse essere inferiore a 1.500 euro, l’indennità sarà pari a questo importo. Se, invece, dovesse essere uguale o superiore, l’importo sarà sempre pari a 1.500 euro e non è soggetta a rivalutazione.
Quanti dovessero essere in possesso di contributi in più gestioni previdenziali, l’indennità mensile viene calcolata in maniera proporzionale ai periodi di contribuzione versata in ogni gestione.
Quanti dovessero maturare i requisiti per accedere all’Ape Sociale entro il 31 dicembre 2024 devono inoltrare l’istanza per accedervi entro e non oltre il 30 novembre 2024. La domanda preliminare serve per il riconoscimento dei requisiti di accesso alla misura. In altre parole, entro la fine di novembre i potenziali beneficiari devono istituire la pratica, perché si chiuderà l’ultima finestra utile per poter accedere alla misura. Le domande devono essere inviate alle sedi territoriali Inps competenti tramite i canali telematici ufficiali.
Finanza Personale
Assegno unico, le date di pagamento previste nel mese di novembre 2024
L’Inps ha reso noto le date nelle quali l’assegno unico verrà messo in pagamento nel corso del mese di novembre 2024.
Attraverso il messaggio n. 2302 del 20 giugno 2024, l’Inps ha comunicato ufficialmente le date nelle quali verrà messo in pagamento l’assegno unico nel corso del secondo semestre dell’anno. Nel corso di questo mese e del prossimo, il contributo verrà erogato nelle seguenti date:
- 18, 19 e 20 novembre 2024;
- 17, 18 e 19 dicembre 2024.
Quanti percepiscono l’assegno unico per la prima volta riceveranno la prestazione nel corso dell’ultima settimana del mese successivo a quello in cui è stata inoltrata la domanda per ricevere il contributo. Nel caso in cui l’importo dovesse essere soggetto a conguaglio – sia a credito che a debito – alla stessa data verranno accreditate le eventuali differenze.
Nel suo rapporto annuale l’Inps mette in evidenza che i beneficiari dell’assegno unico sono aumentati: facendo riferimento agli anni compresi tra il 2023 e il 2024, in termini di figli unici (tra AUU a domanda e AUU/RdC) i soggetti che percepiscono la prestazione sono passati da circa 9,7 milioni a 10,1 milioni.
Assegno unico, come verificare quando arriverà
Come abbiamo accennato in precedenza l’assegno unico è destinato ad arrivare tra il 18 ed il 20 novembre. Ma come è possibile sapere se arriverà davvero o se, per qualche motivo, non dovesse essere erogato? Per rispondere a questa domanda è necessario accedere all’area personale MyInps.
Usando le proprie credenziali digitali, infatti, i diretti interessati hanno la possibilità di prendere visione del fascicolo previdenziale, nel quale sono presenti le informazioni aggiornate. Valida alternativa a questa soluzione è l’app Io, che permette di avere una notifica puntuale e precisa sugli eventuali accrediti. L’app Mobileconsente – gestita dall’Inps – permette di monitorare a quale punto sia la domanda.
Quanti, invece, non fossero avvezzi con la tecnologia hanno la possibilità di contrattare direttamente il numero verde dell’Inps o si possono recare ad un patronato per ottenere la necessaria assistenza. Chi volesse accedere all’assistenza diretta può appoggiarsi al numero verde dell’istituto di previdenza, che offre il servizio Inps Risponde attraverso un numero verde dedicato:
- 803164 da rete fissa;
- 06.164164 da rete mobile.
Nel caso in cui fosse necessario richiedere ulteriori dettagli o assistenza relativi all’assegno unico, i diretti interessati hanno la possibilità di rivolgersi ad un patronato, grazie al quale è possibile ottenere l’assistenza necessaria a titolo gratuito.
Assegno unico, come fare se l’accredito non arriva
Purtroppo può capitare che l’assegno unico non venga accreditato nelle tempistiche previste. A questo punto è necessario effettuare una serie di verifiche per appurare cosa sia accaduto. Il primo controllo è strettamente legato allo stato della domanda sul portale dell’Inps: è opportuno controllare che le coordinate bancarie fornite siano corrette, ma soprattutto aggiornate.
Il secondo passo è verificare eventuali comunicazioni che sono state ricevute direttamente dall’Inps: al loro interno ci potrebbe essere la richiesta di nuovi documenti per integrare quelli già consegnati o la necessità di rispondere a particolari requisiti specifici.
Per finire c’è anche un’ulteriore importante novità per chi percepisce l’assegno unico. Con l’avvicinarsi del 2025 l’importo verrà adeguato all’aggiornamento dell’inflazione, che è stimata intorno all’1%. Pragmaticamente cosa significa tutto questo: molto semplicemente che l’ammontare massimo del contributo percepito ad oggi – che risulta essere pari a 199,40 euro – arriverà a superare la soglia di 200 euro, anche se solo di pochi euro. Non stiamo parlando di un aumento che permetterà ai beneficiari di arricchirsi, ma che è senza dubbio apprezzabile e che, se non altro, tiene conto, almeno in piccola parte, dell’aumento del costo della vita. L’unica domanda che rimane aperta ad oggi è se l’Inps erogherà l’aumento già da gennaio o se aspetterà il mese di febbraio – come è già successo in passato – riconoscendo, agli aventi diritto, gli arretrati.
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