Finanza Personale
Inflazione, a Bolzano il carrello della spesa costa 579 euro in più, a Roma 388 euro
L’inflazione ha un impatto diverso nelle città: a Bolzano il carrello della spesa è aumentato molto di più che ad Aosta. Vediamo cosa cambia.
L’inflazione ad ottobre ha registrato una variazione nulla su base mensile, ma è aumentata dello 0,9% su base annua. Il mese precedente era ad un +0,7%. L’Istat, sostanzialmente, ha confermato la stima preliminare con la quale aveva previsto un che l’inflazione risalisse a +0,9%, anche se il quadro congiunturale generale rimane stabile.
Se è vero che a livello complessivo l’inflazione è salita dello 0,9%, è pur vero che il costo della vita non è uguale in tutte le città italiane. Riempire il carrello della spesa comporta degli oneri differenti a seconda della latitudine nella quale si abita. Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di capire quali differenze ci sono nelle varie città del nostro paese.
Inflazione, quali sono le città più care d’Italia
L’Istat ha reso noti i dati territoriali dell’inflazione riferiti al mese di ottobre 2024. Partendo da questa base l’Unione Nazionale Consumatori ha preparato una lista delle città più care del nostro Paese: quelle, in altre parole, dove il costo della vita è più alto. O dove, più correttamente, è aumentato di più. Per effettuare l’analisi sono stati presi in considerazione i capoluoghi di regione o i comuni con almeno 150 mila abitanti.
Bolzano si colloca in cima a questa particolare classifica: l’inflazione tendenziale, in questo caso, è su un +2%. In termini pragmatici questo si trasforma in una maggior spesa da parte delle famiglie media pari a 579 euro. La medaglia d’argento, invece, spetta a Roma, dove, pur registrando la quarta inflazione più alta d’Italia, porta a casa il secondo maggiore incremento di spesa all’anno: 388 euro per ogni famiglia. Sempre sul podio, ma nel gradino più basso troviamo Trento, dove con un’inflazione in crescita dell’1,3% la spesa supplementare risulta essere pari a 383 euro per una famiglia media.
Procedendo troviamo Siracusa, che grazie alla sua seconda maggiore inflazione – pari ad un +1,7% – fa pagare alle famiglie 364 euro in più. a seguire troviamo:
- Padova: inflazione in crescita del 1,4%, mentre la spesa aumenta di 360 euro;
- Parma, Ferrara e Rimini. Per tutte e tre le città i numeri sono i seguenti:+1,3% e +353 euro;
- Ravenna: +1,2%, +326 euro.
A chiudere la top ten delle città nelle quali l’inflazione pesa di più sulla spesa delle famiglie troviamo Macerata: con il suo +1,6% si trova al terzo posto per l’inflazione, ma l’incremento della spesa è pari solo a 322 euro.
Le città più economiche d’Italia
Andando, invece, a vedere le città più virtuose del nostro paese troviamo Aosta, dove si è iniziata a registrare la deflazione: -0,2%. Le famiglie hanno iniziato a risparmiare 52 euro. A pari merito al secondo posto troviamo Forlì e Cesena, anche loro in deflazione (-0,1%): in questo caso le famiglie riescono a risparmiare 27 euro. Potenza conquista la medaglia di bronzo, con una variazione nulla.
All’interno della classifica delle città più virtuose troviamo:
- Biella: +0,1%, +23 euro;
- Modena: +0,1%, +27 euro;
- Teramo: +0,2%, +45 euro;
- Novara: +0,2%, +50 euro;
- Firenze: +0,2%, +52 euro;
- Lodi: +0,2%, 52 euro.
A chiudere la top ten delle città più virtuose troviamo Cremona, con il suo +0,2% pari a 56 euro.
Dando, invece, un’occhiata alle regioni più costose, con un’inflazione annua pari a +1,6% troviamo il Trentino Alto Adige, dove le famiglie si ritrovano a dover pagare 455 euro in più ogni anno. Subito dopo arriva il Lazio, nel quale la crescita dei prezzi è pari all’1,4%: il costo della vita, in questo caso, ha registrato un’impennata pari a 342 euro. In terza posizione c’è la Liguria con il suo +1,1% e un rincaro annuo pari a 256 euro.
La Valle d’Aosta, invece, è la regione dove si risparmia di più: l’unica ad essere in deflazione: -0,2% pari a -52 euro. Seguono:
- Basilicata: +0,1%, +21 euro;
- Molise: +0,4%, +83 euro.
Finanza Personale
Cedolino della pensione del mese di gennaio 2025: ecco cosa contiene
Nel cedolino della pensione del mese di gennaio 2025 sono contenute interessanti novità per chi lo riceve. Vediamo quali sono.
L’Inps si accinge a pubblicare il cedolino della pensione del mese di gennaio 2025. Il documento è molto atteso perché con il primo pagamento dell’anno viene ricalcolato l’importo dell’assegno previdenziale sulla base delle rivalutazioni all’inflazione.
Con il primo cedolino della pensione del 2025 è atteso un adeguamento al costo della vita dello 0,8%: a confermarlo è stato un decreto del Ministero del Lavoro, che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 278 del 27 novembre 2024.
Ma vediamo quali sono le novità più importanti che i diretti interessati troveranno sul cedolino della pensione del mese di gennaio 2025.
Cedolino della pensione di gennaio, cosa contiene
Sicuramente la novità più importante presente sul cedolino della pensione di gennaio 2025 è la rivalutazione dello 0,8% dell’assegno previdenziale. Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia e delle Finanze, ha confermato il tasso provvisorio: entro la fine del 2025 ci sarà la perequazione, che verrà calcolare sull’inflazione che si è realmente realizzata nel corso dell’anno..
Ma torniamo al cedolino della pensione di gennaio: la rivalutazione dello 0,8% verrà calcolata fin da subito. Non tutti i pensionati, però, riceveranno la percentuale intera: arriverà solo per quanti percepiscono un assegno previdenziale fino a quattro volte il trattamento minimo. Quanti, invece, dovessero superare questa soglia, si vedranno decurtare gradualmente la rivalutazione:
- la rivalutazione pieno dello 0,8% arriva a quanti percepiscono un assegno che non supera quattro volte il minimo;
- riceveranno solo lo 0,72% quanti percepiscono un assegno compreso tra le 4 e le 5 volte il minimo;
- si fermerà allo 0,6% quanti percepiscono una pensione sopra le 5 volte il minimo.
Il cedolino della pensione sarà più ricco per quanti ricevono l’assegno minimo, che sarà portato a 616,67 euro al mese.
Con la mensilità di gennaio non sono previsti degli arretrati del 2024. L’inflazione prevista all’inizio di quest’anno era al 5,4%: aliquota è stata successivamente confermata proprio a fine anno. Non viene riconosciuta, quindi, alcuna perequazione per i pensionati: nel corso dell’anno hanno già ricevuto quanto spettava a loro.
Importanti notizie anche per quanto riguarda il pagamento della pensione: è previsto il 3 gennaio. A differenza di quanto accade nel corso degli altri mesi, l’assegno previdenziale arriva il secondo giorno bancabile del mese, non il primo.
La data di accredito che abbiamo visto coinvolge quanti percepiscono le proprie spettanze sul conto corrente postale o bancario. La situazione cambia leggermente per quanti hanno intenzione di percepire l’assegno direttamente in contanti presso gli uffici postali: devono rispettare il calendario reso noto da Poste italiane.
Le addizionali e il conguaglio fiscale
Notizie un po’ meno felici arrivano dal punto di vista fiscale. A partire dal cedolino della pensione di gennaio riprenderanno ad essere applicate le addizionali regionali e comunali a saldo per il 2024.
Questo, però, non costituisce l’unico aspetto negativo: per l’Inps, il prossimo mese, è anche l’occasione per effettuare un nuovo calcolo a consuntivo delle ritenute che sono state effettuate nel corso del 2023, coinvolgendo, anche in questo caso le addizionali regionali e comunali a saldo. Oltre che per l’Irpef.
Grazie a questa operazione è possibile prendere in considerazione unicamente l’ammontare delle prestazioni previdenziali che l’Inps ha erogato e fare un confronto con quanto è stato trattenuto dalla pensione come imposte nel corso dell’anno.
Nel caso in cui le trattenute effettuate nel corso del 2024 non siano state sufficienti, l’Inps andrà a recuperare la differenza sulle mensilità di gennaio e febbraio 2025: in alcuni casi si può arrivare fino all’azzeramento della pensione. In questa situazione potrebbero trovarsi quanti, nel corso dell’anno, abbiano percepito soldi rispetto a quelli che l’Inps aveva presupposto. Prestare attenzione al contenuto del cedolino della pensione è quindi molto importante.
Finanza Personale
Cala la spesa per i carburanti, gli italiani spendono 103 euro in meno all’anno
Cala la spesa annua per i carburanti delle famiglie italiane, che arrivano a spendere fino a 103 euro in meno all’anno.
Se le notizie sul fronte delle bollette di luce e gas non sono positive per gli italiani, il discorso cambia quando si guarda il costo dei carburanti, che, per fortuna, sono in calo.
Nel corso del mese di ottobre i prezzi alla pompa di benzina e diesel sono scesi ai minimi da due anni a questa parte. Nel corso del 2024 gli automobilisti sono riusciti a portare a casa un risparmio pari a 2,7 miliardi di euro rispetto al 2023. Stando ai calcoli effettuati da Unem, l’Unione energie per la mobilità, ogni famiglia è arrivata a spendere 103 euro in meno.
Ma i risparmi registrati fino a questo punto continueranno anche nel futuro? Cosa si dovranno aspettare le famiglie quando andranno a fare il pieno? I carburanti continueranno a costare come oggi? Scopriamolo insieme.
Carburanti, cresce il consumo di petrolio
Unem nel suo preconsuntivo 2024 ha analizzato il mercato del petrolio sotto ogni punto di vista. I dati mettono in luce che quest’anno in Italia è aumentato il consumo di greggio in generale, fino ad arrivare a registrare un +1,7%. A mantenere il trend in positivo sono principalmente i prodotti per la mobilità – quindi i carburanti e, in primis, il diesel e la benzina – i quali costituiscono il 72% del totale. La domanda per i soli carburanti per i trasporti ha registrato un +3,7%.
Fatte queste premesse la rete dei distributori italiani è insufficiente: in Italia sono presenti 22.000 impianti suddivisi in 310 marchi, che stanno continuando ad aumentare. Stando a quanto ha spiegato Gianni Murano, presidente dell’Unem (l’associazione delle imprese dei carburanti), il 20% dei distributori ha un erogato inferiore ai 400.000 litri l’anno di prodotto. Solo il 3% ha degli erogati risultano essere in linea con la media europea, che è pari a 3 milioni di litri l’anno. Questo è il motivo per il quale la rete di distribuzione dei carburanti in Italia deve affrontare una pesante riorganizzazione.
Passando ad analizzare i numeri, ad ogni modo, si scopre che l’Italia sia l’unico tra i principali Paesi europei che, almeno nel corso del 2024, sia stato registrato un aumento delle vendite dei carburanti rispetto al 2023 e, addirittura, rispetto al 2019.
Il petrolio, quindi, si è confermato come la prima fonte di energia dell’Italia, arrivando a costituire il 38,5% del mix nostrano. Cala dello 0,7% il gas, che si posiziona su un 34,7%.
Da sottolineare che nel corso del 2024 nel nostro Paese si è spinto molto sulle rinnovabili. L’aumento si è attestato intorno al 12%: il loro peso tra le fonti energetiche è arrivato al 22,2%, un risultato ottenuto grazie alla ripresa dell’idroelettrico (+35%) e del fotovoltaico (+31%).
Come si muovono gli altri carburanti
Andando a dare uno sguardo agli altri carburanti si scorge che tra le rinnovabili è stato registrato un consistente calo delle importazioni di biocarburante, sceso del 19%. La loro produzione, però, è aumentata in una percentuale quasi analoga: +15%.
Il carbone, invece, è ai minimi storici, arrivando ad un -63%. Complessivamente il suo peso è pari all’1,5%, mentre nel 2023 era pari al 5%.
Risulta sostanzialmente essere in calo anche la fattura energetica in Italia, attestandosi a 18,6 miliardi di euro, in calo del 28% rispetto al 2023. I costi hanno beneficiato della flessione delle quotazioni internazionali del petrolio e del gas. Cala del 26% la fattura petrolifera, che oggi come oggi si attesta a 7,6 miliardi.
Di contro, invece, aumenta il gettito fiscale che scaturisce dalle accise, che è cresciuto di 700 milioni di euro per l’aumento dei volumi. Cala di 300 milioni di euro quello dell’Iva per la riduzione dei prezzi registrata nel corso degli ultimi mesi.
Finanza Personale
Anche per gli influencer nel 2025 arriva la pensione
L’Inps divulgherà il prossimo anno una circolare per definire le regole per i contributi e per l’accesso alla pensione riservata agli influencer.
Anche gli influencer e i creator potranno andare in pensione. Non è che fino a questo momento, per questi professionisti, fosse preclusa la possibilità di ricevere un assegno previdenziale, ma adesso l’Inps, in collaborazione con l’Associazione Italiana Content e Digital Creators (Aicdc), ha annunciato una circolare ad hoc, attraverso la quale fornire le istruzioni necessarie per i professionisti del settore, che si devono barcamenare tra gli adempimenti fiscali e quelli previdenziali.
Ma vediamo un po’ quali sono le novità previste per gli influencer e quali possibilità si apriranno per andare in pensione.
Anche gli influencer andranno in pensione
L’Inps ha annunciato una circolare che costituisce un importante tassello per gli influencer e i creator. Il documento fornirà le istruzioni necessarie per gestire gli aspetti previdenziali di questi professionisti.
Sara Zanotelli, presidente dell’Aicdc, ha spiegato che, dopo l’introduzione del codice Ateco per gli influencer e i content creator, sono arrivate delle risposte concrete per gestire tutti gli aspetti legati alla pensione.
Attraverso il documento dell’Inps – che dovrebbe arrivare ad inizio 2025 – verranno definite le linee guida per effettuare i versamenti dei contributi. Ma soprattutto fornirà un valido supporto agli influencer per muoversi correttamente nel panorama normativo.
L’Inps starebbe collaborando attivamente assieme al legislatore in modo da riuscire a regolamentare in modo chiaro e trasparente il comparto. Anche perché attività come quelle di influencer e creator meritano la dovuta attenzione per il loro contributo economico, ma soprattutto per il loro valore sociale e culturale.
Regolamentare in maniera chiara dal punto di vista tributario e previdenziale le attività svolte dagli influencer, indubbiamente, non è una cosa facile. Le fonti di reddito garantite da questo tipo di attività sono molteplici e passano dagli accordi commerciali con i brand alla monetizzazione delle piattaforme. Stiamo parlando di una molteplicità di fonti di reddito, che non sempre sono uniformi. Questo è il motivo per il quale l’Inps ha deciso di intervenire, in modo che anche questi professionisti abbiano la possibilità di costruirsi una pensione.
Sono 450 le professioni non ordinistiche e sono quasi sempre costituite da giovani – spiega Massimo Bitonci, sottosegretario al Ministero delle Imprese e del Made in Italy -. E sono professioni che vogliono regolamentarsi. Per questa ragione ho fortemente voluto un tavolo di confronto con le associazioni che le rappresentano.
Quanto guadagnano gli influencer
In Italia, mediamente, un influencer arriva a guadagnare 84.028 euro all’anno. Il nostro Paese, tra l’altro, brilla per numero di professionisti in questo settore: sono 82 ogni 100.000 abitanti: ci posizioniamo al terzo posto come numero degli addetti del comparto, subito dopo Spagna e Regno Unito.
È bene, però, non farsi ingannare dai guadagni degli influencer, perché ci sono persone che hanno dei ricavi medi molto bassi, altri, invece, che arrivano a guadagnare fino a 1,6 milioni di euro l’anno. Entrare nel ristretto giro di questi ultimi non è molto facile.
i guadagni degli influencer sono condizionati dal numero di follower che hanno: si parte da almeno 10.000 per arrivare a 49.000. La soglia dei 10 mila è stata individuata da I-Com come spartiacque tra quanti sono dei professionisti e chi crea dei contenuti sui social solo per divertirsi.
La fascia degli influencer che ha un numero compreso tra 10.000 e 50.000 followers costituisce il gruppo più ampio. Si riesce ad assicurare la quota maggiore dei guadagni: stiamo parlando del 34%, che equivale a qualcosa come 1,38 miliardi di euro. La cifra deve essere divisa tra un numero particolarmente alto di professionisti.
Indubbiamente vanno molto meglio le cose per quanti hanno oltre un milione di followers – stiamo parlando di pochi influencer, che sono molto noti – che riescono a guadagnare tutti insieme 931 milioni di euro, il 23% del totale dei guadagni di tutta la categoria.
Finanza Personale
Bollette, nel 2025 arriva la stangata. Ecco chi pagherà fino a 30 euro in più ogni mese
Nel 2025 si preannuncia una vera e propria stangata per le bollette del gas e dell’elettricità. Ecco quanto si arriverà a pagare.
L’avanzare della stagione più fredda dell’anno pone al centro dell’attenzione i prezzi delle bollette, soprattutto quelle del gas. Stando ad un’analisi effettuata da Bloomberg Intelligence, i costi di questa materia prima potrebbero arrivare a sfiorare i 50 euro al megawattora nel corso del primo trimestre 2025: stiamo parlando, sostanzialmente, di 16 euro in più rispetto ai 34 che sono stati registrati nel corso del primo trimestre del 2024.
Al momento il costo del gas si aggira intorno ai 44-45 euro: il rischio è che il suo aumento si trascini dietro inesorabilmente anche quello dell’elettricità, andando ad impattare direttamente sulle bollette delle famiglie italiane.
Bollette, a rischio nuovi aumenti
A partire dal prossimo anno le famiglie potrebbero trovarsi ad avere a che fare con dei nuovi aumenti delle bollette. A far fluttuare i costi del gas sono principalmente le tensioni geopolitiche: non solo la guerra tra Russia ed Ucraina, ma anche i continui problemi che il Medio Oriente sta attraversando. A pesare sui costi delle bollette, poi, c’è il rischio che questo inverno possa essere uno dei più freddi degli ultimi anni: questo porterà ad erodere un po’ di più i livelli degli stoccaggi, determinando un ulteriore aumento dei prezzi.
Inutile negarlo l’impatto di quanto sta avvenendo avrà delle conseguenze pesanti sulle famiglie, che in questi mesi sono già state messe a dura prova dai rincari inflazionistici.
Soffermandosi un po’ di più sull’Italia e sulle bollette che dovranno gestire le famiglie, è utile ricordare che Arera, lo scorso 3 dicembre 2024, ha deciso di aggiornare il prezzo del gas per i clienti nel servizio di tutela della vulnerabilità. Per il mese di novembre 2024 si è arrivati a quota 122,15 centesimi di euro per metro cubo, in aumento rispetto ad ottobre del 4,6% (ricordiamo che aveva già registrato, in quell’occasione, una crescita del 5,3%).
A determinare questo aumento, come ha segnalato la stessa Arera, è stato l’aumento dei prezzi all’ingrosso, che va ad incidere direttamente sulla spesa della materia prima.
Quanto accadrà ai clienti vulnerabili può essere preso come riferimento per quanto potrebbe accadere per tutti gli altri. E cercare di capire quale impatto possa avere il gas sulle bollette con un’offerta variabile.
Ai fini pratici quanto potrebbero ritrovarsi a spendere i consumatori italiani? Altroconsumo ha risposto a questa domanda proponendo la simulazione di spesa di una bolletta del gas. Prendendo come riferimento un appartamento composto da tre locali, con una superficie tra gli 80 e i 90 metri quadrati e consumi stimati a novembre tra i 130 e i 150 metri cubi, la spesa prevista per la bolletta del gas potrebbe oscillare tra i 140 e i 170 euro. A dicembre, quando i consumi potrebbero andare oltre i 200 metri cubi, la spesa potrebbe arrivare tra i 170 e i 200 euro.
Bollette del gas, come risparmiare
È possibile, in qualche modo, risparmiare sulle bollette del gas e dell’elettricità? L’associazione, prima di tutto, ricorda di non sottovalutare la possibilità di rateizzare l’importo in più rate.
Ma non solo: quanti fossero in una situazione di difficoltà economica hanno la possibilità di accedere ai bonus sociali, che sono accessibili per le utenze di luce e gas. Questa agevolazione è accessibile ai nuclei familiari che hanno un reddito Isee fino a 9.530 euro se hanno tre figli a carico. L’Isee può arrivare a 20.000 euro, nel caso in cui dovessero avere più di tre figli.
Per riuscire a risparmiare sulle bollette è poi importante tenere sotto controllo i consumi di gas ed elettricità, cercando di utilizzare gli elettrodomestici in modo corretto:
- far partire, per esempio, la lavatrice solo a carico pieno, con una temperatura compresa tra i 30 e i 40 gradi, scegliendo il programma eco. Se la si usa tre volte la settimana invece che quattro, si può arrivare a risparmiare 14-16 euro;
- nel frigo è meglio evitare di inserire dei cibi troppo caldi, non tenendolo aperto troppo a lungo. Sbrinare regolarmente il freezer;
- buona prassi, inoltre, è quella di staccare dalla presa gli elettrodomestici che non vengono utilizzati, che possono portare a risparmiare fino a 65 euro l’anno;
- buone prospettive, infine, arrivano dall’uso delle lampade Led, che possono far risparmiare fino a 52 euro l’anno.
Per risparmiare sul gas, Altroconsumo consiglia di stare attenti ai tempi della doccia e tenere sotto controllo il riscaldamento: abbassandolo solo di un grado e tenendolo intorno ai 20 gradi si possono arrivare a risparmiare 117 euro per ogni grado.
Finanza Personale
La Tari va in prescrizione in 5 anni. Ecco a cosa stare attenti
La Tari va in prescrizione in 5 anni. Ma è bene stare attenti a quelle pratiche che potrebbero determinare l’allungamento delle tempistiche.
La tassa sui rifiuti – comunemente nota anche come Tari – va in prescrizione come ogni altra imposta: dopo cinque anni non si è più obbligati a conservare la documentazione che ne attesti il versamento. Ricordiamo che la Tari deve essere pagata da tutti i proprietari o detentori di immobili che, in qualche modo, possano produrre dei rifiuti.
La tassa sui rifiuti deve essere pagata anche quando un determinato immobile non viene utilizzato: l’omesso versamento è considerato alla stregua dell’evasione fiscale. Il Comune ha cinque anni di tempo per esigere il versamento della Tari: passato questo termine non ha più diritto di chiedere niente.
Ma entriamo un po’ nel dettaglio e vediamo un po’ quando va in prescrizione questo particolare obolo.
Tari non pagata, ecco quando va in prescrizione
La Tari segue una regola un po’ particolare, che la differenzia dagli altri tributi locali, che vanno in prescrizione dopo 10 anni. La tassa sui rifiuti ha un termine più breve: cinque anni. Questo significa, in altre parole, che le cartelle esattoriali per notificare il suo mancato pagamento devono arrivare entro questo periodo. In caso contrario si prescrive.
Nel caso in cui un contribuente non dovesse pagare la Tari, una volta che siano passati cinque anni, a partire dal successivo 1° gennaio non ha più alcun obbligo od onere rispetto alla tassa sui rifiuti. A confermare i termini di prescrizione della Tari è la giurisprudenza consolidata. Ma attenzione ad una particolarità: nel caso in cui il debito dovesse derivare da una sentenza, la prescrizione sale a 10 anni.
La prescrizione della Tari, infatti, si può allungare nel caso in cui il pagamento sia stato imposto a seguito di una sentenza giudiziaria: quando si viene a verificare questa situazione, si deve applicare il termine ordinario che la normativa prevede per gli atti giudiziari.
Ma come si devono calcolare i termini di prescrizione della Tari? Il periodo ha inizio il 1° gennaio dell’anno successivo a quello a cui si riferisce il tributo. Qualsiasi richiesta di pagamento che arriva prima della scadenza dei cinque anni fa in modo che la prescrizione ricomincia da capo. Per quanto riguarda le cartelle esattoriali, la prescrizione ha inizio dalla data di notifica della Pec o della raccomandata.
Da tenere sotto controllo, ad ogni modo, le possibili proroghe alle scadenze del pagamento della Tari, che potrebbero contribuire a spostare in avanti il periodo di prescrizione.
Tari in prescrizione, come deve essere contestata
Può capitare di dover contestare la Tari in prescrizione. In questo caso il diretto interessato ha la possibilità di presentare un’istanza in autotutela al Comune, attraverso la quale richiedere uno sgravio dell’avviso di accertamento. L’operazione deve essere effettuata entro e non oltre 60 giorni dal ricevimento dell’avviso di accertamento.
Prima di intraprendere questa operazione è opportuno verificare che non siano scattate delle interruzioni delle prescrizione, che potrebbero essere determinate da degli avvisi di accertamento, delle cartelle esattoriali o da altre comunicazioni ufficiali.
Il diretto interessato, a questo punto, deve raccogliere tutta la documentazione necessaria e deve preparare un’istanza in autotutela, che dovrà indirizzare all’ufficio tributi del Comune. All’interno del documento dovrà essere chiesto l’annullamento della richiesta di pagamento per intervenuta prescrizione: dovranno essere indicate con estrema chiarezza e precisione le date rilevanti e i motivi per i quali si ritiene che il tributo risulti essere prescritto.
Nel caso in cui il Comune rigetti l’istanza o non dovesse rispondere entro 60 giorni, il contribuente ha la possibilità di presentare un ricorso alla Commissione tributaria provinciale entro i successivi 60 giorni.
Grosso modo i termini della prescrizione della Tari in caso di omessa denuncia seguono le stesse regole della prescrizione ordinaria della tassa. Nel caso in cui non si fosse presentata la dichiarazione di possesso dell’immobile – questa è, in estrema sintesi, l’omessa denuncia – il termine di prescrizione continua a rimanere cinque anni.
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