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Partita Iva, arriva il rinvio delle imposte al 16 gennaio 2025

Importante novità per i titolari di partita Iva: le imposte sono rinviate al 16 gennaio 2024. Ed è possibile pagarle in cinque comode rate.

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Partita Iva, arriva il rinvio delle imposte al 16 gennaio 2025

Anche quest’anno i titolari di partita Iva hanno la possibilità di rateizzare i versamenti relativi al secondo acconto delle imposte sui redditi. Come già era avvenuto nel 2023, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti con un volume d’affari inferiore a 170.000 euro possono iniziare a versare gli importi dovuti a partire dal mese di gennaio 2025. Il pagamento può essere suddiviso in cinque rate.

Ma vediamo in cosa consiste questa novità riservata ai titolari di partita Iva.

Partita Iva, le tasse saranno a rate

La possibilità di pagare a rate il secondo acconto sui redditi è stata introdotta dalla Lega, che ha presentato ben tre emendamenti: due al Decreto Fiscale e uno alla Legge di Bilancio 2025. La rateizzazione, che coinvolge i titolari di partita Iva, è stata appoggiata da Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, che nel corso degli ultimi giorni aveva manifestato il proprio appoggio verso questo tipo di soluzione.

Nel corso del 2023, ad optare per il pagamento a rate per il secondo acconto delle imposte sono stati 276 mila titolari di partita Iva, suddivisi in questo modo:

  • 83.233 contribuenti Irpef;
  • 193.044 soggetti che hanno optato per i regimi minimi e forfettari.

La misura ha avuto un impatto diretto sugli incassi dello Stato, perché ha determinato uno spostamento di cassa per circa 600 milioni di euro. I titolari di partita Iva hanno sostanzialmente confermato l’interesse per questo tipo di flessibilità fiscale.

Alberto Gusmeroli, presidente della commissione Attività produttive della Camera, si dice molto soddisfatto dei risultati della misura, di cui è stato promotore. Gusmeroli ha sottolineato che la proroga costituisce a tutti gli effetti una vera e propria semplificazione fiscale. Per la seconda volta, nell’arco di cinquant’anni, le imposte non vengono pagate in anticipo, ma si versano nel momento in cui l’anno fiscale è chiuso ed il reddito è stato guadagnato. Vengono eliminate le sanzioni e la necessità di alcuni contribuenti di ricorrere a dei prestiti per riuscire a rispettare le scadenze.

Ma le novità previste per i titolari di partita Iva non finiscono qui. La Lega ha presentato un emendamento che punterebbe ad estendere la platea dei beneficiari, andando ad includere anche le persone fisiche, le società di persone, di capitale e le associazioni che sono soggette agli Isa. Il periodo di rateazione verrebbe esteso fino al 16 giugno 2025. Al centro di un’altra proposta ci sarebbero i contributi previdenziali ed assistenziali, che potrebbero rientrare nel regime del pagamento a rate.

Uno degli obiettivi che si è fissato Gusmeroli è quello di rendere strutturale il pagamento a rate del secondo acconto delle imposte, andando ad estendere la misura ai dipendenti e ai pensionati che hanno dei redditi aggiuntivi. L’intento sarebbe quello di garantire una maggiore equità fiscale, ma soprattutto mettere a disposizione degli strumenti di sostegno concreto a tutti i contribuenti.

Cosa prevede il rinvio nel dettaglio

Come andrà ad impattare sui titolari di partita Iva la norma che prevede il rinvio del secondo acconto delle imposte? Volendo sintetizzare al massimo viene rinviata la scadenza del 2 dicembre 2024 – ricordiamo che quella consueta del 30 novembre 2024 cade di sabato, quindi è previsto il consueto slittamento – al 16 gennaio 2025.

Attenzione, però, verranno rinviati unicamente le imposte sul reddito. Il nuovo testo emendativo non contiene l’estensione del rinvio e della rateazione per i contributi previdenziali ed assistenziali. Per questo tipo di versamento, quindi, i contribuenti dovranno continuare a rispettare la scadenza del 2 dicembre 2024.

Per i versamenti effettuati il 16 gennaio 2025 non sono previste delle sanzioni o degli interessi. questi ultimi verranno applicati unicamente ai versamenti effettuati tra febbraio e maggio 2025: dovranno essere applicati quelli previsti dalle normi vigenti.

Laureato in materie letterarie e giornalista pubblicista iscritto all'Albo dal 2002 [Link di verifica iscrizione all'Albo]. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin da subito, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

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Finanza Personale

Taglio del cuneo fiscale, il paradosso dell’aliquota al 56% per chi guadagna meno di 40mila euro

Un vero e proprio paradosso del taglio del cuneo fiscale ha introdotto un’aliquota del 56% per chi ha un reddito compreso tra i 32mila e 40mila euro.

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Taglio del cuneo fiscale, il paradosso dell'aliquota al 56% per chi guadagna meno di 40mila euro

Con la Legge di Bilancio 2025 arriva un nuovo taglio del cuneo fiscale, che, per uno scherzo del destino, porta a spendere più soldi di tasse. In un certo senso potremmo essere davanti ad un effetto paradossale: nella fascia di reddito compresa tra i 32.000 ed i 40.000 euro si viene a creare un’aliquota marginale del 56%: no, non stiamo sbagliando. Siamo davanti ad un’aliquota enorme, la più alta di tutte, che va ad impattare direttamente sui contribuenti che rientrano in quella fascia di reddito.

Quello che balza letteralmente agli occhi è che se i contribuenti iniziano a guadagnare oltre 40.000 euro, l’aliquota scende drasticamente al 44%, innestando un effetto regressivo a fronte di maggiori redditi. A mettere in evidenza quello che a tutti gli effetti potrebbe essere considerato un paradosso è una memoria che è stata depositata dall’Ufficio parlamentare di bilancio in occasione dell’audizione sul Ddl Bilancio.

Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di capire quale sia l’impatto sui contribuenti del taglio del cuneo fiscale.

Taglio del cuneo fiscale, gli impatti sui contribuenti

Prima addentrarci sul paradosso del taglio del cuneo fiscale è importante sottolineare che i lavoratori che rientrano nella fascia di reddito compresa tra i 35.000 ed i 40.000 euro sono quelli più avvantaggiati dalle novità previste dalla Manovra 2025. Il motivo è molto semplice: appartengono allo scaglione Irpef che fino a questo momento non ha beneficiato dei vantaggi del taglio del cuneo fiscale – che si traduce in uno sconto contributivo -: questa volta ne riusciranno a beneficiare anche loro. Volendo sintetizzare al massimo, chi dovesse rientrare in questa fascia di reddito nel 2025 avrà una busta paga più alta rispetto a quella del 2024.

La premessa è doverosa, anche perché il taglio del cuneo fiscale per il 2025 sembra causare alcuni pasticci, andando ad introdurre un’aliquota marginale effettiva molto alta, che va a colpire direttamente quei contribuenti che percepiscono dei redditi che non sono faraonici.

Cos’è un’aliquota marginale effettiva? Volendo sintetizzare al massimo costituisce la percentuale che viene applicata all’aumento di reddito oltre una certa soglia. In altre parole stiamo parlando di quella parte dell’aumento dello stipendio che va in tributi e che, quindi, non arriva nelle tasche dei lavoratori. Questo tipo di operazioni, nella maggior parte dei casi, genera delle vere e proprie distorsioni nella scala dei redditi. Nel caso che stiamo prendendo in esame quel punto equivale ai 32.000 euro: ogni euro in più che i lavoratori dipendenti guadagnano, il 56% finisce in tasse fino al raggiungimento dei 40.000 euro. Stiamo parlando, di fatto, della percentuale più alta prevista dal nostro ordinamento.

Quanto si deve pagare in tasse

Quali sono, sostanzialmente, le conseguenze di questo paradosso del taglio del cuneo fiscale? Una persona che, oggi come oggi, dovesse guadagnare poco meno di 32.000 euro e riesce ad ottenere un aumento di stipendio dal proprio datore di lavoro, gli resterà in tasca una cifra molto più bassa rispetto all’aumento lordo.

Discorso molto simile vale per gli straordinari: nel caso in cui con l’orario normale lo stipendio si dovesse attestare poco sotto i 32.000 euro l’anno lordi, il dipendente non avrà alcun incentivo a lavorare di più, perché la maggior parte dei soldi che gli arriveranno andranno a finire direttamente nelle tasche del fisco.

Come molti ben sapranno a seguito della riforma fiscale le aliquote Irpef sono passate da quattro a tre. Per riuscire a confermare gli effetti del taglio del cuneo fiscale (relativo ai contributi) si è scelto di operare sul fronte dei tributi da versare, con un sistema di bonus e detrazioni che devono essere calcolati in base al reddito del lavoratore. Sotto gli 8.500 euro il beneficio è pari al 7,1%, mentre fino a 15.000 euro è del 5,3% e al 4,8% fino a 20.000 euro. Per chi percepisce un reddito compreso tra i 20.000 ed i 32.000 euro è prevista una detrazione pari a 1.000 euro l’anno. Oltre i 32.000 e fino ai 40.000 euro la detrazione inizia a decrescere fino ad azzerarsi. Andando a combinare le tre aliquote Irpef e i quattro scaglioni di riferimento per i bonus si vengono a generare sette aliquote marginali, la più alta delle quali è compresa tra i 32.000 ed i 40.000 euro.

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Canone Rai, scontro in Senato sull’importo da pagare: 70 o 90 euro

Acceso scontro in Senato sull’importo del canone Rai: si devono pagare 70 o 90 euro? Tutto è ancora da decidere.

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Canone Rai, scontro in Senato sull'importo da pagare: 70 o 90 euro

Siamo a novembre e ancora non c’è certezza sull’importo del canone Rai 2025. Quanto verrà addebitato in bolletta? Novanta o settanta euro? L’obolo che si paga con le utenze elettriche – per il momento questa è la sola cosa certa – è uno degli ostacoli che stanno frenando il Decreto fiscale in Senato.

Il canone Rai è al centro di un duro braccio di ferro tutto interno alla maggioranza, tanto che le parti sono alla ricerca di una soluzione, che dovrebbe arrivare prima della fine del voto sugli emendamenti che è previsto per la giornata di oggi, dopo che è stato deciso un rinvio dalla Commissione Bilancio.

Canone Rai al centro di un braccio di ferro

Uno dei nodi che la maggioranza deve ancora sciogliere è quello legato al canone Rai, per il quale non è ancora certo se si dovranno pagare 90 o 70 euro. Nella giornata di ieri – 25 novembre 2024 – i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani si sono incontrati con Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati: al centro dell’incontro c’è la richiesta avanzata dalla Lega di ridurre l’importo del canone Rai, magari con un taglio leggermente più contenuto rispetto ai 20 euro di un anno fa. La proposta, purtroppo, non sembrerebbe essere vista di buon occhio nemmeno da Giorgia Meloni.

Dario Damiani – uno dei relatori del Dl fiscale – ha spiegato che sarebbe emerso in maniera chiara che quello relativo al canone Rai è un tema divisivo: come tale è stato chiesto che venga accantonato. Damiano chiede un ulteriore sforzo su temi che risultino essere più omogenei con il Dl Fiscale.

Ricordiamo che la Lega ha presentato un emendamento alla Legge di Bilancio 2025 attraverso il quale chiedere la conferma del taglio da 90 a 70 euro del canone Rai. Anche se oggi dice di essere poco convinta che si possa arrivare ad un giusto equilibrio. Giorgio Maria Bergesio, capogruppo del Carroccio in commissione Vigilanza, ritiene che la maggioranza sia compatta: la Lega non sta sottraendo delle risorse alla Rai, ma verrebbero prese dalla fiscalità generale come già accaduto con la Manovra 2024. Una decisione condivisa da tutto il centrodestra. I 400 milioni di euro del canone Rai sarebbero prelevati dalle tasse che i contribuenti stanno già pagando.

La riduzione, però, sembra trovare una ferma opposizione da parte di Forza Italia. Maurizio Gasparri, capogruppo FI al Senato, ritiene che la riduzione del canone Rai non serva a niente, perché se si decide di effettuare il taglio di questo obolo si danno alla televisione pubblica 400 milioni che arrivano dalle tasse dei cittadini: se non è zuppa è pan bagnato.

Perché il canone Rai è andato in bolletta

Insieme al bollo auto il canone Rai è una delle tasse più odiate dalle famiglie italiane, tanto da farla diventare una delle più evase. Si stima che l’evasione totale sia pari al 25%. Chi non lo pagava, al massimo, poteva temere il controllo degli esattori, che potevano venire a casa – lo possono fare ancora oggi – per verificare l’effettiva presenza di un televisore. Il rischio è che potessero piombare la tv: una volta entrati in casa, se trovavano un apparecchio, potevano apporre i sigilli che ne bloccano l’utilizzo.

L’astio nei confronti del canone Rai è cresciuto con la nascita delle Tv private, che oltre ad operare gratis hanno aumentato l’offerta televisiva. La domanda che in molti si ponevano è perché dovessero pagare un canone alla Rai quando potevano vedere altri canali che offrivano grossomodo le stesse cose.

Per ovviare a questa evasione, nel 2016 il governo Renzi aveva deciso di attuare una duplice strategia: riuscì a far pagare a tutti il canone Rai mettendolo nella bolletta della luce, scaricando l’onere di dimostrare di non essere proprietari di una televisione agli stessi utenti. Contestualmente la tassa è scesa da 113 a 90 euro, dilazionata in dieci rate mensili.

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Black Friday, consumatori disposti a spendere fino a 256 euro per sfruttare gli sconti

Le famiglie sono disposte a spendere fino a 256 euro in occasione del Black Friday per anticipare i regali di Natale.

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Black Friday, consumatori disposti a spendere fino a 256 euro per sfruttare gli sconti

Aumenta il numero degli italiani disposti ad usufruire degli sconti per il Black Friday: secondo Confcommercio il 67,25% delle persone sarebbe disposta a fare degli acquisti, andando ad anticipare i regali di Natale. Nel 2023 la percentuale si era fermata al 60%. Ad essere interessati a fare compere sono principalmente le donne e gli adulti, con un’età inferiore a 50 anni, dislocati principalmente nel Nord Italia.

Secondo i dati in possesso di Confcommercio sarebbero quasi due italiani su tre a voler approfittare del Black Friday e di questo periodo per usufruire degli sconti per riuscire a risparmiare in vista delle feste di fine anno.

Black Friday, italiani alla ricerca degli sconti

Italiani alla ricerca degli sconti in occasione del Black Friday. I numeri sono confermati da Confesercenti, la quale stima che quasi un italiano su due  – più correttamente il 45% – ha previsto di beneficiare degli sconti in programma fino al 29 novembre 2024, prevedendo di effettuare uno o più acquisti. A questi soggetti si aggiunge un ulteriore 40% che con ogni probabilità dovrebbe fare degli acquisti, anche se prenderà una decisione solo all’ultimo momento, in base alle offerte che troverà.

Le offerte del Black Friday, quest’anno, non coinvolgono unicamente gli e-commerce: secondo le stime di Confesercenti dovrebbero essere almeno 200mila i negozi di vicinato che dovrebbero aderire all’evento promozionale. A far la parte del leone, però, è l’online, contro il quale la sfida è in salita: almeno sette consumatori su dieci sarebbero orientati ad acquistare su una delle tante piattaforme online.

Ma quanto hanno intenzione di spendere le famiglie in occasione del Black Friday? Sempre secondo le stime di Confesercenti il budget medio è di 216,80 euro, con una previsione leggermente più alta nelle regioni del centro (256 euro) e più bassa in sulle del sud (181 euro). Sono gli uomini intenzionati a spendere di più: la previsione si attesta a 246 euro, contro i 190 previsti dalle donne. Andando ad analizzare le fasce d’età, invece, a voler sfruttare di più il Black Friday sono le persone con un’età compresa tra i 35 ed i 65 anni, che hanno intenzione di spendere 228 euro. Quanti hanno un’età compresa tra i 18 ed i 34 anni hanno intenzione di partecipare di più. Almeno il 50% dei più giovani ha già deciso di acquistare nei giorni del black friday, contro il 43% dei più grandi.

Gli acquisti, almeno nella maggior parte, sarà concentrata nel corso della giornata di venerdì: anche se è importante segnalare che il 705 degli intervistati ha ammesso di aver già approfittato delle promozioni che hanno preceduto la giornata.

Black Friday, cosa si acquista

Secondo Confcommercio tra gli articoli più ricercati rimane in testa l’abbigliamento, anche se è stata registrata una lieve diminuzione rispetto all’anno scorso, passando dal 57% al 53%. A fare un balzo in avanti, invece, è l’elettronica, che passa da un 44,75 ad un 52,2%. Vanno bene anche i prodotti per la cura delle persone, i gioielli, i libri e gli articoli per bambini.

Per Confesercenti il Black Friday sarà all’insegna della moda: il 49% ha dichiarato di essere interessato ad acquistare dei capi d’abbigliamento, calzature o accessori. Al secondo posto c’è l’informatica o l’elettronica (47%). Seguno:

  • elettrodomestici: 29%;
  • libri: 24%;
  • giocattoli: 21%;
  • mobili e prodotti per la casa: 18%. 

A furia di mesi neri e promozioni anticipate, il commercio fisico rischia un dicembre in rosso – commenta Confesercenti -. Le promozioni autunnali, dal Black Friday al Black Month, sono nate come strumento di marketing delle piattaforme online. La tradizione del venerdì nero, nata negli Stati Uniti, è stata importata nei paesi europei dai grandi player dell’eCommerce proprio con l’obiettivo di ‘anticipare’ le vendite di Natale: un aspetto di grande importanza per il commercio online, che a causa dei tempi di spedizione si trova in svantaggio rispetto alla rete fisica nei giorni immediatamente precedenti al Natale.

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La stangata di Natale passa dal caro torrone e dai panettoni che costano fino a 35 euro

Quest’anno la stangata di Natale passa dal caro torrone. Ma non solo i panettoni artigianali possono arrivare a costare 35 euro.

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La stangata di Natale passa dal caro torrone e dai panettoni che costano fino a 35 euro

La stangata di Natale passa inesorabilmente dal caro torrone, a cui si associano alcuni lievi assestamenti verso l’alto del prezzo dei panettoni e dei pandori tradizionali. La crisi internazionale che colpisce il cacao impatta inesorabilmente sul prezzo dei dolci natalizi più comuni al cui interno c’è del cioccolato. A metterlo in evidenza è il Codacons, il quale, con l’arrivo nei supermercati e nei negozi dei tradizionali prodotti di Natale, ha analizzato i loro costi e quali impatto avranno sulle tasche dei consumatori.

Arriva la stangata di Natale

Le famiglie si devono preparare alla stangata di Natale. Per i pandori e i panettoni classici, nelle principali catene commerciali, il costo può variare tra i 5 ed i 7 euro, ma può arrivare fino a 14 euro per i prodotti d’alta gamma. Se il marchio è quello del supermercato i prezzi oscillano tra i 3,50 ed i 5 euro.

Molto più alti i costi dei panettoni artigianali, che possono arrivare a costare tra i 30 ed i 35 euro. Ma se sono firmati da degli chef famosi possono arrivare a costare fino a 60 euro. Rispetto al Natale dello scorso anno il listino prezzi dei pandori e dei panettoni industriali sono in leggera crescita, arrivando a costare fino al 4% in più. Il discorso cambia se si vanno ad analizzare i prezzi dei dolci natalizi al cioccolato: per i panettoni e per i pandori la variante al cioccolato ha registrato in media un aumento del 12,5%. Indubbiamente il primato dei rincari spetta ai torroni classici al cioccolato, i cui listini delle principali marche risultano essere in crescita del 30% rispetto allo scorso anno, con delle punte che arrivano anche al 53% in alcune catene commerciali.

Alla base di tali sensibili incrementi di prezzo, c’è la crisi internazionale del cacao – spiega il Codacons – Nel corso dell’anno le quotazioni di tale materia prima hanno raggiunto sui mercati valori record che hanno sfiorato i 12 mila dollari la tonnellata la scorsa primavera, mentre oggi il prezzo internazionale del cacao risulta più alto di circa il 107% rispetto a fine 2023. Una crisi che ha impattato in modo diretto sui prezzi dei dolci tipici natalizi realizzati con tale materia prima.

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Quota 41, chi può accedere alla pensione precoce nel 2025

Grazie a Quota 41 i lavoratori possono accedere alla pensione precoce anche nel 2025. Vediamo quali sono i requisiti richiesti.

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Quota 41, chi può accedere alla pensione precoce nel 2025

Ancora presto per parlare di una riforma delle pensioni, ma per il momento vi è una certezza. Anche nel 2025 sarà possibile accedere a Quota 41. Ci stiamo riferendo alla misura dedicata a quelle persone che hanno iniziato a lavorare precocemente, in giovane età. Per riuscire ad accadere alla cosiddetta Quota 41, ad ogni modo, è necessario essere in possesso di una serie di requisiti, che non corrispondono unicamente agli anni di contributi, ma coinvolgono anche il tipo di contributi che sono stati versati e il profilo personale del lavoratore che presenta la richiesta.

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire chi siano i soggetti che hanno la possibilità di andare in pensione grazie a Quota 41.

Quota 41, come andare in pensione con questo strumento

Sono diverse le misure di pensione anticipata che dovrebbero essere confermate attraverso la Legge di Bilancio 2025. Tra queste ci sono Opzione Donna, l’Ape Sociale e Quota 103.

In questa sede ci soffermeremo sulla misura destinata ai lavoratori precoci: Quota 41. Il requisito per potervi accedere è aver accumulato almeno 41 anni di contributi, ma non tutti sono validi. È necessario infatti:

  • che almeno 35 dei 41 anni di contributi siano completamente liberi da contributi figurativi che derivino da dei periodi di disoccupazione o malattia;
  • è necessario che il lavoratore abbia versato almeno un anno di contributi prima di aver compiuto 19 anni. Questo è un dettaglio molto importante, perché la misura è pensata proprio per quelle persone che hanno iniziato a lavorare molto presto. Ed è, tra l’altro, il motivo per il quale si chiama pensione precoce.

I requisiti che abbiamo appena visto costituiscono i criteri tecnici che sostanzialmente limitano l’accesso a Quota 41, facendo in modo che diventi una misura altamente selettiva.

Una soluzione alla portata di tutti

Aver maturato 41 anni di contributi rappresenta la conditio sine qua non per accedere alla misura. Ma la pensione precoce non è aperta a tutti i lavoratori, ma è riservata a specifiche categorie, che stanno attraversando dei momenti di svantaggio. Nel 2025 potranno beneficiare di Quota 41 i soggetti che si trovano nelle seguenti situazioni:

  • disoccupati, ossia le persone che hanno perso il lavoro;
  • caregiver, lavoratori che si stanno prendendo cura di un familiare convivente affetto da gravi disabilità. Il loro ruolo è essenziale per l’assistenza di tutti i giorni;
  • invalidi, quanti abbiano una riduzione della capacità lavorativa pari ad almeno il 74%. L’invalidità deve essere stata certificata dalle autorità competenti;
  • lavoratori che stiano effettuando delle attività gravose. Sono quanti siano impiegati in un’attività mentalmente o fisicamente impegnativa, che sono elencate in un’apposita lista che comprende le mansioni ritenute usuranti.

Dietro a Quota 41 c’è un ragionamento di base: arrivare ad un compromesso tra la necessità di garantire una certa flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e la volontà del legislatore di mantenere sostenibile il sistema previdenziale italiano. La necessità che siano stati versati dei contributi prima del compimento dei 19 anni serve a tutelare quanti abbiano iniziato a lavorare da giovani.

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