Finanza Personale
Taglio dell’Irpef, a guadagnarci sarebbero in pochi. C’è anche chi rischia di perderci qualcosa
Dal taglio dell’Irpef sarebbero davvero in pochi a guadagnarci. Anzi, c’è chi corre il rischio di pagare di più. Ecco perché.
La Legge di Bilancio 2025 metterà mano alle aliquote Irpef previste per il prossimo anno. Ma cosa cambierà per i contribuenti? Chi ci guadagnerà realmente dalla revisione delle tasse? A partire dal 1° gennaio l’imposta sulle persone fisiche sarà confermata a tre aliquote – ossia il 23%, il 35% ed il 43% – con i relativi scaglioni di reddito. La novità, come in molti ben ricorderanno, è stata introdotta con la riforma fiscale di quest’anno.
A partire dal 2025, ad ogni modo, il Governo avrebbe sulla carta un nuovo taglio delle tasse per i lavoratori dipendenti, per gli autonomi e per i pensionati. La sforbiciata dovrebbe essere finanziata attraverso le risorse che arriveranno dal concordato preventivo biennale delle partite Iva, che è profumo di proroga proprio in questi giorni (al 12 dicembre 2024). A mettere in evidenza come ci sia uno stretto legame tra queste due misure è stato direttamente Maurizio Leo, viceministro all’Economia, che ha voluto sottolineare come risulti importante avere delle certezze su quelle che potrebbero essere le future entrate tributarie.
Irpef, le aspettative sul secondo scaglione
È importante premettere che, almeno per il momento, stanno circolando esclusivamente delle ipotesi: è ancora troppo presto per poter dare delle certezze. Tra l’altro la Legge di Bilancio 2025 deve essere approvata entro la fine dell’anno, quindi tutto può ancora accadere.
Il Governo sembrerebbe intenzionato a ridurre il secondo scaglione dell’Irpef. Stiamo parlando dell’aliquota del 35% che impatta direttamente sui contribuenti che hanno un reddito compreso tra i 28.000 ed i 50.000 euro, che dovrebbe essere abbassata di uno o due punti percentuali.
Il concordato preventivo biennale – prendendo in considerazione chi vi ha aderito al 31 ottobre 2024 – dovrebbe portare nelle casse dello Stato qualcosa come 1,3 miliardi di euro. Per riuscire a ridurre l’aliquota, però, servirebbe riuscire a racimolare almeno 2,5 miliardi di euro. Ossia il doppio degli attuali. Questo, sostanzialmente, è uno dei motivi per il quale la possibilità di aderire al concordato preventivo biennale è stata prorogata al 12 dicembre 2024.
Taglio aliquote Irpef, cosa cambia per i dipendenti
Il taglio delle aliquote Irpef quale impatto avrebbe sui contribuenti? A fornire una risposta a questa domanda ci ha pensato la Fondazione Nazionale dei Commercialisti, che ha spiegato che i proventi del concordato preventivo biennale, almeno in questo momento, potrebbero permettere di andare verso una riduzione di un punto percentuale dell’aliquota del secondo scaglione, che passerebbe, quindi, dal 35% al 34%. Il taglio dell’Irpef avrebbe un impatto positivo per qualcosa come 11 milioni di contribuenti italiani, che appartengono al cosiddetto ceto medio. Le risorse, ad ogni modo, non sarebbero sufficienti per riuscire ad abbassare l’aliquota al 33%, ossia di due punti percentuali.
Stando alle simulazioni elaborate dai commercialisti sull’eventuale taglio dell’Irpef, il passaggio dell’aliquota dal 35% al 34% permetterebbe di ottenere il vantaggio maggiore ai lavoratori dipendenti che hanno dei redditi lordi superiori a 35.000 euro. Ma proviamo fare un esempio pratico, in modo da capire quale sia l’impatto diretto di questa misura:
- chi percepisce un reddito pari a 40.000 euro riuscirebbe a risparmiare 543 euro ogni anno;
- quanti hanno un reddito compreso tra i 30.000 ed i 35.000 euro subirebbe una piccola perdita, che oscillerebbe tra i -101 e i -145 euro, sempre nell’arco dei dodici mesi.
I conti, ovviamente, cambierebbero nel caso in cui il taglio dell’Irpef fosse di due punti percentuali: lo scaglione, a questo punto, passerebbe dal 35% al 33%. Il risparmio annuale per quanti percepiscono 40.000 euro salirebbe a 627 euro, mentre la perdita per chi ha un reddito compreso tra 30.000 e 35.000 sarebbe compreso tra i -101 e i -107 euro.
I vantaggi fiscali, sostanzialmente, non sarebbero uniformi, ma sono condizionati dalle fasce di reddito a cui i contribuenti appartengono.
Finanza Personale
Secondo acconto imposte 2024, arriva il rinvio al prossimo anno
Per il secondo acconto imposte 2024 Giorgetti ha aperto la strada al rinvio a gennaio 2025. Al momento, però, mancano i dettagli della misura.
Il versamento del secondo acconto delle imposte 2024 potrebbe essere rinviato. Ricordiamo che questo importante appuntamento con il fisco è previsto il prossimo 2 dicembre 2024: in calendario, ufficialmente, era il 30 novembre, ma cadendo di sabato ha fatto slittare l’appuntamento di alcuni giorni.
Ad annunciare il rinvio del secondo acconto delle imposte – tra le quali rientra anche l’Irpef – è stato Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, nel corso di una risposta ad un’interrogazione parlamentare del 13 novembre 2024 (per l’esattezza la numero 4-01551). La misura, stando almeno alle prime anticipazioni, ricalcherebbe quella dello scorso anno. Nel caso in cui il rinvio dovesse essere confermato dovrebbe essere inserito in un apposito emendamento al collegato fiscale della Legge di Bilancio 2025. In alternativa potrebbe essere prevista con una misura ad hoc, che potrebbe essere inserita in un altro provvedimento dell’esecutivo.
Secondo acconto delle imposte, cosa era previsto lo scorso anno
A differenza di quanto accade con il saldo e primo acconto, i cui importi possono essere tranquillamente rateizzati dai contribuenti, la regola generale impone che il secondo acconto – la cui scadenza è prevista per la fine di novembre di ogni anno – non sia rateizzabile.
Nel 2023 il legislatore intervenne con un una norma eccezionale che cambiò le carte in tavola: attraverso il Decreto Anticipi – o più correttamente il decreto Legge n. 145/2023 convertito in Legge n. 191/2023 – venne data la possibilità ai contribuenti di optare per il rinvio e il rateizzo degli importi dovuti. I diretti interessati potevano scegliere se effettuare il pagamento in un’unica soluzione o rinviarlo. Quanti avevano optato per il rinvio avevano a disposizione due diverse chance:
- effettuare il versamento in un’unica soluzione entro il 16 gennaio 2024, senza dover pagare delle sanzioni o degli interessi;
- rateizzare il versamento in un massimo di cinque rate, la cui prima era fissata al 16 gennaio 2024 e le successive cadevano il 16 di ogni mese fino a maggio. Sulle rate successive alla prima cadevano degli interessi.
Ad ogni modo la possibilità di rinviare e rateizzare il versamento del secondo acconto non venne data a tutti i contribuenti. L’opportunità venne riservata unicamente alle persone fisiche titolari di partita Iva con ricavi o compensi che, nel periodo d’imposta 2022, non fossero superiori a 170.000 euro. Per effettuare la scelta era sufficiente il comportamento concludente.
Secondo acconto imposte 2025, cosa cambia ora
Per il momento è possibile basarsi esclusivamente sulle anticipazioni del ministro Giancarlo Giorgetti, secondo il quale si starebbe valutando una norma analoga per il secondo acconto delle imposte 2024, che, almeno per il momento, è in scadenza il prossimo 2 dicembre 2024.
Cosa significa tutto questo? Nel caso in cui la proposta dovesse passare, i contribuenti avranno la possibilità di scegliere se pagare entro il 2 dicembre 2024 o se rimandare il versamento al 16 gennaio 2025. Quanti dovessero optare per questa seconda soluzione si troverebbero di fronte a due differenti possibilità:
- procedere con il versamento di quanto dovuto in un’unica soluzione entro il prossimo 16 gennaio 2025. In questo caso non sarebbero applicate delle sanzioni o degli interessi;
- rateizzare gli importi in un massimo di cinque rate, delle quali la prima dovrebbe essere versata entro il 16 gennaio 2025 e le restanti entro il 16 di ogni mese fino a maggio. Anche in questo caso sulle rate successive rispetto alla prima dovranno essere calcolati gli interessi a norma di legge.
Purtroppo le informazioni fornite da Giorgetti attraverso la sua risposta non contengono sufficienti dettagli sulla misura. Ad oggi, quindi, è necessario attendere per sapere se la chance venga data a tutti i contribuenti o se sarà limitata come era avvenuto lo scorso anno.
Finanza Personale
Bonus Maroni prorogato nel 2025, ma attenzione nel lungo periodo è una vera e propria fregatura
Il bonus Maroni potrebbe essere prorogato nel 2025. Ma attenzione a richiederlo, nel lungo periodo si rimettono molti soldi.
Arriva la proroga del bonus Maroni. Tra le novità inserite nella Legge di Bilancio 2025 è prevista la conferma dell’incentivo per i lavoratori che decidono di ritardare il momento in cui andranno in pensione. Il bonus Maroni prevede dei vantaggi fiscali per i dipendenti che, avendo raggiunto i requisiti per accedere a Quota 103 – quindi 62 anni di età e 41 anni di contributi versati – decidono di continuare a rimanere al lavoro.
La domanda di fondo, a questo punto, è se sia conveniente usufruire di questa misura. vediamo un po’.
Bonus Maroni, la proroga al 2025
All’interno della sua relazione alla Manovra 2025 presentata lo scorso 5 novembre, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha puntato i riflettori su tutte le misure che entreranno nel testo definitivo dalla finanziaria. Almeno se dovesse essere confermato il testo che circola in questi giorni. Tra le varie novità al vaglio una riguarda il mondo delle pensioni ed è costituita dal bonus Maroni: la sua eventuale efficacia – secondo gli esperti dell’Upb – è condizionata dal modo in cui i lavoratori dipendenti risponderanno ai vari incentivi messi in campo.
Ma come funziona nel dettaglio il bonus Maroni? i lavoratori dipendenti, che hanno maturato i requisiti per accedere alla pensione con Quota 103, possono ritardare il momento in cui andranno in quiescenza. Una scelta che si accompagna alla decisione di rinunciare al versamento della quota dei contributi a proprio carico – che risulta essere pari al 9,19% e all’8,85% dell’imponibile pensionistico, rispettivamente per il settore privato e per quello pubblico -. Ma sostanzialmente dove starebbe il beneficio per il lavoratore? I suddetti contributi verrebbero accreditati direttamente in busta paga e, a differenza di quanto era previsto con la Legge di Bilancio 2023, sarebbero esenti dall’Irpef.
Perché si chiama bonus Maroni
La misura è stata battezzata bonus Maroni perché ricalca in maniera evidente quanto previsto dalla Legge n. 243/2004, che era stata proposta proprio dall’onorevole Roberto Maroni. Rispetto alla versione originale, però, ci sono alcune differenze. Una ventina di anni fa la contribuzione – sia quella a carico del datore di lavoro sia quella relativa al dipendente – veniva corrisposta in totale e completa esenzione di imposta al dipendente.
Grazie a questo semplice escamotage, il contribuente si rendeva immediatamente conto dello sconto contributivo che percepiva: il ché era particolarmente importante per prendere delle decisioni nel breve periodo. Ma non solo, all’epoca l’età media dei potenziali beneficiari era indubbiamente più bassa rispetto a quella di oggi, fattore che contribuiva a far aumentare la disponibilità a rimanere sul posto di lavoro. Inoltre il provvedimento era stato introdotto in un momento in cui la maggior parte dei beneficiari rientravano nel sistema retributivo.
Il sommarsi dei vari presupposti ha fatto in modo che il beneficio economico a favore dei lavoratori si andasse a sommare a quello implicito del sistema di computo retributivo della pensione, che rendeva costoso il versamento dei contributi per la pensione nella fase iniziale della vita lavorativa.
Quali sono i vantaggi del bonus Maroni nel 2025? Difficile dare un risposta unitaria per tutti i lavoratori, perché l’effettivo vantaggio assume delle connotazioni differenti, che variano a seconda dell’orizzonte temporale di valutazione.
Nel breve periodo il lavoratore riesce a percepire un aumento immediato del reddito disponibile, che, se nel biennio 2023-2024 è stata pari all’ammontare dei contributi a carico del lavoratore al netto della maggiore imposta personale, nel 2025 l’effetto sul reddito sarà ancora più forte con il venir meno dell’imponibile fiscale. Volendo fare un esempio pratico, utilizzando come parametro un reddito pari a 40.000 euro annui, l’aliquota contributiva pari al 9,19% determinata dei contributi pensionistici pari a 3.676 euro.
Prendendo in considerazione un orizzonte temporale leggermente più ampio, il bonus Maroni non risulta essere conveniente. Questo sostanziale paradosso si spiega con il fatto che a fronte di minori contributi pensionistici versati corrisponde un minore assegno previdenziale in futuro. in altre parole più si prende nell’immediato e meno si prende dopo.
Finanza Personale
Pensioni, con gli aumenti di gennaio in arrivo 3.200 euro di arretrati
Con l’aumento di gennaio 2025 delle pensioni alcuni titolari dell’assegno previdenziale potrebbero ricevere arretrati per 3.200 euro.
Indubbiamente uno degli argomenti di maggiore interesse in quest’ultimo scorcio del 2024 sono i potenziali aumenti delle pensioni a partire da gennaio. Ad inizio anno, infatti, è tradizione che l’assegno previdenziale venga adeguato al costo della vita. Questa volta, però, l’aumento delle pensioni è a dir poco irrisorio, considerando che l’adeguamento all’inflazione si dovrebbe aggirare intorno all’1%.
A partire dal 2025, però, cambia il meccanismo dell’indicizzazione. Per molti pensionati diventerà meno penalizzante. A destare il maggiore interesse ed attesa è la sentenza della Corte Costituzionale. Ma vediamo un po’ cosa dovrebbe accadere a partire dal prossimo anno.
Pensioni 2025, cosa cambia a partire dal prossimo anno
Il Governo ha deciso di modificare il metodo di perequazione delle pensioni. Una decisione che, con ogni probabilità, è stata adottata perché il metodo utilizzato quest’anno è stato troppo penalizzante per le pensioni oltre le quattro volte il trattamento minimo. Grande attesa, inoltre, c’è per il responso della Consulta, che dovrebbe chiarire se il meccanismo sia realmente incostituzionale o meno. Nel caso in cui i giudici dovessero ritenere illegittimo rispetto alla Costituzione il metodo utilizzato, i pensionati potrebbero ottenere in un colpo solo 3,200 euro di arretrati.
A parte questa succulenta (potenziale) novità, l’adeguamento al costo della vita nel 2025 dell’assegno previdenziale è inferiore a quanto previsto negli anni precedenti. Nel corso degli ultimi mesi del 2022 si parlava di un’inflazione previsionale del 7,3%, che poi diventò un effettivo 8,1% come tasso definitivo. Anche nel 2023, in questo stesso periodo, si parlava di un’inflazione intorno al 5,4%, diventata poi un 5,7%. Per il 2025 l’adeguamento al costo della vita si dovrebbe attestare su un più contenuto 1%. Gli aumenti delle pensioni, quindi, saranno molto più contenuti.
È importante sottolineare che il metodo della rivalutazione prevede dei tagli al tasso di inflazione per gli assegni previdenziali più alti. E che sono proporzionali all’importo della pensione. Il meccanismo che verrà adottato quest’anno – almeno da quanto si intravede dal testo della Legge di Bilancio 2025 – comporterà dei tagli. L’impatto sugli importi non dovrebbe essere esagerato come quelli che abbiamo visto nel 2024 e che sono arrivati alla Corte Costituzionale. Entrando un po’ nello specifico, per le pensioni con un importo superiore alle quattro volte il trattamento minimo è prevista l’indicizzazione all’85% del tasso di inflazione. Nel caso in cui gli importi minimi fossero tra cinque e sei volte il minimo la perequazione è al 53%. Per le pensioni fino a otto volte il minimo è al 47% e per quelle fino a 10 volte al 37%. Per gli importi oltre dieci volte il minimo è il 22%.
I motivi per i quali i pensionato ci hanno rimesso
Proviamo a fare un calcolo e cerchiamo di capire perché alcuni pensionati ci hanno rimesso tutti questi soldi. Considerando che il trattamento minimo, nel 2025, supererà di poco i 600 euro, una pensione 10 volte il minimo – quindi pari a 6.000 euro – sarebbe dovuta aumentare di 342 euro al mese con il 5,4% di indicizzazione. L’importo effettivo arrivato – ossia il 22% del 5,7% – è stato pari a 75 euro. Ogni mese i diretti interessati hanno perso 267 euro: per il 2024 si parla di una perdita complessiva di 3.200 euro.
Nel caso in cui la Consulta dovesse dare torto al Governo, i pensionati dovranno essere risarciti. Quanti hanno un trattamento previdenziale pari a 6.000 euro esatti hanno un credito di oltre 3.450 euro.
A partire dal 2025 l’Esecutivo targato Giorgia Meloni ha deciso di passare alla rivalutazione piena per i trattamenti previdenziali fino a tre volte il minimo, che scende al 90% per gli importi fino a cinque volte il minimo e al 75% per quelle cinque volte il minimo.
Finanza Personale
Reddito reale, in Italia cresce più degli altri paesi Ocse. Ma sarà proprio vero?
Il reddito reale in Italia cresce più che negli altri Paesi dell’Ocse. Anche se, andando a ben vedere, mentre si fa la spesa non sembrerebbe proprio.
Gli italiani diventano più ricchi? Sicuramente no, almeno vedendo quanto costa andare a fare la spesa. Ma il reddito reale delle famiglie starebbe aumentando più della media Ocse nel corso del secondo trimestre del 2024.
Stando a quanto comunicato proprio dall’Ocse, nei paesi che fanno parte dell’organizzazione il reddito sarebbe aumentato dello 0,4%, registrando un deciso rallentamento rispetto all’1m3% portato a casa nel corso del primo trimestre. Il Pil reale pro capite, nello stesso periodo, risulterebbe essere aumentato dello 0,3%.
Complessivamente l’organizzazione ha in mano i dati di quindici paesi: di questi otto hanno registrato un aumento, mentre per sette c’è stata una diminuzione. Tra le economie dei paesi che fanno parte del G7, il reddito risulta essere cresciuto nella maggior parte dei paesi. Si è invece contratto in Germania e in Canada. In Italia e nel Regno Unito sono stati registrati gli aumenti più alti: siamo davanti, rispettivamente ad un +1,0% ed un +1,1%, sostanzialmente invariati rispetto a quanto registrato nel corso del trimestre precedente.
Reddito reale, cosa succede negli altri Paesi
Anche negli Stati Uniti è stato registrato un aumento del reddito reale delle famiglie nel corso del secondo trimestre del 2024: il suo +0,4% è comunque in calo rispetto all’1,2% che era stato registrato nel corso del primo trimestre. A condizionare l’andamento del reddito negli Usa è principalmente la ridotta crescita della retribuzione dei dipendenti e dei pagamenti delle prestazioni sociali governative.
Un aumento è stato registrato anche in Francia, che ha portato a casa un +0,3%, anche se il risultato è in calo rispetto allo 0,5% del primo trimestre. Notizie non positive per il Canada, dove è stato registrato un calo dello 0,2%: il Pil reale pro capite risulta essere diminuito per il quinto mese consecutivo. Anche la Germania ha registrato diminuzioni sia del reddito reale delle famiglie pro capite (-0,2%) che del Pil reale pro capite (-0,3%), il primo riflettendo in parte la debole crescita della retribuzione dei dipendenti e dei redditi da capitale, combinata con l’aumento delle imposte sul reddito e sul patrimonio.
Finanza Personale
Bonus nido 2025, ecco chi potrà richiedere il contributo a 3.600 euro da gennaio
A partire dal 1° gennaio sarà possibile richiedere il bonus nido. Ecco chi potrà accedere al contributo e a quanto ammonta.
La Legge di Bilancio 2025 introduce importanti novità sul bonus nido, la misura riservata ai genitori dei bambini nati da poco. Per il 2024 l’importo erogato è stato aumentato ed è venuta meno una restrizione che, fino a questo momento, ne limitava sostanzialmente l’accesso: per ottenere il bonus nido non è più necessario avere un altro figlio con meno di dieci anni.
Tra le novità più importanti riservate alle famiglie una, tra l’altro, riguarda l’assegno unico: per le famiglie che lo percepiscono, almeno dal prossimo anno, non verrà più preso in considerazione per il calcolo dell’Isee, dando la possibilità di ottenere questo sostegno ad un numero maggiore di potenziali beneficiari.
Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire come funziona il bonus nido.
Bonus nido, in cosa consiste
Volendo sintetizzare al massimo il bonus nido è un contributo riservato alle famiglie italiane, che serve a sostenere le spese necessarie per la frequenza degli asili nido, pubblici o privati che siano. Esistendo, ormai, da diversi anni, la misura è consolidata: l’importo erogato, oltre a servire per coprire le spese di frequenza, può essere utilizzato per usufruire di alcune forme di assistenza domiciliare per i bambini che sono affetti da gravi patologie, che non permettono loro di frequentare il nido. Nel momento in cui si vengono a configurare questi casi, il contributo può servire per attivare dei servizi di babysitting a casa.
Nel corso del 2024 attraverso il bonus nido è stato messo a disposizione delle famiglie con almeno due figli un contributo. Per ottenerlo era necessario che l’Isee familiare non superasse i 40.000 euro e in casa ci fosse un altro figlio con meno di dieci anni. Nel caso in cui fossero presenti questi requisiti, il contributo annuo era pari a 3.600 euro per quanti avessero un Isee inferiore a 40.000 euro. Quanti avessero un Isee superiore a 40.000 euro, invece, hanno potuto beneficiare di un contributo annuo pari a 1.500 euro, pari, grosso modo, a 136 euro ogni mese.
Nel caso in cui l’Isee non fosse stato presentato, si aveva diritto a ricevere l’importo minimo garantito, pari a 1.500 euro all’anno, come per l’assegno unico universale. Valido per un massimo di undici mesi all’anno, il contributo erogato non poteva superare l’importo della retta media pagata.
Cosa cambia nel 2025
Sono due le novità che arrivano dal prossimo anno: entrambe sono state introdotte dalla Legge di Bilancio 2025. La più importante, senza dubbio, la conferma degli importi previsti per i nuovi nati. La seconda prevede l’eliminazione dell’obbligo di avere un altro figlio minore di 10 anni per accedere al contributo, andando ad allargare la potenziale platea dei beneficiari. Questo significa, in estrema sintesi, che a partire dal 1° gennaio tutte le famiglie con un Isee inferiore a 40.000 euro possono accedere al bonus nido.
Ad ogni modo l’importo continuerà ad essere calibrato in base alla fascia del reddito familiare:
- con un Isee fino a 25.000 euro si potranno ricevere fino a 3.600 euro l’anno, che corrispondono grosso modo a 327 euro al mese;
- lo stesso importo – quindi 3.600 euro – spetteranno alle famiglie con un Isee compreso tra 25.001 euro e 40.000 euro;
- le famiglie con un Isee superiore a 40.000 euro rimarrà il limite massimo di 1.500 euro; che corrispondono a 136 euro al mese.
Il bonus nido può essere richiesto fino al compimento dei tre anni del bambino, anche se è stato adottato. ad erogare il contributo è direttamente l’Inps, che li verserà nel corso dei mesi di frequenza. Nel caso in cui il bambino dovesse compiere 36 mesi nel corso dell’anno, il bonus nido viene erogato solo fino al mese di agosto.
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