Connettiti con noi

Finanza Personale

Isee 2025, cos’è e perché è necessario muoversi da subito per averlo

A cosa serve l’Isee 2025 e perché è necessario richiederlo immediatamente. Tutte le risposte ai Vostri dubbi.

Pubblicato

il

Isee 2025, cos'è e perché è necessario muoversi da subito per averlo

Cos’è l’Isee e perché sono così importanti le novità previste per il 2025 di questo particolare documento? L’Indicatore della Situazione Economica Equivalente sostanzialmente certifica la situazione economica di ogni famiglie ed è importante per poter richiedere qualsiasi prestazione assistenziale, i bonus che periodicamente vengono varati e alcuni tipi di agevolazioni.

Per poter accedere a questo tipo di agevolazioni è necessario essere in possesso di Isee in corso di validità: la normativa prevede che il documento il 31 dicembre di ogni anno scada e i diretti interessati sono tenuti a chiederne uno nuovo presentando la Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU). Anche nel 2024, quindi, il documento andrà in pensione. Alcune prestazioni che vengono percepite hanno una sorta di clausola di salvaguardia per il mese di gennaio: vengono comunque erogate anche se l’isee risulta essere scaduto.

Ma è importante aggiornare l’Isee il prima possibile, in modo da adeguarlo alle novità e ai cambiamenti del 2025: serve per richiedere nuove prestazioni e per continuare a percepire quelle già erogate.

Isee 2025: perché muoversi per tempo

Iniziare a muoversi per tempo è importante per riuscire a continuare a beneficiare delle agevolazioni richieste nel corso del 2024. Attraverso l’Isee si riesce a delineare in maniera precisa e dettagliata la situazione economica di un nucleo familiare: viene scattata una fotografia più precisa rispetto a quella effettuata dal semplice reddito.

Fatta questa premessa è bene ricordare che l’Isee 2024 faceva riferimento alla situazione del reddito e del patrimonio familiare relativi al periodo d’imposta 2022. In altre parole vengono certificati i redditi di due anni prima: questa è un’anomalia del sistema, perché non riesce ad intercettare la situazione economica reale che una famiglia sta vivendo. Nell’arco di due anni possono cambiare molte cose.

Per ottenere l’Isee 2025 è opportuno muoversi fin da subito. Per avviare la pratica si da per scontato che i richiedenti abbiano presentato la dichiarazione dei redditi 2024, che si riferisce al periodo d’imposta 2023. Sarà, inoltre, necessario presentare i certificati delle banche o di Poste italiane per documentare la presenza – o l’assenza – di depositi, strumenti di credito e via discorrendo. È necessario, inoltre, produrre la documentazione dalla quale si evinca il saldo e la giacenza media nei conti correnti, carte, buoni e altri titoli di deposito. I dati devono essere aggiornati al 31 dicembre 2023: gli istituti di credito dovrebbero aver già inviato i consuntivi alla fine del 2023 o, al massimo, ad inizio 2024.

Iniziando a raccogliere fin da subito questi documenti, il primi giorni di gennaio sarà possibile presentare la DSU: per farlo, naturalmente, sarà necessario attendere che la piattaforma Inps sia aggiornata al 2025.

Isee corrente, gli aggiornamenti necessari nel corso dell’anno

Ribadiamo, comunque, che alcune misure godono di una sorta di clausola di salvaguardia: stiamo pensando, per esempio, all’assegno unico per i figli a carico e all’assegno di inclusione. Anche se non viene presentato l’Isee 2025 in corso di validità a gennaio verranno erogati ugualmente. Ad ogni modo, onde evitare che la prestazione venga bloccata successivamente, è opportuno muoversi subito.

Chi, invece, dovesse aver registrato delle variazioni significative del proprio reddito tra il 2023 ed oggi, dopo aver presentato la DSU per ottenere le varie prestazioni può richiedere l’Isee corrente.

Grazie a questo documento si riesce ad avere una situazione aggiornata alla situazione attuale, ma è bene ricordare che l’Iseee corrente a differenza dell’ordinario dura solo sei mesi dalla sua richiesta. Sarà necessario, a questo punto segnarsi sul calendario la scadenza del nuovo certificato, perché sarà necessario chiederne uno nuovo non appena passano i sei mesi.

Questa soluzione è necessaria per quanti hanno intenzione di percepire determinate prestazioni, ma con i dati aggiornati a dicembre non vi avrebbero diritto.

Pierpaolo Molinengo è laureato in materie letterarie ed è un giornalista pubblicista iscritto all'Albo dal 2002 [Link di verifica iscrizione all'Albo]. Ha iniziato ad occuparsi di Economia fin da subito, concentrandosi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i suoi interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Pierpaolo Molinengo scrive di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

Clicca per commentare

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Finanza Personale

Rottamazione quinquies, ecco perché potrebbe arrivare nel 2025

Nel 2025 potrebbe arrivare la rottamazione quinquies. La Lega ha intenzione di chiederla con una legge ad hoc. Ecco come dovrebbe funzionare.

Pubblicato

il

Rottamazione quinquies, ecco perché potrebbe arrivare nel 2025

Al momento non è prevista alcuna rottamazione quinquies. Ma non è tutto perduto: potrebbe arrivare nel 2025. A trarre vantaggio da una nuova sanatoria non sarebbero unicamente i contribuenti, con dei debiti con l’Agenzia delle Entrate: anche il Fisco ne potrebbe beneficiare. Permettere alle famiglie e agli imprenditori di regolarizzare le proprie pendenze tributarie darebbe un po’ di respiro alle casse dello Stato, proprio alla vigilia della riforma della riscossione, che tra non molto tempo dovrebbe entrare in vigore.

Lo scorso 9 dicembre 2024 si è chiusa definitiva la deadline della rottamazione quater (nel conteggio abbiamo tenuto conto anche dei cinque giorni di tolleranza previsti dalla normativa): sono in molti, ora come ora, ad attendere una nuova sanatoria delle cartelle esattoriali. Grazie all’ultima i contribuenti hanno potuto regolarizzare le pendenze fiscali fino al giugno 2022. Nel frattempo sono molte le persone che hanno contratto dei nuovi debiti con il fisco, che attendono speranzosi in una nuova possibilità per mettersi in regola.

Se è vero, da una parte, che l’Agenzia delle Entrate con una eventuale rottamazione quinquies dovrà rinunciare al gettito proveniente da interessi e sanzioni, dall’altra parte potrebbe riuscire ad ottenere maggiori entrate. È questa speranza a far accendere un lumicino in fondo al tunnel e a far sperare che una nuova sanatoria possa arrivare nel 2025.

Rottamazione quinquies nel 2025

In un certo senso la speranza che possa arrivare la rottamazione quinquies nasce da un emendamento (che è stato bocciarto) alla Legge di Bilancio 2025 presentato dalla Lega. Il Carroccio, nonostante il diniego ricevuto, ha annunciato l’intenzione di proporre nuovamente la rottamazione quinquies a gennaio: questa volta con una legge apposita.

Stando alle intenzioni del partito guidato da Matteo Salvini, la nuova sanatoria dovrebbe prendere in considerazione i debiti che sono stati iscritti a ruolo nel periodo compreso tra il 1° luglio 2022 e il 31 dicembre 2023. Stiamo parlando delle cartelle esattoriali che sono rimaste fuori dalla rottamazione quater. Anche la nuova iniziativa dovrebbe permettere di pagare il capitale iniziale senza che vengano applicate delle sanzioni o degli interessi.

Da quanto abbiamo descritto fino a questo momento, la rottamazione quinquies non si dovrebbe discostare di troppo dalle precedenti edizioni. Ma è prevista una novità che, almeno sulla carta, dovrebbe contribuire a superare tutti i punti critici delle varie sanatorie che abbiamo visto fino a questo momento: l’idea sarebbe quella di proporre una dilazione dei pagamenti in dieci anni. Le rate sarebbero mensili e la decadenza arriverebbe solo e soltanto nel momento in cui non verrebbero pagate almeno otto rate.

Attraverso la rottamazione quinquies si riuscirebbero a superare i problemi registrati con le precedenti, tra i quali ricordiamo:

  • le rate trimestrali con un importo troppo alto. Con la nuova sanatoria il versamento sarebbe mensile e quindi più abbordabile;
  • imporre una dilazione in cinque anni in 18 rate rende l’onere troppo pesante quando gli importi sono troppo alti. Suddividendo il pagamento in 120 rate mensili – ossia dieci anni – il versamento da effettuare sarebbe più piccolo e alla portata di tutti;
  • il fatto che alla prima difficoltà i contribuenti rischiano la decadenza, ha fatto in modo che in molti uscissero dalla sanatoria. Dando la possibilità di saltare alcune rate si permette a tutti di riuscire a mantenere i benefici della rottamazione quinquies.

L’importanza della rottamazione quinquies

Nel caso in cui la rottamazione quinquies assumesse i connotati che abbiamo appena visto, qualsiasi contribuente avrebbe la possibilità di sanare la propria posizione con l’Agenzia delle Entrate. Ma non solo: il fisco avrebbe un gettito più alto di tasse.

Ma siamo proprio certi che la rottamazione quinquies si faccia? La riforma della riscossione ha introdotto, proprio a partire dal 2025, il discarico automatico delle cartelle esattoriali non riscosse in cinque anni. Questo obbligherebbe l’Agenzia delle Entrate a mettere in conto, periodicamente, una sorta di saldo e stralcio.

Attraverso una nuova sanatoria il Fisco avrebbe la possibilità di riuscire a recuperare parte dei crediti. Questo è il motivo che renderebbe, almeno sulla carta, sensato pensare ad una nuova sanatoria.

Continua a leggere

Finanza Personale

Bonus elettrodomestici 2025, ecco come funzionerà la misura dal prossimo anno

Dal prossimo anno prenderà il via il bonus elettrodomestici. Scopriamo come funzionerà la nuova misura e a chi sarà riservata.

Pubblicato

il

Bonus elettrodomestici 2025, ecco come funzionerà la misura dal prossimo anno

Il bonus elettrodomestici partirà dal 2025. L’obiettivo della misura è quello di andare a dare un sostegno economico a quanti hanno intenzione di sostituire un vecchio apparecchio. Al momento sono ancora da definire i criteri e le modalità di erogazione della nuova misura, ma Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha reso note le principali caratteristiche della misura.

Per coprire il costo del bonus elettrodomestici verrà istituito un fondo la cui dotazione iniziale sarà pari a 50 milioni di euro. Il contributo è destinato all’acquisto di prodotti Made in Europe ad alta efficienza energetica, che dovranno sostituire gli apparecchi meno performanti.

Ma vediamo come dovrebbe funzionare il bonus elettrodomestici e quali sono le principali caratteristiche (almeno quelle rese note in questo momento).

Bonus elettrodomestici, come funzionerà

Stando a quanto si evince dalla bozza del testo, il bonus elettrodomestici prevede un contributo non superiore al 30% del prezzo di acquisto di un prodotto. Complessivamente l’importo non dovrà essere superiore a 100 euro per pezzo, che può essere aumentato a 200 euro nel caso in cui l’Isee familiare risulti essere inferiore a 25.000 euro. Sarà possibile richiedere il contributo per acquistare unicamente un elettrodomestico.

Per coprire i costi del bonus elettrodomestici verrà creato un fondo la cui dotazione iniziale sarà pari a 50 milioni di euro: verrà istituito direttamente presso il Ministero. Stando a quanto ha anticipato Urso, il bonus elettrodomestici dovrebbe servire a tutelare la produzione nazionale, andando a sostenere le famiglie nei consumi e promuovendo l’acquisto dei prodotti ecosostenibili.

Stando alle prime indicazioni fornite nel corso di queste ore il bonus elettrodomestici dovrebbe durare solo per un anno (almeno per ora). Sarà fino ad esaurimento delle scorte. Il contributo viene, infatti, erogato fino ad esaurimento delle risorse stanziate.

Potranno accedere alla misura almeno mezzo milione di italiani (stando alle prime stime). Ad ogni modo, entro sessanta giorni dovrebbe essere emanato un decreto firmato congiuntamente dal ministro delle Imprese e del Made in Italy di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze attraverso il quale verranno definiti i criteri e le modalità attraverso i quali verrà erogato il contributo.

Tra l’altro il testo non ha messo alcun tipo di paletto sulla possibilità di cumulare questo incentivo con il bonus mobili, che, proprio per il 2025, permette di portare in detrazione il 50% degli acquisti effettuati a seguito di una ristrutturazione edilizia.

A spingere per l’inserimento del bonus elettrodomestici all’interno di un maxi emendamento alla Legge di Bilancio è stata la Lega. L’obiettivo di questo emendamento è quello di migliorare la competitività del sistema produttivo nostrano e cercare di mantenere i livelli di occupazione del settore. Ma non solo: uno degli scopi dell’emendamento è quello di contribuire ad aumentare l’efficienza energetica tra le pareti domestiche e ridurre i consumi energetici.

Le misure già presenti in Italia

Le famiglie già da parecchio tempo possono beneficiare del bonus mobili ed elettrodomestici, che prevede una detrazione Irpef per l’acquisto, appunto, di mobili ed elettrodomestici nuovi, che devono essere impiegati all’interno di un immobile appena ristrutturato. In un primo momento sembrava che questa agevolazione potesse sparire il 31 dicembre 2024, ma Maurizio Leo, viceministro all’Economia, ne ha annunciato la proroga alla fine del 2025.

Per il 2024 la detrazione deve essere calcolata su un importo massimo di 5.000 euro, che dovrebbe essere confermato anche per il prossimo anno. In precedenza, il tetto di spesa sul quale calcolare la proroga era più alto:

  •  8.000 euro per il 2023;
  • 10.000 euro per il 2022;
  • 16.000 euro per il 2021.

All’interno dell’importo devono essere comprese anche le eventuali spese di trasporto e montaggio. La detrazione deve essere ripartita, nella dichiarazione dei redditi, in dieci quote annuali di pari importo.

Continua a leggere

Finanza Personale

In pensione nel 2025, cosa si devono aspettare i lavoratori il prossimo anno

Andare in pensione nel 2025: a quali novità andranno incontro i lavoratori a partire dal prossimo anno. Scopriamo quali novità ci sono e cosa aspettarsi.

Pubblicato

il

In pensione nel 2025, cosa si devono aspettare i lavoratori il prossimo anno

Tra le diverse misure che sono contenute all’interno della Legge di Bilancio 2025, alcune riguardano il sistema previdenziale in generale, altre la pensione di vecchiaia nel dettaglio. Il Governo, alla luce di quanto sta emergendo fino a questo momento, non sembrerebbe aver intenzione di rompere con il passato: viene confermata una sorta di continuità con quanto si conosce già, introducendo degli adeguamenti minimi.

Al momento non è arrivata una vera e propria riforma delle pensioni. Ma vengono introdotte alcune piccole modifiche atte ad incentivare la permanenza al lavoro. Cercando di garantire, al tempo stesso, un sostegno alle fasce più deboli. 

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa debba aspettarsi chi ha intenzione di andare in pensione.

Andare in pensione, cosa aspettarsi in futuro

Attraverso la Legge di Bilancio 2025 il legislatore ha introdotto una serie di modifiche al mondo delle pensioni. Al momento non è previsto un vero e proprio superamento della Legge Fornero – ma non si parla nemmeno ad un suo totale e pieno ritorno -. Restano ad ogni modo in vigore Quota 103, Ape Sociale ed Opzione Donna.

Entro la fine dell’anno, tra l’altro, dovrebbe arrivare anche la proposta del Cnel, sulla quale, con ogni probabilità, il Governo imbastirà una riforma previdenziale di più ampio respiro, in un contesto separato e distante dalla Legge di Bilancio.

In questo contesto sono confermate le classiche possibilità per poter andare in quiescenza anticipatamente. Stiamo pensando a Quota 103, Ape Sociale ed Opzione Donna:

  • grazie a Quota 103 i lavoratori hanno la possibilità di andare in pensione anticipatamente a 62 anni, purché abbiano maturato almeno 41 anni di contributi;
  • l’Ape Sociale permette l’uscita dal mondo del lavoro a 63 anni con almeno 30 di contributi, purché i lavoratori appartengono a determinate categorie;
  • Opzione Donna – fino al 31 dicembre 2024 – prevede il pensionamento al raggiungimento dei 35 anni di contributi e 61 di età. È prevista la riduzione di un anno per ogni figlio, per un massimo di due (quindi si scende a 59 anni).

Viene introdotta, inoltre, un’agevolazione per le madri con quattro figli o più, che rientra nella pensione anticipata ordinaria. 

La pensione di vecchiaia ordinaria e le finestre mobili

Ma andiamo a vedere quali sono i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia ordinaria. Per accedervi è necessario aver compiuto almeno 67 anni e aver versato contributi per almeno 20 anni. Discorso diverso per accedere alla pensione anticipata ordinaria, per la quale è necessario aver maturato i seguenti requisiti:

  • uomini: 42 anni e 10 mesi di contributi;
  • donne: 41 anni e 10 mesi di contributi.

Quello a cui devono stare attenti, nel corso del nuovo anno i lavoratori dipendenti, sono le cosiddette finestre mobili, ossia il periodo che intercorre tra la maturazione dei requisiti per andare in pensione e il momento nel quale l’assegno previdenziale viene effettivamente erogato. Il meccanismo – a tutti gli effetti penalizzanti per i beneficiari dei trattamenti previdenziali – è stato introdotto per contenere la spesa pensionistica, rimandando il momento nel quale gli importi vengono erogati. Ma vediamo come funzionano le finestre mobili dal prossimo anno:

  • pensione anticipata ordinaria. La finestra mobile è di tre mesi nel privato, mentre nel pubblico è variabile e si articola come segue: tre mesi per requisiti maturati entro il 31 dicembre 2024. Successivamente aumentano progressivamente fino a diventare 9 mesi dal 1° gennaio 2028;
  • quota 103: 7 mesi nel privato e per gli autonomi, 9 mesi per i dipendenti pubblici;
  • opzione donna: 12 mesi nel privato, 18 per le autonome;
  • pensione precoci (Quota 41): 3 mesi dalla maturazione dei requisiti.
  • pensione usuranti e gravosi: in questo caso la finestra mobile varia a seconda della categoria di appartenenza.
Continua a leggere

Finanza Personale

Naspi 2025, dal prossimo anno la potrà chiedere anche chi si dimette

Importante novità potrebbe arrivare dal prossimo anno per quanti vogliono richiedere la Naspi: la misura sarà accessibile anche a chi si dimette (se passa l’emendamento alla manovra).

Pubblicato

il

Naspi 2025, dal prossimo anno la potrà chiedere anche chi si dimette

Tra le pieghe e le righe della Legge di Bilancio 2025 spuntano le novità relative alla Naspi, per la quale, a partire dal prossimo anno, sono previste alcune importanti novità: la misura dovrebbe essere estesa anche a quanti si dimettono volontariamente dal posto di lavoro. 

Ad introdurre la novità è un emendamento alla Manovra 2025, depositato nel corso di questi giorni, che introduce questa nuova casistica tra quelle previste per l’accesso alla Naspi 2025. È necessario, però, avere almeno 13 settimane di contribuzione.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di capire quali sono le novità previste dal nuovo emendamento presentato alla Legge di Bilancio 2025.

Naspi 2025, le novità della nuova Manovra

La Naspi, in estrema sintesi, è un’indennità mensile di disoccupazione che viene erogata ai lavoratori dipendenti, in seguito a degli eventi di disoccupazione involontaria, che si sono verificati a partire dal 1° maggio 2015. Il contributo viene erogato mensilmente per un numero massimo di settimane pari alla metà di quelle contributive che sono state maturate nel corso degli ultimi quattro anni.

Nel momento in cui al lavoro la situazione non dovesse essere rosea, i lavoratori, troppo spesso, sono restii a rassegnare le dimissioni: uno dei motivi per i quali non si procede in questo senso è l’impossibilità di accedere alla Naspi nel caso in cui il dipendente si dimetta volontariamente. A partire dal prossimo anno, però, le regole del gioco potrebbero cambiare.

Nel caso in cui l’emendamento alla Manovra 2025 dovesse passare, la Naspi potrebbe essere estesa anche a quanti presentano delle dimissioni volontarie. Oggi, infatti, la misura è riservata unicamente a quanti sono stati licenziati.

In un certo senso questa misura è una stretta contro i furbetti della Naspi, ossia quei lavoratori che, pur avendo deciso di chiudere il rapporto di lavoro con l’azienda, preferiscono non presentare le dimensioni e mettono l’azienda nella condizione di licenziarli per non perdere il diritto alla Naspi.

Le agevolazioni simili alla Naspi

L’emendamento va ad impattare direttamente sulla Naspi, ma le agevolazioni previste per i lavoratori che perdono l’impiego sono molte. Tra queste c’è la Dis-Col che è riservata ai collaboratori coordinati e continuativi, agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca con Borsa di studio. Per accedere a questa valida alternativa alla Naspi, questi soggetti devono aver maturato almeno un mese di contribuzione presso la Gestione Separata Inps.

I calcoli per conoscere a quanto ammonta l’importo sono molto simili a quelli previsti per la Naspi: ci sono gli stessi massimali. Non si tiene conto, infatti, dello stipendio percepito ma del reddito imponibile ai fini previdenziali (si fa riferimento ai versamenti contributivi che sono stati effettuati nel corso dell’anno solare nel quale si è concluso il rapporto di lavoro e in quello precedente: l’ammontare complessivo di quanto è stato percepito viene diviso per il numero di mesi di contribuzione).

Altra importante agevolazione è la Sar, ossia il Sostegno al Reddito, che viene erogato da FormaTemp. Il contributo spetta ai lavoratori che hanno avuto dei contratti di somministrazione. Per poter accedere a questa alternativa alla Naspi è necessario essere disoccupati da almeno 45 giorni con almeno 110 giorni di lavoro maturati. O da almeno 45 giorni da quanti abbiano concluso la procedura Mol, Mancanza di Occasioni di Lavoro.

Quanti dovessero trovarsi in questa situazione possono ricevere un bonus di 1.000 euro che si riduce a 780 euro nel caso in cui siano disoccupati da almeno 45 giorni e abbiano maturato almeno 90 giorni di lavoro nel corso dell’ultimo anno.

È poi possibile, infine ricorrere all’indennità di disoccupazione agricola, che spetta ai lavoratori del comparto agricolo, che possono accedere ad un’agevolazione pari ad un numero di giornate pari a quelle lavorate. In questo caso la misura può essere richiesta solo e soltanto se si è iscritti negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli dipendenti e si abbiano maturato almeno due anni di anzianità nell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria.

Continua a leggere

Finanza Personale

Concordato preventivo? Per Maurizio Leo 750.000 adesioni non sono fallimento

Per il viceministro Leo il concordato non è stato un fallimento. Passerella a Atreju anche di temi economici.

Pubblicato

il

CONCORDATO OK

La politica, anche economica, italiana si è spostata nel fine settimana da Atreju, kermesse targata Fratelli d’Italia che è stata occasione anche per passerelle di politici, ministri e vice-ministri e anche luogo di discussione giornalistica su recenti provvedimenti del governo. Il vice-ministro al MEF Leo ha parlato del recente tentativo di concordato preventivo, che non sarebbe stato un fallimento in quanto capace di raccogliere 750.000 adesioni. Una questione che si è fatta tremendamente politica anche per la riapertura dei termini dello stesso concordato e per mail di sollecitazione di accordo da parte di AdE inviate ad un gran numero di contribuenti.

Una questione legata anche a paventate diminuzioni della pressione fiscale su una platea piuttosto ampia, che però sembra debbano rimanere obiettivi frustrati almeno nel corso dell’approvazione di questa Legge di Bilancio. E l’aumento degli emolumenti a favore di ministri e sotto-segretari diventa tema scottante, in un momento che almeno secondo le opposizioni imporrebbe maggiore attenzione alla spesa, dati anche i sacrifici che sono stati richiesti a cittadini e imprese.

La politica economica e finanziaria da Atreju

Una passerella che oltre al viceministro Maurizio Leo ha visto anche la partecipazione di Marco Osnato, Fratelli d’Italia, che ha rivendicato la paternità politica del provvedimento a favore dei ministri e sotto-segretari non parlamentari.

Il tema del concordato preventivo rimarrà comunque caldo, sia sul fronte politico che su quello economico, perché legato alla necessità di reperire risorse per avviare piani – coraggiosi secondo il governo – di taglio delle tasse. Tutto durante la giornata che ha visto la conferma dell’aumento della tassazione per il settore crypto: il 2025 vedrà l’aliquota rimanere al 26%, senza però la soglia dei 2.000€ prevista fino a oggi, per poi passare al 33% a partire dal 2026. Una proposta rivendicata dal leghista Centemero come una vittoria, ma che ha già innescato importanti polemiche tra investitori e appassionati.

Continua a leggere

Piattaforme del Mese

Trending