Finanza Personale

Pensioni, con gli aumenti di gennaio in arrivo 3.200 euro di arretrati

Con l’aumento di gennaio 2025 delle pensioni alcuni titolari dell’assegno previdenziale potrebbero ricevere arretrati per 3.200 euro.

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Indubbiamente uno degli argomenti di maggiore interesse in quest’ultimo scorcio del 2024 sono i potenziali aumenti delle pensioni a partire da gennaio. Ad inizio anno, infatti, è tradizione che l’assegno previdenziale venga adeguato al costo della vita. Questa volta, però, l’aumento delle pensioni è a dir poco irrisorio, considerando che l’adeguamento all’inflazione si dovrebbe aggirare intorno all’1%.

A partire dal 2025, però, cambia il meccanismo dell’indicizzazione. Per molti pensionati diventerà meno penalizzante. A destare il maggiore interesse ed attesa è la sentenza della Corte Costituzionale. Ma vediamo un po’ cosa dovrebbe accadere a partire dal prossimo anno.

Pensioni 2025, cosa cambia a partire dal prossimo anno

Il Governo ha deciso di modificare il metodo di perequazione delle pensioni. Una decisione che, con ogni probabilità, è stata adottata  perché il metodo utilizzato quest’anno è stato troppo penalizzante per le pensioni oltre le quattro volte il trattamento minimo. Grande attesa, inoltre, c’è per il responso della Consulta, che dovrebbe chiarire se il meccanismo sia realmente incostituzionale o meno. Nel caso in cui i giudici dovessero ritenere illegittimo rispetto alla Costituzione il metodo utilizzato, i pensionati potrebbero ottenere in un colpo solo 3,200 euro di arretrati.

A parte questa succulenta (potenziale) novità, l’adeguamento al costo della vita nel 2025 dell’assegno previdenziale è inferiore a quanto previsto negli anni precedenti. Nel corso degli ultimi mesi del 2022 si parlava di un’inflazione previsionale del 7,3%, che poi diventò un effettivo 8,1% come tasso definitivo. Anche nel 2023, in questo stesso periodo, si parlava di un’inflazione intorno al 5,4%, diventata poi un 5,7%. Per il 2025 l’adeguamento al costo della vita si dovrebbe attestare su un più contenuto 1%. Gli aumenti delle pensioni, quindi, saranno molto più contenuti.

È importante sottolineare che il metodo della rivalutazione prevede dei tagli al tasso di inflazione per gli assegni previdenziali più alti. E che sono proporzionali all’importo della pensione. Il meccanismo che verrà adottato quest’anno – almeno da quanto si intravede dal testo della Legge di Bilancio 2025 – comporterà dei tagli. L’impatto sugli importi non dovrebbe essere esagerato come quelli che abbiamo visto nel 2024 e che sono arrivati alla Corte Costituzionale. Entrando un po’ nello specifico, per le pensioni con un importo superiore alle quattro volte il trattamento minimo è prevista l’indicizzazione all’85% del tasso di inflazione. Nel caso in cui gli importi minimi fossero tra cinque e sei volte il minimo la perequazione è al 53%. Per le pensioni fino a otto volte il minimo è al 47% e per quelle fino a 10 volte al 37%. Per gli importi oltre dieci volte il minimo è il 22%.

I motivi per i quali i pensionato ci hanno rimesso

Proviamo a fare un calcolo e cerchiamo di capire perché alcuni pensionati ci hanno rimesso tutti questi soldi. Considerando che il trattamento minimo, nel 2025, supererà di poco i 600 euro, una pensione 10 volte il minimo – quindi pari a 6.000 euro – sarebbe dovuta aumentare di 342 euro al mese con il 5,4% di indicizzazione. L’importo effettivo arrivato – ossia il 22% del 5,7% – è stato pari a 75 euro. Ogni mese i diretti interessati hanno perso 267 euro: per il 2024 si parla di una perdita complessiva di 3.200 euro. 

Nel caso in cui la Consulta dovesse dare torto al Governo, i pensionati dovranno essere risarciti. Quanti hanno un trattamento previdenziale pari a 6.000 euro esatti hanno un credito di oltre 3.450 euro.

A partire dal 2025 l’Esecutivo targato Giorgia Meloni ha deciso di passare alla rivalutazione piena per i trattamenti previdenziali fino a tre volte il minimo, che scende al 90% per gli importi fino a cinque volte il minimo e al 75% per quelle cinque volte il minimo.

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