Investimenti
Stellantis: altri 1.100 licenziamenti negli USA. Riorganizzazione per il gruppo, che però puzza di crisi
Altri licenziamenti per Stellantis negli USA. Ora via 1.100 operai dall’impianto Jeep del Michigan.
Altri 1.100 addetti di Stellantis negli USA dovranno cercarsi una nuova occupazione. Il gruppo ha comunicato il licenziamento di addetti della fabbrica Jeep in Ohio, che arriva a poco meno di un mese da un licenziamento di identiche proporzioni in Michigan. Secondo quanto è stato riportato da CNBC, nella fabbrica si produce il pickup Jeep Gladiaor. Il licenziamento sarebbe frutto di una situazione economica difficile – anche negli States – con livelli di inventario piuttosto alti e soprattutto di ricavi in picchiata nel corso del 2024.
La notizia è stata confermata da Stellantis stessa – che in un comunicato ha annunciato anche la riduzione di un turno del ciclo produttivo, allineando così la produzione con le richieste del mercato per Jeep Gladiator, che è l’unico modello che è prodotto presso lo stabilimento di Toledo South.
Un anno di transizione
Per quanto sia difficile farlo, il comunicato fornito a CNBC cerca di indicare qualche motivo di ottimismo, indicando l’anno in corso come anno di transizione e di riorganizzazione delle operazioni negli Stati Uniti. Riorganizzazione che non ha toccato soltanto però la produzione, ma anche la dirigenza, con uno shuffle che ha completamente ridisegnato l’azienda anche ai massimi vertici, almeno negli USA.
I licenziamenti saranno avviati il 5 gennaio e il preavviso è dovuto agli obblighi di legge presenti negli Stati Uniti. Per il momento tutto tace dal sindacato, al termine di una stagione di scontri aspri anche con Stellantis, scontri che si sono conclusi con una vittoria che però, stando allo stato attuale del mercato dell’auto e ai conseguenti licenziamenti, comincia a lasciare il tipico amaro in bocca di un’occasione persa.
Continua il trend negativo non solo per Stellantis, ma per un settore auto che in occidente continua a fare enorme fatica e che probabilmente continuerà a faticare anche per il 2025.
Investimenti
Nvidia: altra giornata di sofferenza. Siamo a -14% dai massimi
Nvidia: altra giornata negativa in borsa. Ecco cosa sta succedendo al titolo.
Altra giornata da incubo per Nvidia: chiusura in rosso, con un parziale recupero nell’after market. Il titolo continua a scontare problematiche sia a livello commerciale (con l’arrivo di importanti concorrenti), sia a livello legale, con le recenti problematiche con la Cina e con gli Stati Uniti in termini di antitrust. Il titolo è sotto del 14% dai suoi massimi e chiude un’altra giornata in rosso, trascinando con sé parte degli entusiasmi che circondavano il settore tech.
È la fine di un ciclo per NVIDIA? Probabilmente no, ma con l’attesa dei tagli ai tassi di domani la tensione è alle stelle, non tanto per i tagli che sembrano più che scontati, ma per il dot plot che includerà tutte le previsioni sui tagli futuri da parte dei membri del FOMC. Una situazione interessante, con la correzione di Nvidia che rimane però il centro focale di tutte le analisi sui mercati azionari di oggi.
Nvidia: che succede?
Dopo un periodo di successo incontrollato e incontrollabile, di dominio assoluto per quanto riguarda il settore che tira di più, ovvero quello dell’intelligenza artificiale, ecco la correzione che in tanti – in particolare le Cassandre – si aspettavano. -14% dai massimi e soprattutto -2% circa oggi, per una giornata di trading ancora negativa per un titolo che comincia a mostrare qualche problematica.
A pesare sono l’arrivo di concorrenti importanti, vedi Broadcom, che avrebbe già chiuso accordi con OpenAI e Apple, almeno secondo le voci di corridoio e anche le cause dell’antitrust che almeno in Cina hanno il profumo della ritorsione politica.
Una questione che dovrà essere pesata dai mercati anche alla luce dei prossimi dati sulle principali aziende AI, nonché appunto alla luce di quelle che saranno le decisioni del FOMC, in termini di dot plot, ovvero di previsioni di tagli per il 2025 e il 2026.
Investimenti
Bitcoin: nuovo record a 107.000$, in Italia più tasse per tutti già dal 2025
Bitcoin: è nuovo record sui mercati. Intanto in Italia polemica sulle tasse. Operatori contenti, investitori meno.
Washington ride, Roma un po’ meno. Al centro un nuovo massimo di Bitcoin, inarrestabile dopo le elezioni presidenziali e che oggi supera anche i 107.000$. Cifre importanti e che confermano come l’onda lunga post-elettorale sia lungi dall’esaurirsi e come gli investitori si aspettino degli interventi – possibilmente diretti – del nuovo governo dopo il 20 gennaio, giorno del giuramento.
Sull’altra sponda, quella europea, le cose vanno meno bene. Ci hanno provato prima i francesi, interrotti soltanto dal cambio di governo (e che volevano comunque stratassare solo gli enormi capitali), ci provano e ci riescono invece gli italiani, che portano a casa un aumento di tasse già dal 2025. Un aumento di tasse che colpirà in prima battuta soltanto i piccoli investitori e che dal 2026 invece colpirà tutti, con un aumento dell’aliquota di 7 punti percentuali, via di mezzo tra il precedente 26% e il 42% che fu annunciato dal vice-ministro Leo e poi confermato dal ministro Giorgetti in fase di bozza della Legge di Bilancio.
Così vicini ma così lontani
Il ritrovato feeling tra Roma e Washington non sembrerebbe colpire il mondo delle criptovalute. Se da un lato c’è il presidente investitore, quel Donald Trump che ha lanciato anche un suo progetto di finanza decentralizzata, dall’altro c’è il governo italiano, che nonostante le rimostranze dell’industria (e degli investitori), aumenta comunque le tasse sulle criptovalute.
Non aumenta come previsto però, tant’è che i leader dell’industria crypto italiana cantano vittoria a fronte di un aumento che – al netto di quanto riportato nei comunicati stampa – ci sarà già dal 2025. La vecchia soglia/franchigia (la confusione non è nostra, ma di un ormai celebre comunicato dell’Agenzia delle Entrate) è sparita. E quindi anche per pochi euro di plusvalenza si pagheranno tasse dal prossimo anno.
Vittoria? Giudicheranno i contribuenti, che poi anche nel nostro Paese finiscono per essere elettori. La discussione ora si ripeterà, forse, nel 2025. E il tentativo sarà quello di neutralizzare l’aumento che sarà, con quello che già è che sarà parte permanente della fiscalità italiana.
Investimenti
Tassi: Fed decide il 18 dicembre. BCE più aggressiva. Boom per le surroghe mutui
Anche questa parte finale del 2024 è dominata dalla discussione sui tassi di interesse, tanto in Europa – con BCE che sta correndo più di Fed – sia negli Stati Uniti, con l’ultima decisione dell’anno che sarà presa mercoledì 18 dicembre alle 20:00 ora italiana. Una questione che interessa i mercati finanziari, ma anche le famiglie e i privati, che dal taglio ai tassi possono ricavare rate del mutuo meno esose. I tagli di BCE, piuttosto aggressivi, hanno già innescato una corsa alla surroga.
I privati europei dovranno tenere d’occhio anche i movimenti di Federal Reserve? Oppure le due politiche monetaria sono ormai completamente separate? La storia più recente sembrerebbe far propendere per questa seconda interpretazione: BCE si è mossa prima e in completa autonomia, complice anche una situazione molto diversa – a livello macro – tra i due blocchi. Gli scenari però potrebbero cambiare molto rapidamente – e sarà appunto questa la principale preoccupazione tanto dei mercati quanto dei privati in ottica mutui.
Corsa ai tagli anche per Federal Reserve?
Forse è eccessivo parlare di corsa. Il 18 dicembre la riunione del FOMC deciderà quasi certamente per tagliare di altri 25 punti base, ripetendo la decisione che era stata presa a novembre. La grande incognita gravita però sul 2025: Jerome Powell ha più volte affermato, forte di dati che raccontano di un’economia USA piuttosto resiliente, che non ci sarà motivo di correre, a meno di dati che indichino il contrario.
Il 2025 si aprirà dunque come si era chiuso il 2024: con una Federal Reserve che sarà data driven e dunque aspetterà meeting per meeting per decidere come muoversi.
La grande incognita per il momento rimane quella dei tassi neutrali: nessuno sa – anche scientificamente – dove siano, in particolare per questo ciclo – e il rischio è quello di farsi ingannare dal lag tipico tra decisioni e risposte da parte dell’economia.
La situazione invece in Europa è diversa: comandano già la preoccupazione per un’economia che è in aperta sofferenza e l’assenza invece totale di preoccupazioni per un ritorno dell’inflazione, con l’aiuto che arriva anche da difficoltà della domanda interna. In queste condizioni è molto più probabile che anche per il 2025 la Banca Centrale Europea si mostri più reattiva rispetto a Fed, fosse anche soltanto per le differenze importanti in termini di condizioni economiche.
Surroga ora o più tardi?
Con ogni probabilità il 2025 sarà l’anno di un ritorno tanto veloce verso tassi più bassi tanto più sarà problematica la situazione dell’economia europea.
Difficile, se non impossibile, fermarsi qui. Lagarde ha confermato di essere ancora in territorio restrittivo. E almeno ad avviso di chi vi scrive, è impossibile pensare che si rimanga ancora a lungo in questo territorio, soprattutto con un’economia in grande sofferenza.
Investimenti
Broadcom: +26% in borsa dopo gli annunci AI. OpenAi e Apple già clienti?
Broadcom piazza una performance incredibile in borsa. Ed è tutto merito dell’AI.
È stata una giornata incredibile per Broadcom, che ha chiuso la sessione di trading oltre il +26%, per una svolta verso l’intelligenza artificiale che già negli scorsi giorni aveva coinvolto il gruppo in notizie di mercato che la vedevano a fianco di Apple. Arrivano le prime stime di Hock Tan, CEO del gruppo, che ha detto di aspettarsi una revenue tra i 60 e i 90 miliardi di dollari nei prossimi 3 anni dai tre clienti che per non sono stati nominati.
La società ha inoltre annunciato che i tre hyperscaler già annunciati includeranno 1 milione di cluster con chip propri già nel 2025. Notizie importanti, in un trend che rimane il più importante di questo ciclo di mercato, quello dell’AI, e che ha già lanciato NVIDIA sulla vetta dl mondo per quanto riguarda la capitalizzazione di mercato. Si chiameranno XPU, e potrebbero essere una delle novità più apprezzate dai mercati, anche finanziari, del 2024 e del 2025.
Tre clienti, che potrebbero già far girare tanto denaro
Continuano intanto i rumors su chi potrebbero essere i due nuovi clienti – per ora top secret – di questa nuova soluzione creata dal gruppo Broadcom, che secondo il CEO starebbero già lavorando allo sviluppo della loro prossima generazione di chip AI XPU. Secondo i rumors che circolano già da qualche giorno a Wall Street si potrebbe trattare di OpenAI e Apple, società sia interessate a questi tipi di sviluppo, sia in grado di andare a solleticare gli animal spirits dei mercati borsistici.
Broadcom si avvia a chiudere l’anno con il raddoppio del valore delle sue azioni in borsa, con il titolo che nella sessione di oggi ha superato i massimi di 221%. Siamo ormai nel territorio dei trillionaires, un Olimpo di società quotate al quale hanno accesso in pochi e che per altre realtà geografiche è soltanto un miraggio.
Tutto questo nella settimana che ha visto anche la circolazione di altri rumors di collaborazione con Apple per la realizzazione di chip per server di datacenter AI. Un momento particolarmente felice per Broadcom, che potrebbe essere una delle soluzioni di diversi operatori di mercato per tagliare i costi legati all’approvvigionamento di soluzioni targate Nvidia.
Investimenti
USA e Texas pronti alle riserve in Bitcoin. Tra il dire e il fare c’è però un mare politico e tecnico
Doppia proposta negli USA: sia Trump, sia un parlamentare texano vogliono una riserva Bitcoin.
L’onda lunga dell’innamoramento tra Donald Trump e Bitcoin colpisce anche il Texas. Lo stato della Stella Soliaria potrebbe presto prepararsi ad attivare una riserva strategica in Bitcoin, in una giornata che per la prima delle criptovalute per capitalizzazione di mercato è stata di quelle importanti, almeno sotto il profilo degli annunci elettorali. Di fatti ne sono successi diversi e hanno contribuito ad una forza relativa di Bitcoin rispetto agli altri asset risk on, in una sessione USA che è stata piuttosto convulsa. Ma sarà necessario andare con ordine per capire cosa è successo davvero e che tipo di impatto potrebbe avere sui mercati, anche sul medio e lungo periodo.
Donald Trump ha suonato la simbolica campanella del NYSE, la borsa più importante del mondo, e nel mentre è stato intercettato da Jim Cramer, storico presentatore di CNBC, che lo ha intrattenuto anche parlando delle criptovalute. Una gestione molto diversa da quella della precedente amministrazione, ha detto Cramer, che ha raccolto da Donald Trump una rivelazione sconvolgente, per quanto nell’aria ormai da tempo: Trump sarebbe a favore di una riserva strategica di Bitcoin e crypto, sulla scorta di quella federale petrolifera, per quanto i dettagli sono ancora fumosi. Poco dopo, è arrivato l’annuncio di un disegno di legge in Texas per creare qualcosa di simile, con dettagli ancora più interessanti, perché in realtà… non prevederanno acquisti diretti. Tra il dire e il fare ci sono però in questo caso due mari diversi. Sulla riva federale le modalità con le quali il governo si doterà effettivamente di una riserva. Sulla riva texana invece il consenso effettivo intorno ad una proposta del genere.
Trump, Capriglione e Bitcoin
Donald Trump ha risposto in modo affermativo sulla possibilità di avere una riserva federale USA di Bitcoin e crypto. La questione, almeno secondo le brevi battute che Donald Trump ha consegnato a Jim Cramer, sarebbe anche geopolitica: tanti paesi si stanno muovendo verso l’apertura a questi asset, e Trump non vorrebbe vedere un’America rimasta indietro. E anzi, vorrebbe vedere gli USA primeggiare anche in questa tecnologia, che ha curiosamente abbinato a quella AI. In realtà il trait d’union è un altro dei temi cari a Trump, che è quello energetico. Gli USA avrebbero bisogno del doppio di energia che producono oggi, ha tuonato il presidente che giurerà il 20 gennaio, e le tecnologie che ne sono più avide, aggiungiamo noi, sono AI e mining Bitcoin, settore quest’ultimo dove Trump vorrebbe vedere gli USA primeggiare più di quanto facciano adesso.
Lontano da New York, in Texas, si sta consumando un altro pezzetto della storia di Bitcoin. Questa volta è un semi-sconosciuto deputato del parlamento nazionale a volerne scrivere una pagina. Giovanni Carpiglione, Repubblicano, ha presentato un disegno di legge che imporrebbe al Texas di accettare pagamenti in Bitcoin per le tasse locali, per le multe e per altri tipi di attività. I Bitcoin così accumulati però non potranno essere venduti per i primi 5 anni, andando a creare così una riserva strategica. L’obiettivo di Capriglione sarebbe quello di proteggere le casse statali dall’inflazione, proprietà che però Bitcoin, dati alla mano, sembrerebbe non aver ancora dimostrato. Ora ci sarà da fare la conta dei parlamentari a favore. E nel caso di ampio consenso, Capriglione ha affermato di voler fare ancora di più. Per ora però, tanto a Washington quanto a Austin, siamo ancora in altissimo mare.
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