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Svizzera: inflazione ancora giù. Nel mondo monta protesta contro un dollaro troppo forte. BCE pronta ai tagli?
In Svizzera si può ormai parlare di ritorno alla normalità, o quasi. Gli ultimi dati sull’inflazione, pubblicati dall’istituto svizzero di statistica, indicano un’inflazione all’1%, contro le aspettative di mercato che avevano trovato un consenso intorno a 1,3%. Si tratta di un buon risultato, che è stato in larga parte indotto da un movimento al ribasso dei prezzi sul cibo e sulle bevande non alcoliche, insieme al costo per le prestazioni sanitarie. La reazione dei mercati è stata immediata, con il franco svizzero che successivamente all’annuncio dei dati ha fatto registrare un calo di circa lo 0,3%.
Tutto questo in un contesto di massima confusione nel settore delle politiche monetarie, con le pressioni per un intervento già ad aprile per BCE che montano e che probabilmente però rimarranno lettera morta. Lo stesso contesto in cui Jerome Powell ha ribadito che di tagli non se ne parlerà fino a quando non si avrà la ragionevole certezza di un ritorno verso il 2% per l’inflazione, target che è fuori discussione almeno fino a quando, come ripetuto più volte da Fed, non si sarà appunto tornati verso quel livello.
Svizzera: inflazione OK, nel resto del mondo però…
L’inflazione in Svizzera è ormai ben al di sotto dei livelli di guardia, segnale del fatto che le ultime decisioni di SNB sono state in realtà correttamente in anticipo rispetto ai dati che sono stati diffusi oggi. Un’inflazione anno su anno soltanto all’1 percento, ben al di sotto dei target delle altre banche centrali e che con ogni probabilità comanderà altri tagli in futuro, durante il 2024.
I mercati hanno reagito nell’unico modo possibile: mini-dump sul franco svizzero, che perde in modo consistente contro un dollaro in uno straordinario stato di forma, spinto anche dall’ulteriore convinzione che per i tagli ai tassi si potrà aspettare ancora, e che giugno potrebbe anche non essere il mese decisivo per questo tipo di decisioni.
Una forza del dollaro che comincia a creare però diversi malumori, sia tra i paesi cosiddetti sviluppati sia tra quelli in via di sviluppo. Per citare i più importanti, quello di Tokyo, con le autorità locali che stanno continuando a monitorare una situazione che si fa sempre più preoccupante. Si rimane infatti molto vicini alla soglia dei 152, soglia che è la sottile linea rossa che separa l’ordinaria amministrazione dalla necessità di intervento da parte delle principali autorità monetarie. Una situazione che è appunto esacerbata da una forza del dollaro dettata dalla capacità di Fed di poter tentennare sui tagli, complice un’economia più forte che altrove.
BCE potrebbe non aspettare Federal Reserve?
È questo il nuovo percorso di cui tutti parlano: c’è la possibilità concreta che BCE, la Banca Centrale Europea, non attenda le mosse di Washington prima di procedere con i tagli ai tassi di interesse. Cosa che è stata anticipata anche dal falco Robert Holzmann e che come ipotesi sta prendendo sempre più piede a Francoforte. Difficile però aspettarsi che dopo un’iniziale disallineamento non si torni a suonare comunque la musica di Washington.
Questo per un motivo che agli analisti appare come cristallino: le condizioni che porteranno Federal Reserve a intervenire saranno prima o poi un problema anche per le altre banche centrali, e anche per una ECB che non può certamente operare nel vuoto pneumatico.
Si dovrà dunque operare, almeno sul medio periodo, in una sorta di concordia e di allineamento. Questo a patto che però a Washington si arrivi finalmente ai tanto sospirati tagli, che per l’area euro sono ormai più che necessari, tanto da spingere in diversi a chiederli già per la prossima riunione di BCE, fissata per l’11 aprile.