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Apple, ancora problemi con l’antitrust: causa negli USA per comportamento monopolistico su iOS
Le brutte notizie non vengono mai sole: questo è il riassunto delle ultime settimane per Apple, che negli ultimi 15 giorni ha visto i suoi problemi di antitrust aumentare in maniera importante. Prima la società è stata forzata dall’UE a rendere possibile il download delle applicazioni per iOS anche da siti esterni, in una lotta contro il monopolio dell’Apple Store; sulla scia di questo successo, poi, gli sviluppatori di Fortnite hanno aperto un nuovo procedimento giudiziario accusando Apple di non aver rispettato l’ingiunzione del giudice americano che chiedeva di rendere possibili i pagamenti in-app anche con strumenti di terze parti. Adesso la società si trova nuovamente sotto il fuoco incrociato negli Stati Uniti.
Giovedì è stata aperta una causa dal Dipartimento di Giustizia di 15 Stati americani, che accusano nuovamente l’azienda di stare adottando un comportamento monopolistico. In questo caso la causa riguarda i servizi accessori che vengono offerti agli utenti di iOS: l’azienda starebbe sfruttando il suo ecosistema per vessare i clienti iPhone con costi troppo alti per tutti i software che completano l’esperienza del sistema operativo di Apple. Il “giardino murato” di Apple, come è stata definita più volte la sua galassia integrata di hardware e software, è storicamente stato il grande punto di forza del colosso di Cupertino. Già Steve Jobs aveva indicato chiaramente che questa fosse la strada da seguire, ma ora il punto di forza si sta trasformando in un importante punto di debolezza.
Comportamento monopolistico sui servizi iOS
Nel momento in cui un utente passa ad iPhone, si ritrova a sfruttare al meglio il suo dispositivo con i servizi che la stessa Apple offre: App Store, Apple Music, Apple TV, iCloud e così via. Tutti questi servizi sono pensati per mantenere un utente all’interno della galassia Apple anche dopo l’acquisto del suo dispositivo, e chiaramente richiedono dei pagamenti a parte. Secondo il Dipartimento di Giustizia degli Stati che hanno portato Apple in questa nuova causa, l’azienda starebbe sfruttando il suo dominio nelle vendite di smartphone negli Stati Uniti per rendere artificialmente cari tutti questi servizi. Un comportamento che danneggia i concorrenti, ma non soltanto: secondo l’accusa, i primi a farne le spese sono gli utenti e gli sviluppatori.
Nel caso di chi vende un’app su App Store, ad esempio, Apple trattiene il 30% di tutti i pagamenti che vengono eseguiti prima e dopo aver scaricato l’applicazione. A lamentarsi sono anche gli artisti, che percepiscono circa 0.01$ per ogni volta in cui una delle loro canzoni viene riprodotta su Apple Music, malgrado Apple faccia pagare l’abbonamento regolare 10.99$ al mese. Queste app sono solitamente già scaricate all’interno dei dispositivi e vengono favorite da Apple rispetto a quelle dei concorrenti, in un altro atteggiamento monopolistico che gli Stati Uniti dimostrano di non gradire. Ora la società dovrà difendere legalmente la sua posizione, o rischia che il “giardino murato” possa crollare.
Svantaggiati anche sull’hardware
Gli sviluppatori di app che competono direttamente con quelle di Apple, come Spotify, lamentano anche il modo in cui gli sviluppatori non possano accedere al pieno potenziale dell’hardware dei dispositivi. Non potendo sfruttare certe caratteristiche dei processori o dei sensori installati sugli iPhone, le app di sviluppatori di terze parti sono sistematicamente svantaggiate rispetto a quanto avviene con le app ufficiali Apple. Tile Inc, uno sviluppatore di dispositivi indossabili per il fitness, lamenta ad esempio il fatto di avere forti limitazioni all’accesso ai sensori installati su iPhone mentre gli Apple Watch ufficiali possono accedere a tutto il potenziale di questi dispositivi. Stesso discorso per i pagamenti: soltanto Apple Pay può accedere alla tecnologia NFC per pagare con smartphone, il che è considerato un comportamento sleale nei confronti della concorrenza. Per Apple si preannunciano mesi di forte attività sul fronte legale, nel tentativo di difendere l’ecosistema che l’ha resa famosa.