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Avocado vittima del cambiamento climatico: previsto calo della produzione del 14-41% entro il 2050
L’avocado è un’introduzione relativamente recente nella dieta degli italiani, ma è già diventato un simbolo dell’attenzione a un’alimentazione salutare e per molti è protagonista di ricette quotidiane. Questo, però, potrebbe non durare a lungo: secondo una nuova ricerca di Christian Aid, la produzione di avocado sarà una delle prime vittime del cambiamento climatico. Tutte le principali aree produttive -Cile, Perù, Spagna, Messico, Sud Africa e Burundi- sono particolarmente colpite dagli effetti imprevedibili del riscaldamento globale. Questo potrebbe portare la produzione mondiale, sempre secondo questo studio, a calare tra il 14% e il 51% entro il 2050.
Se si guarda al problema in modo isolato, può non sembrare niente di grave: in fondo la dieta mediterranea si è sempre basata sui grassi vegetali delle olive e non degli avocado. Quando si guarda al quadro più ampio, però, emerge come il problema del cambiamento climatico stia sconvolgendo tutta la filiera alimentare e non soltanto questo esotico frutto verde. In questo momento di forti siccità in regioni come la Spagna, inondazioni estreme in Brasile e innalzamento dei livelli del mare che minaccia le aree costiere, nessuna coltivazione è realmente al sicuro. Anche il nostro amato olio di oliva sta attraversando uno dei peggiori periodi della sua storia, con la produzione del maggiore esportatore mondiale -la Spagna- che soffre gli effetti di un’aridità protratta da ormai oltre due anni.
Una produzione in pericolo
La coltivazione di avocado è particolarmente suscettibile al cambiamento climatico per via delle caratteristiche di questa pianta, che richiede molta acqua per poter crescere. Per questo la sua coltivazione è tipica delle aree tropicali, dove il calore è sufficiente a garantire lo sviluppo della pianta ma al tempo stesso le piogge sono regolari e abbondanti. O almeno, lo erano. Negli ultimi anni, il cambiamento climatico ha fatto sì che molte delle regioni più produttive al mondo abbiano attraversato periodi di forte siccità o di piogge estreme, portando a raccolti mancati o ad allagamenti che hanno coinvolto produttori di tutti i continenti.
L’area che risulta essere più esposta al cambiamento climatico, tra i grandi produttori di avocado, è il Messico. In questo caso, anche nello scenario più roseo, le previsioni sono comunque molto negative: ci si aspetta un calo della produzione del 31% entro il 2050, anche nel caso in cui si riuscisse a mantenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia dei 2 °C come previsto dall’accordo di Parigi. In Burundi invece il problema è già ben visibile: con il costo dell’acqua in forte aumento per via della siccità, procurarsi i 320 litri d’acqua di cui una pianta ha bisogno per poter crescere e dare frutti è diventato economicamente difficile per i produttori locali.
Sempre più diffuso l’impatto sulla filiera alimentare
In Spagna la produzione di olio d’oliva è ai minimi degli ultimi trent’anni; il prezzo delle arance è alle stelle a causa di una nuova malattia che infesta le piante in Brasile, paese che produce oltre il doppio degli agrumi rispetto al secondo esportatore mondiale; in India e in Vietnam, i due paesi del mondo che coltivano la maggior quantità di riso, sono state introdotte restrizioni all’export per evitare che gli scarsi raccolti degli ultimi anni facessero impennare i prezzi locali oltre misura. Singolarmente c’è un’alternativa a ogni alimento, ma quando la produzione di tutti gli alimenti comincia a essere seriamente minacciata dal cambiamento climatico diventa difficile immaginarsi le conseguenze a lungo termine. Sfamare una popolazione mondiale che ormai supera gli 8 miliardi di persone sta diventando sempre più difficile, e il numero di abitanti sul pianeta continua a crescere.