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BCE: inflazione aumenterà per via del cambiamento climatico

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Il cambiamento climatico potrebbe causare, a livello mondiale, un aumento del 1% annuo del tasso di inflazione. Questo è quello che si legge in una nuova ricerca pubblicata dalla Banca Centrale Europea, che contiene una serie dettagliata di previsioni fino al 2035. L’impatto del cambiamento climatico potrebbe valere un aumento dei prezzi al consumo tra lo 0,32% annuo e l’1,18% annuo, con effetti diversi in tutto il mondo. Va considerato che il target della BCE è un tasso di inflazione del 2% annuo, quindi questo è un fattore che potrebbe avere ripercussioni importanti sulla politica monetaria e sul mercato Forex.

Uno dei ricercatori, Miximilian Kotz, commenta l’articolo rimarcando che il cambiamento climatico è in grado di mettere in moto dei meccanismi chiari con cui impattare i prezzi. A risentirne sarebbe l’intera economia globale, in un modo che per altro risulta prevedibile negli scenari ma non nei fatti: dove e quanto potrebbero manifestarsi di più gli effetti dell’inflazione sui prezzi non è ancora possibile saperlo. Probabilmente solo una parte dei rincari sarà dovuta a elementi facilmente prevedibili, mentre una larga parte sarà dovuta a eventi naturali localizzati e di grande portata.

Fino a questo momento, i mercati non sembrano aver preso in considerazione la correlazione tra cambiamento climatico e tasso di inflazione

Il valore del cambiamento climatico sull’inflazione

Stando ai risultati di questa nuova ricerca, il primo elemento che potrebbe trainare a rialzo i prezzi sono i generi alimentari. Già oggi, ad esempio, gli effetti di una siccità in Argentina e nel Sud degli Stati Uniti hanno impattato il mercato della soia e del grano; si vedranno poi i risultati sul Parmigiano Reggiano e sui vini prodotti in Emilia Romagna, in seguito alle forti alluvioni di questi giorni. Questi eventi sono destinati ad aumentare con il cambiamento climatico, rendendo imprevedibile la produzione delle commodities agrarie in luoghi e tempi che non possono essere preventivati con certezza. L’inflazione sugli alimenti dovrebbe essere la più netta correlazione tra cambiamento climatico e pressione sui prezzi, secondo quanto riportato dai ricercatori.

Altri elementi riguardano, ad esempio, la necessità di favorire la transizione ecologica nel settore dell’energia e dei trasporti. Per un periodo bisognerà accettare, ad esempio, che l’idrogeno verde sia un sostituto più caro del gas naturale -almeno per il momento- ma che si tratti anche di una delle poche solide alternative prive di effetti sulle emissioni di gas serra. Potrebbero poi rendersi necessari casi in cui una banca centrale dovrà artificialmente stampare più denaro del previsto, con effetti ovvi sull’inflazione, in risposta a eventi climatici catastrofici. La sola alluvione in Emilia Romagna dovrebbe portare complessivamente a danni stimati per 7 miliardi di euro, con il 42% della superficie coltivabile della regione colpita dal maltempo.

Gli eventi di forte siccità sono tra i principali indiziati per causare un rialzo dei prezzi al consumo, e tendono ad aumentare con l’avanzare del cambiamento climatico

Effetti diversi in base alle zone

Sempre la stessa ricerca suggerisce che le zone più a rischio sarebbero quelle del cosiddetto “sud mondiale“, avendo già in partenza delle temperature medie più alte. Inoltre si porranno delle sfide importanti per l’Unione Europea, dal momento che l’effetto non sarà uguale in tutti i 28 paesi e che questo potrebbe portare a differenze di prezzo -oltre che di inflazione- tra le diverse nazioni che ne fanno parte. Bisogna però tenere in considerazione che la nuova ricerca non fa conto sull’eventuale scoperta di nuove tecnologie che possano aiutare a ridurre l’impatto del cambiamento climatico.

Gli analisti di Barclays hanno voluto commentare pubblicamente la nuova ricerca. Un commento interessante, dal momento che arriva da investitori istituzionali effettivamente coinvolti nel trading di commodities agrarie. Stando al loro commento, gli effetti nei primi 5-10 anni proiettati dalla nuova ricerca sarebbero verosimili e piuttosto probabili. Sul lungo termine, invece, gli analisti si limitano a notare che i mercati non sembrano stare prezzando l’eventualità che i tassi di interesse centrali possano adattarsi alla previsione di inflazione aggiuntiva proveniente dal cambiamento climatico. Questo significa che uno tra Wall Street e i ricercatori, almeno al momento, ha torto.

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