News
Biden favorevole all’aumento dei dazi sull’acciaio cinese e altri metalli: previsti aumenti significativi
Joe Biden è pronto a proporre un aumento significativo dei dazi per l’importazione di metallo prodotto in Cina. A rivelarlo sono state alcune fonti vicine alla campagna elettorale del Presidente americano, che si prepara a tenere un discorso nella città di Pittsburgh. Conosciuta come Steel City (“città dell’acciaio”), Pittsburgh un tempo è stata la capitale dell’industria metallurgica statunitense. Un’industria che nel corso del tempo è andata sempre di più perdendo trazione, soprattutto a causa della concorrenza cinese. Attualmente la Cina è il più grande importatore di minerale di ferro al mondo, materiale che viene poi trattato per produrre ghisa e acciaio da esportare in tutto il mondo. Biden vorrebbe riconquistare i voti dei lavoratori delle fabbriche americane, e questa mossa potrebbe aiutarlo nell’intento.
Attualmente l’industria metallurgica americana si trova di fronte a un momento storico, con US Steel -il colosso fondato da Andrew Carnagie e JP Morgan oltre 120 anni fa- che sta per passare in mani giapponesi. Malgrado l’iniziale opposizione della Casa Bianca, Nippon Steel sta continuando l’iter che porterà all’acquisizione della più grande e conosciuta impresa metallurgica statunitense. Una situazione che ha gettato sconforto tra i lavoratori del settore e ha causato l’ira dei sindacati, portando ora la politica a porre una maggior attenzione su questo comparto.
I dazi per l’acciaio cinese potrebbero triplicare
Attualmente esistono già dei dazi per l’importazione di acciaio cinese negli Stati Uniti. A introdurli è stato Donald Trump, che ha fissato al 7,50% del valore del bene importato la tariffa da pagare. Questo ha aiutato il governo federale ad aumentare le entrate, ma non ha fermato comunque il predominio cinese nel settore. Biden ora sarebbe pronto a offrire addirittura un aumento dei dazi al 25%, più che triplicando la cifra stabilita dal suo predecessore. A questo livello sarebbe praticamente scontato che il prezzo dell’acciaio americano riesca a risultare più competitivo rispetto a quello cinese. Ancora una volta, questo conferma come uno dei pochi punti d’incontro tra il programma Democratico e quello Repubblicano sia proprio la volontà di arginare il ruolo della Cina nel panorama industriale americano.
Bisogna però notare che a ogni politica protezionista corrisponde un aumento dei prezzi per le imprese a valle nella filiera e per il consumatore finale. In questo momento l’economia americana è vicina alla piena occupazione e non mancano posti di lavoro; il problema è più che altro l’inflazione elevata che non accenna a scendere, rimanendo al 3,50% annuo negli ultimi dati riferiti a marzo. Mettere dei dazi più alti sull’acciaio cinese significherebbe quasi certamente aumentare di molto il prezzo delle nuove costruzioni, delle ferrovie, delle auto e dei macchinari industriali. Per cercare di contenere il tasso d’inflazione, non sarebbe certamente una scelta ottimale.
Si torna a parlare di sovracapacità produttiva
Lael Brainard, economista consigliere della Casa Bianca, facendo eco a Janet Yellen ha voluto giustificare questa posizione sul metallo cinese come una questione di concorrenza sleale. Gli anni scorsi si è parlato molto di “sicurezza nazionale” quando bisognava giustificare, ad esempio, il blocco delle esportazioni di semiconduttori avanzati verso la Cina o le sanzioni su aziende produttrici di batterie al litio e pannelli fotovoltaici. Ora invece la motivazione è passata alla “sovracapacità produttiva“: gli USA accusano la Cina di essere un’economia pilotata dal governo centrale, che produce una quantità eccessiva di alcuni beni perché Pechino foraggia le imprese nazionali che intendono esportarle. Essenzialmente gli USA non vogliono che la Cina veda il mercato americano come un’opportunità per ritornare al suo storico tasso di crescita, attraverso esportazioni a basso costo.