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Big Pharma unita per ridurre le emissioni di CO2
Un numero crescente di sistemi sanitari nazionali si stanno unendo al NHS del Regno Unito, adottando l’obiettivo di raggiungere il net zero entro il 2045. L’impegno del settore pubblico sta direttamente influenzando anche i grandi colossi privati, che per assicurarsi di mantenere i loro rapporti di fornitura devono necessariamente scendere a compromessi con i nuovi regolamenti pubblici. Novo Nordisk e altre grandi imprese del settore hanno annunciato di essere già al lavoro per identificare i punti della supply chain da cui deriva la maggior quantità di emissioni, con l’obiettivo di ridurle il più possibile. Un lavoro che sicuramente richiede compromessi, considerando che una società farmaceutica deve fare i conti con standard di qualità dei suoi prodotti estremamente alti.
Attualmente si stima che il 5% delle emissioni globali di CO2 e altri gas serra provenga dal settore sanitario. Oltre la metà di queste emissioni si concentra in tre mercati: Europa, Stati Uniti e Cina. Negli USA, le emissioni legate alla sfera sanitaria rappresentano addirittura l’8,5% del totale. Anche se ci sono industrie come l’acciaio che inquinano nettamente di più e hanno già piani per ridurre drasticamente le emissioni, tutti i comparti dell’economia stanno collaborando per migliorare la situazione. Per lo meno dove è meno rischioso farlo, Big Pharma è ora realmente più impegnata che mai per ridurre la sua impronta ambientale.
Dal Regno Unito a tutto il mondo
Il NHS ha preso iniziative concrete oltre a stabilire il suo impegno per il net zero entro il 2045. Dal 2030 in avanti, il sistema sanitario inglese smetterà di lavorare con fornitori che non adotteranno linee guida per raggiungere lo stesso obiettivo entro la stessa data. AstraZeneca, Bristol Myers, Pfizer e Johnson & Johnson stanno già lavorando per ridurre l’impatto ambientale della produzione dei principi attivi dei loro farmaci. Reckitt sta invece utilizzando un sistema di intelligenza artificiale per individuare i punti della supply chain che con il minore sforzo possono garantire la maggiore riduzione dell’impronta ambientale dell’azienda.
A gennaio, gli accordi tra i colossi farmaceutici e le imprese del settore dell’energia rinnovabile hanno visto nascere accordi per la fornitura di 200 GW di energia nel corso dei prossimi anni. Tra le società più attive in questo senso ci sono anche Novartis e Roche. Rimangono le incognite legate a Cina e India, i due colossi emergenti asiatici che invece sembrano starsi muovendo molto poco per ridurre l’impatto del settore farmaceutico.
Gli effetti del clima su Big Pharma
Da una parte c’è l’impegno delle società ad abbassare l’impatto ambientale. Dall’altro c’è il fatto che il cambiamento climatico sta aumentando la domanda di farmaci e la necessità di progetti di ricerca per nuove soluzioni. Un esempio è il numero crescente di specie di zanzare che trasmettono la malaria, il dengue e altre malattie tropicali. Con una crescente area del mondo che va incontro alla tropicalizzazione del proprio clima, anche l’area geografica occupata da queste zanzare è sempre più grande. Di conseguenza aumenta sempre di più il volume di produzione delle grandi imprese farmaceutiche.
Gli aspetti su cui le società possono agire sono essenzialmente quattro: gli ingredienti, l’energia, la logistica e il packaging. Molte aziende, tra cui Novo Nordisk, stanno introducendo degli standard di sostenibilità per i fornitori degli ingredienti di base. Si lavora molto anche sugli accordi diretti per l’acquisto di energia, in collaborazione con le società che sviluppano soluzioni per l’energia rinnovabile. Ancora oggi, però, moltissimi packaging non sono riciclabili e contengono plastica monouso difficilmente recuperabile.