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BMW pizzicata negli USA: la società tedesca ha usato componenti di fornitori vietati per motivi ESG

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BMW rischia grosso negli Stati Uniti: l’azienda sembra essere stata trovata colpevole di aver utilizzato nelle sue vetture delle componenti fornite da imprese cinesi che impiegano lavoro forzato della minoranza Uiguri. Non soltanto questa è una violazione dei diritti umani, ma è un problema particolarmente sentito negli Stati Uniti: nel 2021, il governo americano ha pubblicato un elenco di società a cui è vietato fare business negli Stati Uniti, proprio per questo problema legato al lavoro forzato. Non soltanto BMW ha utilizzato componenti provenienti da un fornitore che impiega lavoratori mantenuti in condizioni schiavili, ma il fornitore in questione è presente nell’elenco delle aziende esplicitamente bandite dalle importazioni negli Stati Uniti.

La minoranza Uiguri è una parte della popolazione cinese che vive vicino al confine con la Mongolia ed è di religione islamica. Il governo centrale cinese vede questa popolazione come “disallineata” rispetto all’identità culturale religiosa, cosa che ha portato a conseguenze molto dure. Gli Uiguri vengono deportati, forzati a sposarsi con persone “allineate” alla cultura del regime e chi rifiuta questo trattamento viene portato in campi di lavoro forzato. Nel corso del tempo è emerso un tessuto di imprese che sfruttano questo lavoro forzato, cosa che ha portato a scandali per diverse società: addirittura, in passato si è parlato di batterie al litio per gli EVs prodotte con il lavoro forzato degli Uiguri.

BMW è proprietaria di Mini dal 1996

Almeno 8.000 veicoli incriminati

L’indagine parlamentare condotta dal Senato degli Stati Uniti rivela che le Mini Cooper importate da BMW negli USA nel corso degli ultimi anni siano state prodotte con la collaborazione di imprese cinesi a cui non è permesso fare affari negli Stati Uniti. Sono almeno 8.000 le vetture di cui l’azienda è chiamata a rispondere, nello specifico per una serie di componenti legati al circuito elettrico delle auto. Non è chiaro se la casa automobilistica tedesca non fosse consapevole di starsi approvvigionando da una società che sfrutta il lavoro forzato e a cui non è permesso fare affari negli States, ma è sicuro che questo rapporto commerciale sia andato avanti per lo meno fino ad aprile 2024.

BMW è corsa a scusarsi per quello che è successo. L’azienda dice di avere a cuore le condizioni dei lavoratori e di produrre i suoi veicoli nel rispetto di tutti i migliori criteri ESG. Anticipando quella che potrebbe essere la decisione del Parlamento, l’azienda si è già proposta di sostituire le componenti incriminate dall’indagine. Per il momento non c’è ancora una stima dei costi che l’azienda potrebbe dover sostenere per essere in linea con i regolamenti statunitensi, ma è molto probabile che un approvvigionamento di emergenza e il richiamo dei veicoli costi decine di milioni di euro.

Ogni anno, il marchio Mini vende quasi 15.000 auto negli USA

Giro di vite intorno alla componentistica

Fino a questo momento, la necessità di adattarsi alle restrizioni sull’import negli Stati Uniti è stata lasciata soprattutto all’autocontrollo da parte delle case automobilistiche. Ora le forze politiche di entrambi i lati del parlamento americano chiedono una stretta sui controlli effettuati nelle dogane. Presto la componentistica verrà controllata a campione per tutti gli importatori, rivelando se ci siano altre irregolarità anche per altri costruttori. In questo momento sono già in corso altre investigazioni su aziende americane, sospettate di stare importando componenti cinesi da società vietate per rivenderli come se fossero prodotti da loro.

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