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COP 28: alla fine arriva l’accordo sui combustibili fossili

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Si è parlato, discusso e litigato. Tra alti e bassi, in uno dei summit climatici delle Nazioni Unite più criticati di sempre, alla fine le quasi 200 nazioni partecipanti hanno trovato un accordo finale che prevede la riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili. L’accordo è arrivato “ai tempi supplementari”, considerando che il summit teoricamente era già finito da oltre 24 ore. Dopo il durissimo ostruzionismo dei membri dell’OPEC, e il rigetto di Europa e Stati Uniti ad approvare un accordo finale senza riferimenti a gas e petrolio, alla fine si è arrivati a un compromesso. Sultan al-Jaber, Presidente del COP 28, lo ha definito un accordo storico e ha subito invitato a rispettarlo: il vertice della conferenza ha ricordato alle nazioni che le persone sono ciò che fanno e non ciò che dicono, insistendo sulla necessità di compiere azioni concrete.

Anche i governi più attenti all’ambiente, alla fine, hanno accettato di buon grado il nuovo testo. Il Ministro degli Affari Esteri della Norvegia, Espen Barth Eide, ha parlato di questo nuovo accordo come della prima volta in cui tutte le nazioni del mondo accettano la necessità di una transizione che metta fine all’utilizzo dei combustibili fossili. Alla fine non ha prevalso la linea dura proposta da oltre 100 nazioni del mondo, che chiedevano di arrivare a un accordo su date precise entro le quali limitare, limitare ulteriormente e infine eliminare del tutto l’uso dei combustibili fossili. Non si è però lasciato nemmeno che prevalesse la linea dell’OPEC, la quale chiedeva che non vi fosse alcun riferimento a gas e petrolio nella bozza finale.

Cosa dice il nuovo accordo sui combustibili fossili

La frase della discordia, modificata più e più volte prima dell’approvazione finale, ora dice che le nazioni si impegneranno per compiere la transizione energetica in un modo “giusto, ordinato ed equo” in accordo con l’obiettivo di raggiungere il net zero entro il 2050. All’atto pratico è una frase che non significa molto, ma su un piano politico è un passo importante: fino a questo momento, decenni di conversazioni sul clima avevano eluso ogni riferimento esplicito sui combustibili fossili. Ora c’è una base su cui le Nazioni Unite potranno continuare a costruire la loro politica in modo più dettagliato nel corso dei prossimi anni.

Essenzialmente il modo in cui il testo descrive la transizione energetica è in accordo con quanto sta già accadendo in pressoché tutto il mondo. Europa e Stati Uniti hanno già mandato in pensione pressoché tutte le loro centrali a carbone, aumentato molto la quota di rinnovabili nel mix energetico e introdotto normative per favorire le auto elettriche. La Cina, forse più per attenzione all’indipendenza energetica che al clima, sta già facendo la stessa cosa. Questo è un trend che i paesi OPEC, per quanto controllino l’80% delle riserve petrolifere conosciute nel mondo, non possono fermare. Per questo l’accordo finale è riuscito a posizionarsi a metà strada tra un estremo e l’altro.

Tutti soddisfatti, almeno politicamente

Le nazioni più attente all’ambiente celebrano il fatto che per la prima volta il testo finale del COP di quest’anno presenti un riferimento esplicito ai combustibili fossili. Inoltre si è firmato l’accordo per triplicare la produzione di energia rinnovabile a livello mondiale entro il 2030, altro passaggio importante. Dall’altra parte, anche le nazioni OPEC sono soddisfatte del traguardo che hanno raggiunto: fare in modo che la ricetta per combattere il cambiamento climatico sia individuale.

Fonti vicine all’Arabia Saudita hanno parlato positivamente proprio della possibilità di autodeterminare il futuro di ogni nazione, di modo che si rimanga fermi sull’accordo di Parigi che prevede di non far salire la temperatura mondiale di oltre 1.5 °C entro fine secolo rispetto al periodo pre-industriale. Dentro questo limite le nazioni rimangono libere di muoversi come meglio credono, inclusa la possibilità di continuare a esportare petrolio in tutto il mondo.

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