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Euro, l’Ungheria valuta la Moneta Unica a partire dal 2030
Dopo la recente adozione dell’euro in Croazia, si guarda ora all’Ungheria come prossimo paese dell’Unione che potrebbe adottare la Moneta Unica. Ci sono state varie conversazioni in materia, sia a livello interno che europeo, ma il risultato non sembra lasciar pensare che il fiorino possa essere abbandonato prima del 2030. Questo, per lo meno, è quanto dichiara il governatore della banca centrale ungherese Gyorgy Matolcsy. Pur restando convinto della bontà dell’idea, ritiene che l’economia ungherese sia ancora lontana dai parametri di sviluppo che garantirebbero il successo dell’entrata nell’Eurozona.
Al momento sono ancora molte le economie est-europee che preferiscono aspettare prima di adottare l’euro come valuta. La Romania e la Polonia, ad esempio, continuano a mantenere rispettivamente il leu e lo złoty come monete di corso corrente. Questa decisione è principalmente legata alla volontà delle nazioni emergenti di controllare la politica monetaria, potendo così praticare tassi di interesse più adatti per la propria situazione rispetto a quelli della Banca Centrale Europea. Considerando che la politica monetaria europea è pensata per le esigenze di economie avanzate come quella tedesca, francese e italiana, sarebbe difficile per l’Ungheria trarne vantaggio in questo momento.
Possibile entrata nella Zona Euro nel 2030
Per quanto il governatore Matolcsy faccia sapere che nel breve termine l’Ungheria non adotterà l’euro, ci potrebbe essere già una data per farlo: il 2030 sarebbe l’anno candidato, secondo le proiezioni attuali della banca centrale. Nel corso di questi 7 anni, infatti, il governatore ritiene che l’economia Ungherese riuscirà a portarsi a un livello di sviluppo intorno al 90% di quello medio europeo. A quel punto ci sarebbe la possibilità di entrare con successo, mentre farlo adesso è considerata un’opzione controproducente con più svantaggi che vantaggi.
L’Ungheria rimane, di fatto, ancora molto interessata ad adottare l’euro. Questo soprattutto perché i principali partner commerciali sono europei, e la maggior parte dei paesi confinanti usa già l’euro: Croazia, Slovenia, Austria e Slovacchia hanno già scelto di adottare la Moneta Unica. Questo faciliterebbe i pagamenti, eviterebbe le commissioni legate al cambio di valuta, porterebbe più investimenti in Ungheria e renderebbe più stabile la situazione finanziaria del paese.
Dall’altra parte, l’Ungheria rimane una nazione esportatrice più che importatrice. Con l’eccezione del biennio 2021-22, segnato dalla crisi energetica del gas naturale, la bilancia commerciale ha sempre un saldo attivo. Utilizzare il fiorino ungherese al posto dell’euro, considerando che la prima è una valuta “debole” e la seconda “forte” in termini di tassi di cambio, favorisce queste esportazioni. Passare all’euro potrebbe rendere meno conveniente per le imprese internazionali comprare prodotti ungheresi.
Il paese cerca di uscire dalla recessione
Per quanto l’economia europea nel suo complesso continui a difendersi, in Ungheria si sta verificando una recessione tecnica ormai ampiamente confermata dai dati sul PIL. Per due trimestri di fila, la crescita reale del PIL -cioè al netto del tasso di inflazione- è stata negativa. Nel breve termine, questa è indubbiamente la preoccupazione più impellente per il governo e per la banca centrale e ha la precedenza rispetto ai discorsi sulla Moneta Unica.
Ci sono due motivi principali dietro a questa recessione, che si sono alimentati a vicenda nel corso degli ultimi sei mesi. Il primo è stata la crisi del gas naturale, che ha spinto tutte le nazioni europee a pagare prezzi molto più alti per le importazioni di questa materia prima rispetto al passato. Alcune nazioni hanno dimostrato di poter comunque crescere leggermente in questa situazione, ma l’impatto è stato molto forte per un’economia emergente come quella ungherese.
Il secondo tema centrale è stato quello del tasso di inflazione, che in più rilevazioni ha superato il 25% annuo. Il fiorino si è svalutato rapidamente per via delle importazioni di gas dall’estero; in valuta locale, questa svalutazione ha reso il gas ancora più caro e ha portato a una svalutazione maggiore. Questo circolo vizioso ha fatto sì che, mentre i prezzi siano aumentati in media del 24% rispetto allo scorso anno, la crescita dei salari sia stata solo del 17,6%.