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Euro, male i dati su manifattura in Germania e nell’Eurozona
I dati sulla manifattura sono stati la notizia più importante in provenienza dal calendario economico nella giornata di venerdì. L’euro ha chiuso leggermente sotto alla parità con il dollaro americano proprio per via delle rilevazioni sull’indice PMI, considerato uno dei più importanti indicatori per anticipare i livelli di produzione industriale nei mesi successivi. Si tratta di un indicatore macroeconomico che esprime la quantità di forniture richieste dai manager delle imprese manifatturiere; come è facile immaginare, gli ordini di oggi si trasformano poi nell’effettiva produzione industriale di domani.
In mattinata sono stati pubblicati sia il dato riferito all’Eurozona che quello referito alla Germania. Il dato tedesco è particolarmente atteso, in quanto la Germania è il massimo produttore industriale di prodotti fini in Europa. Le imprese che inviano ordini ai loro fornitori, specie nel settore dell’automotive, tendono poi a impattare la produzione industriale in modo significativo in altre aree dell’UE. Italia e Spagna, due nazioni fortemente esposte all’andamento degli ordini di componenti industriali dalla Germania, sono particolarmente toccate dalle notizie di oggi.
La manifattura conserva le difficoltà
Ancora una volta l’indice PMI della manifattura chiude il mese in rosso e al di sotto delle attese:
- Nell’Eurozona il dato effettivamente riscontrato è stato di 43.6 punti contro una previsione di 44.8 punti;
- In Germania il PMI manifatturiero ha chiuso il mese a 41 punti, contro una previsione di 43.5.
Bisogna ricordare che la soglia chiave dell’indice PMI è posta a 50 punti. Qualunque rilevazione al di sopra di 50 indica un’espansione degli ordini di fornitura, mentre qualunque dato al di sotto di 50 indica una contrazione. L’ultima volta che il valore riscontrato in Germania fu superiore a 50 punti era luglio 2022: da quel momento in poi, il tema ricorrente è stato la contrazione.
Sono stati pubblicati anche i dati relativi all’indice PMI dei servizi. In questo caso, in Germania il dato attuale è stato di 54.1 contro una previsione di 56.2; il dato legato all’Eurozona è stato invece di 52.4 contro una previsione di 54.5. Per il settore terziario si conferma dunque uno stato di salute nettamente migliore: a conti fatti, a oggi è proprio grazie ai servizi che l’Europa non è ancora entrata in recessione. Per quanto riguarda l’Italia, i settori per cui si teme di più sono quelli che hanno già riscontrato un forte ridimensionamento nei mesi scorsi: industrie come la chimica e la metallurgia hanno avuto cali produttivi drastici nei mesi scorsi.
Gli effetti della politica monetaria
C’è sempre una moltitudine di cause dietro a un andamento così negativo di economie così grandi. Viene quasi automatico, però, associare i dati sul PMI manifatturiero ai tassi di interesse della BCE. La politica monetaria continua a essere il tema centrale sui mercati finanziari, insieme al tasso di inflazione che questa cerca di contrastare. Se la Federal Reserve ha scelto di mettere un freno ai rialzi dei tassi nella sua ultima riunione sulla politica monetaria, la BCE non ha invece avuto dubbi nel procedere con un nuovo aumento. Per le imprese è diventato molto difficile poter prendere in prestito denaro a tassi che consentano comunque di ottenere un ritorno positivo sugli investimenti.
La riapertura cinese è anche stata un fattore importante nel corso del 2023. Alcune filiere industriali, negli anni scorsi, avevano dovuto cambiare le fonti dei loro approvvigionamenti. Con la Cina ancora sottoposta alle politiche zero Covid, le imprese europee dedite alla manifattura hanno potuto approfittare di un temporaneo calo della concorrenza. Il periodo attuale, però, è difficile: persino negli Stati Uniti, dove l’economia sta reggendo meglio alla politica monetaria, il Dow Jones Industrial è l’indice che ha fatto meno bene nel 2023 tra quelli principali.