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Ex-Presidente Fed: troppi occupati per ridurre l’inflazione

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Secondo l’ex-Presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ci vorrà ancora molto tempo prima che il tasso di inflazione possa scendere al di sotto del target del 2-3% medio annuo desiderato dalla banca centrale. L’economista, che ha guidato la Fed durante la Grande Recessione del 2008, si è espresso sul tema in un paper accademico pubblicato insieme a un altro grande nome dell’economia: Olivier Blanchard, ex-professore presso l’Università di Harvard e membro anziano del  Peterson Institute for International Economics.

I due economisti ritengono che la Federal Reserve non sia stata capace di prevedere il boom di inflazione che sarebbe seguito a un periodo di tassi quasi azzerati e una politica monetaria fortemente espansionista. Essendosi concentrata troppo sul mantenere un basso livello di disoccupazione, ora si trova a fronteggiare un mercato del lavoro estremamente resistente che spinge a rialzo la pressione sui prezzi al consumo. Per questo motivo, i due economisti ritengono che la strada rimanga lunga prima che gli Stati Uniti possano tornare a portare il tasso di inflazione verso i parametri desiderati.

Ben Bernanke è ricordato come uno dei Presidenti più incisivi nella storia della Federal Reserve

Una questione di occupazione

Il paper accademico di Bernanke e Blanchard si concentra soprattutto sugli effetti che un tasso di disoccupazione ritenuto insostenibilmente basso possa avere sull’inflazione. Nella teoria economica esiste il concetto di non-inflationary rate of unemployment: si tratta di un tasso di disoccupazione naturale all’interno dell’economia, che permetterebbe allo stesso tempo di massimizzare il numero di lavoratori ma di non portare ad alcun effetto sui prezzi. Un tasso di disoccupazione più basso porterebbe a una crescita dell’inflazione, mentre uno più alto porterebbe a effetti deflattivi.

Il paper si conclude addirittura dicendo che, a meno che non si riesca ad abbassare il livello di occupazione, è improbabile che la Fed possa riuscire a ottenere un sensibile e duraturo calo dell’inflazione. Questo significa che, secondo l’ex-Presidente della Federal Reserve, sarebbe letteralmente necessario creare disoccupazione per far tornare la pressione sui prezzi a un livello ottimale. Questo significa fare i conti con persone che perdono il proprio salario, famiglie in difficoltà e banche che vedrebbero un numero nettamente maggiore di crediti in sofferenza. Tuttavia, considerando che al momento ci sono circa 1.6 offerte di lavoro per ogni lavoratore disponibile negli Stati Uniti, non è una sorpresa che la domanda di lavoro sia ritenuta eccessiva.

Fino a questo momento, non sembra che i tassi in rialzo siano riusciti a contenere l’espansione del mercato del lavoro

Il commento di Bernanke sulle soluzioni all’inflazione

Dopo aver pubblicato la sua nuova ricerca, Bernanke ha parlato martedì al Brookings Institution. Nel suo discorso ha voluto approfondire le cause dell’attuale tasso di inflazione e le possibili soluzioni. L’errore chiave sarebbe stato quello di ritenere l’inflazione un fenomeno transitorio, come è stato chiamato in più occasioni dall’attuale Presidente della Fed, Jerome Powell. Bernanke commenta anche che, più a lungo si mantengono vive le cause che portano all’inflazione, più a lungo è necessario continuare a rialzare i tassi e adottare una politica monetaria restrittiva per riportare l’inflazione sui livelli desiderati.

Il celebre economista americano commenta che la politica monetaria del 2021, estremamente espansionista, sia stato l’errore più evitabile e più difficile da perdonare. Nota anche che, però, l’errore più grande a livello quantitativo siano state le politiche governative che hanno letteralmente fatto piovere denaro sull’economia americana. Bernanke e Bouchard non hanno definito quale sarebbe il tasso di disoccupazione necessario per evitare che ci siano ulteriori aumenti del tasso di inflazione, ma sono concordi nel dire che la Federal Reserve potrebbe riuscire a salvare la situazione senza affossare eccessivamente l’economia americana.

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