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Francia contro Shein: tasse fino al 50% per l’ambiente

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Un giovane parlamentare del partito Les Républicains in Francia ha lanciato una proposta già accolta con forte interesse dai gruppi politici di maggioranza, che potrebbe vedere la luce entro l’estate. Si tratta di una proposta che prevede tasse extra per le società del mondo fast fashion, considerate responsabili di miliardi di euro in costi annui per l’economia francese: costi per lo smaltimento dei capi d’abbigliamento gettati nell’immondizia, costi per mantenere le discariche dove questi abbigliamenti finiscono e sforzi extra necessari per raggiungere i target ambientali nazionali ed europei. Si tratterebbe di una tassa tra 5€ e 10€ per capo d’abbigliamento venduto, che può arrivare fino al 50% del costo del capo stesso.

Molte nazioni hanno già imposto dei limiti alla vendita o delle imposte extra sui prodotti usa-e-getta, per cui non si tratterebbe di una proposta inaudita. Oggi molti capi d’abbigliamento sono trattati proprio in questo modo, in un cambio di paradigma che sta cambiando il modo di concepire l’acquisto di vestiti. La Francia, considerata un baluardo dell’alta moda, vuole ergersi contro a questa nuova concezione e farlo sotto la bandiera della sostenibilità. Curiosamente si sta rendendo necessario discutere questa proposta direttamente all’interno del parlamento francese, malgrado ci fosse già un piano europeo per agire in questo senso. Un piano che, però, fino a questo momento non è stato concretizzato.

La sola Shein produce 1 milione di capi d’abbigliamento al giorno

Shein nel mirino dei regolatori francesi

Anche se la Francia intende schierarsi contro il consumismo eccessivo nel mondo dell’abbigliamento, c’è un nome specifico che ritorna più volte nelle conversazioni su questa proposta: è quello di Shein. Il colossale e-commerce cinese ha preso d’assalto la Francia, l’Italia e tutti gli altri paesi europei nel corso degli ultimi anni. L’intento è chiaro al punto che i principali fautori della nuova legge citano anche dei numeri precisi. Uno su tutti sono i 7.500 capi d’abbigliamento nuovi che ogni giorno finiscono sulla piattaforma di Shein, essenzialmente spingendo i consumatori a seguire mode sempre più brevi e a comprare capi realizzati in un modo sempre più scadente.

Attualmente solo una parte molto piccola dei capi d’abbigliamento riesce a essere riciclata. Molto spesso i rifiuti vengono inviati verso le discariche; quelli tenuti meglio vengono messi in casse di aiuti umanitari e inviati in paesi del terzo mondo, soprattutto l’Africa. Ma questo significa semplicemente delegare il costo ambientale dello smaltimento a questi paesi; pochissime società, tra cui vale la pena di menzionare Zara, si occupano in prima persona di farsi carico dei costi ambientali della loro filiera produttiva. Inevitabilmente, una grande quantità di questi vestiti finisce la sua vita in mare dove contribuisce ad alimentare il problema mondiale dell’inquinamento degli oceani..

Il fast fashion sta rapidamente diventando un problema sociale e ambientale

Proposta accolta dalle proteste sui social

Malgrado l’intento sociale e ambientale della nuova proposta di legge, sui social in molti si sono già schierati contro questa nuova imposta sul fast fashion. Tanti lamentano che si tratti di una proposta penalizzante per i più poveri, con il prezzo medio di vendita di un capo d’abbigliamento su Shein che in questo momento si aggira intorno ai 7€. Bisogna però pensare anche al fatto che la gran parte di questi capi sono realizzati in fibre sintetiche derivate dal petrolio, in fabbriche dove spesso si violano i diritti umani dei lavoratori. Con 100 miliardi di capi d’abbigliamento prodotti ogni anno, è facile notare come indubbiamente si finisca per consumarne più di quanto ce ne sia realmente bisogno. Il tutto per via di una moda che cambia sempre più rapidamente, anche grazie ai colossali sforzi di marketing di società del fast fashion come Shein, Temu e Boohoo.

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