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Gas naturale, i pozzi attivi negli USA scendono ai minimi da gennaio 2022 a causa dei prezzi in calo

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I segni della fine della crisi delle forniture di gas naturale sono sempre più evidenti. Mentre ci sono paesi che annunciano grandi progetti di espansione della loro produzione sul lungo termine, c’è già chi nel breve termine fatica a fare i conti con i prezzi in calo. In particolare fanno fatica gli Stati Uniti, che secondo i dati pubblicati in chiusura di settimana si ritrovano con il numero più basso di pozzi attivi per l’estrazione di gas da gennaio 2022 a oggi. I prezzi dei futures americani sono ulteriormente scesi del 7,01% nel corso dell’ultimo mese, mentre ci si aspetta un notevole aumento dell’output da parte della Cina e dei paesi della penisola araba.

Se appena un anno fa l’Unione Europea era in preda a una crisi delle forniture, con Italia e Germania che hanno pagato un prezzo particolarmente caro sia sul fronte della crescita che della stabilità, oggi la situazione del mercato appare completamente diversa. L’offerta in alcuni casi arriva addirittura a essere troppa, specialmente considerando che adesso anche la flotta mondiale di navi metaniere sta crescendo rapidamente. Sono sorti anche importanti nuovi centri europei per processare il gas naturale liquefatto, soprattutto in Germania, permettendo di importare sempre di meno attraverso i gasdotti che originano dalla Russia. Ora il più grande fornitore di gas europeo sono gli Stati Uniti, che lo scorso anno hanno rappresentato circa la metà di tutto il GNL approdato in UE.

Su base semestrale, i futures sul gas sono in rosso del 37,6%

Calano i pozzi attivi negli USA

La società di servizi energetici Baker Hughes, che si incarica settimanalmente di contare i pozzi di gas e petrolio attivi negli Stati Uniti per avere una previsione dell’offerta di mercato, rivela che l’estrazione di gas è ai minimi da gennaio 2022. Alla chiusura della scorsa settimana i pozzi attivi erano 116, mentre questa settimana sono 112; a essere chiusi sono stati pozzi legati alla produzione di shale gas, più costoso da estrarre, in Louisiana, Texas e Arkansas. Invece il numero complessivo di pozzi attivi di gas e petrolio si colloca attualmente a 624, in calo del 18% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. I prezzi elevati del petrolio continuano a spingere a rialzo l’attività di estrazione del greggio, ma il trend per l’estrazione di gas è ribassista.

Gli Stati Uniti sono grandi produttori di shale gas, cioè gas che si trova intrappolato in rocce sedimentarie di tipo sabbioso. Questa forma di gas naturale, essendo composta al 90% da metano, è considerata particolarmente inquinante; anche i processi necessari per l’estrazione non sorridono particolarmente alla sostenibilità, ma durante il periodo difficile dello scorso anno è stata una forma di gas importante per equilibrare il mercato. Adesso i prezzi di Borsa del gas non sono più sufficienti a coprire i costi di estrazione in molti casi, lasciando spazio ad altri produttori mondiali che godono di costi di produzione più bassi.

Grafico dei pozzi di gas attivi negli USA negli ultimi 3 anni (Elaborazione grafica: YCharts)

Trend opposto in Cina

Curiosamente, in Cina si sta verificando la situazione opposta. Secondo i dati pubblicati dall’ufficio nazionale di statistica, le imprese cinesi hanno estratto 41,7 miliardi di metri cubi di gas naturale tra gennaio e febbraio 2024. Si tratta di un aumento del 5,9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, guidato dal fatto che anche i consumi totali abbiano conosciuto un forte aumento. Infatti l’aumento della produzione domestica è stato accompagnato da un aumento delle importazioni, che sono cresciute addirittura del 23,6% su base annua. La Cina continua ad approfittare delle importazioni di gas russo a buon mercato, anche per ridurre gradualmente la sua dipendenza dal carbone.

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