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Goldman Sachs taglia previsioni di crescita del PIL in Cina
Dopo UBS, Bank of America e JPMorgan, anche Goldman Sachs decide di adeguare le sue previsioni sulla crescita in Cina. La celebre banca americana ora prevede che la crescita per il 2023 passi dal 6,0% al 5,4%, confermando che Wall Street non è entusiasta dei dati macroeconomici degli ultimi mesi. La ripartenza cinese sta faticando più del previsto, con molti analisti pronti a scommettere che Xi Jinping interverrà direttamente su questo tema con un nuovo pacchetto di misure per stimolare l’economia. Nel frattempo proseguono gli sforzi della banca centrale di mantenere il cambio con il dollaro nel range desiderato, con lo yuan oggetto di forti speculazioni nel corso delle ultime settimane.
L’adattamento delle stime di Goldman Sachs è interessante anche per le motivazioni fornite dalla banca. Gli analisti hanno commentato in dettaglio la propria decisione, fornendo delle spiegazioni basate direttamente sui dati macroeconomici pubblicati dall’ente nazionale cinese di statistica. Si teme anche per una serie di altri possibili eventi, tra cui un inasprimento ulteriore delle tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti. Questo rimane uno dei temi centrali che tiene gli investitori con il fiato sospeso, non soltanto per chi è direttamente esposto alle azioni cinesi.
Dati macroeconomici non incoraggianti
Wall Street a inizio anno era pronta a scommettere sulla ripartenza cinese. Dopo che Xi Jinping ha posto fine alla sua politica zero Covid, permettendo all’economia di riprendere il suo normale funzionamento, ci si aspettava un recupero veloce dei livelli di consumo e investimento. La realtà è stata molto diversa, a partire dalle stime stesse di Pechino sulla crescita: per i prossimi anni si prevede che la crescita media annua del PIL sarà intorno al 5%, un obiettivo distante dal ritmo a cui la Cina era abituata a crescere prima della pandemia.
Il mercato immobiliare, che rappresenta il 20-25% del PIL cinese, continua a rimanere molto lento e con prezzi in stallo. I consumi non sono ancora tornati sui livelli pre-pandemia e molte imprese internazionali nel frattempo hanno deciso di spostare i loro stabilimenti produttivi o di aprirne altri in nazioni diverse. Si sente sempre di più la necessità di diversificare il rischio e non lasciare che la Cina sia il nodo critico attraverso cui devono passare tutte le filiere produttive industriali.
Gli effetti di questa ripresa lenta si vedono anche in altri mercati, come quello del petrolio: il prezzo del greggio non ha conosciuto il rally rialzista che in molti si attendevano dopo la riapertura cinese, persino malgrado i ripetuti tagli alla produzione decisi dall’OPEC.
Intervento sì, ma non sufficiente
Nelle ultime settimane si è parlato molto della possibilità che il governo cinese possa intervenire direttamente a supporto dell’economia, con un pacchetto di misure volte a stimolare il mercato immobiliare e altri comparti importanti. Visto il tasso di inflazione annuo prossimo allo 0%, la Cina in questo momento ha la possibilità di investire sulla propria economia senza dover temere un aumento esorbitante della pressione sui prezzi. Secondo Goldman, però, non sarà sufficiente un pacchetto di stimoli per far ritrovare all’economia cinese il suo slancio nella crescita.
Sempre secondo gli analisti di Goldman Sachs, il problema essenziale sarebbe la fiducia in calo da parte dei consumatori e delle imprese. Le attese dei vari attori dell’economia per il futuro ne influenzano le azioni presenti, causando un effetto di “profezia auto-avverante”. Secondo Goldman Sachs, la situazione sarebbe giunta a un punto in cui anche una politica monetaria espansionista sarebbe sufficiente solo a limitare i danni causati dalla mancanza di ottimismo nell’economia cinese. Rimane da notare che, però, al momento nessuno sa quali siano i veri piani di Pechino. il piano di aiuti all’economia potrebbe essere più importante di quello che Wall Street si attende.