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Google, rilanciata negli Usa la class action sulla privacy di Chrome

Rilanciata negli Usa una class action che prende di mira la gestione della privacy da parte di Google relativa agli utenti che usano Chrome.

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I guai per Google sembrano non finire negli Stati Uniti, dove si troverà nella situazione di dover affrontare una nuova causa intentata dagli utenti di Chrome, che accusano l’azienda di aver raccolto i loro dati personali senza la dovuta autorizzazione. Anche dopo che hanno deciso di non sincronizzare i loro browser con il loro account Google.

Ma vediamo nel dettaglio cosa sta accadendo e quale impatto potrà avere questa nuova vicenda giudiziaria nei confronti della società.

Google, nuove accuse per i problemi sulla privacy

Ad accedere nuovamente i fari sulla gestione dei dati e della privacy di Google ci ha pensato la Corte d’Appello di San Francisco, negli Stati Uniti, che ha sostanzialmente capovolto il parere del giudice del tribunale di grado inferiore. Quest’ultimo ha respinto la class action che vede contrapposti alla società un gruppo di utenti che non avrebbero acconsentito alla raccolta dei dati effettuata da Chrome durante la loro navigazione online.

La decisione è stata presa nel corso della giornata di martedì 20 agosto con una maggioranza di 3 a 0 e fa seguito ad un accordo preso da Google lo scorso anno, con il quale si impegnava a distruggere miliardi di dati per risolvere una causa legale, che sosteneva che Alphabet – nello specifico una sua divisione – avrebbe monitorato le persone che pensavano di navigare in privato, anche quando utilizzano la modalità in incognito di  Chrome.

La presa di posizione di Google è stata immediata e ha subito sottolineato come non sia d’accordo con questa sentenza. La società è sicura che i fatti siano dalla loro parte. Chrome Sync permette agli utenti di utilizzare il browser senza problemi sui loro dispositivi e i controlli sulla privacy sono chiari.

L’avvocato dei querelanti, Matthew Wessler, ha espresso la propria soddisfazione ed attende con ansia l’avvio e lo svolgersi del processo. La class action è stata proposta dagli utenti di Chrome che dal 27 luglio 2016 non hanno sincronizzato i browser con il proprio account Google.

L’accusa mossa è che Google avrebbe dovuto rispettare l’informativa sulla privacy di Chrome, nella quale viene chiarito che gli utenti non hanno bisogno di fornire alcuna informazione personale per poter utilizzare Chrome. E che, soprattutto, Google non avrebbe ricevuto le suddette informazioni a meno che gli utenti non avessero attivato la funzione di sincronizzazione.

La prima decisione del tribunale

In un primo momento sembrava andare tutto per il meglio per Google. Il giudice del tribunale di grado inferiore aveva ritenuto, infatti, che la politica generale sulla privacy, che consente la raccolta di dati, era applicabile al caso in questione, poiché la società con sede a Mountain View, California, avrebbe raccolto le informazioni dei querelanti indipendentemente dal browser utilizzato.

Nella sentenza di martedì, il giudice del tribunale distrettuale Milan Smith ha affermato che tale attenzione era mal riposta. Secondo Smith, in questo caso, Google aveva un’informativa generale sulla privacy, ma promuoveva Chrome suggerendo che alcune informazioni non sarebbero state inviate a Google a meno che un utente non avesse attivato la sincronizzazione. Un utente ragionevole non avrebbe necessariamente capito di acconsentire alla raccolta di dati in questione.

La Corte d’Appello ha rinviato il caso al giudice distrettuale statunitense Yvonne Gonzalez Rogers di Oakland, California, che lo aveva archiviato nel dicembre 2022.

Ricordiamo che l’accordo di Google relativo alla possibilità di navigare con la funzionalità in Incognito ha permesso agli utenti di citare in giudizio l’azienda individualmente per danni. A seguito di questa sentenza alcune decine di migliaia di utenti, nella sola California, si sono mossi contro la società per tutelare i propri diritti. Il caso è Calhoun et al contro Google LLC, 9° Circuito della Corte d’Appello degli Stati Uniti, n. 22-16993.

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