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Google finisce nel mirino dell’antitrust Usa per la pubblicità sui siti
Nuovi problemi giudiziari per Google negli Stati Uniti, dove deve affrontare un procedimento per la gestione della pubblicità sui siti web.
Alphabet, la casa madre di Google, dovrà affrontare, nel corso della prossima settimana, un secondo processo antitrust. Questa volta il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha puntato il dito contro la metodologia utilizzata dal colosso dei motori di ricerca per monetizzare la pubblicità. Secondo il pubblico ministero sarebbe stato adottato un sistema che danneggia gli editori.
L’affaire Google rientra nel novero degli sforzi che l’amministrazione guidata da Joe Biden ha intrapreso per tenere a freno le big tech attraverso delle leggi antitrust. Ma soprattutto segue a ruota un’importante vittoria del Dipartimento di Giustizia in un causa separata dello scorso 5 agosto 2024. In quel caso i problemi si sono concentrati sul motore di ricerca di Google: questa volta a finire sul banco degli imputati è una tecnologia molto meno evidente, ma altrettanto importante. Quella relativa alla pubblicità sui siti web.
Google, questa volta a finire nel mirino è la pubblicità
A finire sotto la lente d’ingrandimento, questa volta, sono gli strumenti pubblicitari di Google, che permettono al motore di ricerca di fatturare qualcosa come 307,4 miliardi di dollari in pubblicità, il 75% del proprio fatturato.
Brian Wieser, consulente pubblicitario e analista finanziario, spiega che Google risulta essere di gran lunga il più grande venditore di pubblicità esistente al mondo. Tocca ogni parte del settore, se non direttamente, indirettamente. Secondo Wieser tutti hanno un interesse in Google in un modo o nell’altro.
Il Dipartimento di Giustizia cercherà di dimostrare che Google ha violato la legge antitrust statunitense nelle sue attività di pubblicità digitale. Un’eventuale vittoria preparerebbe il terreno per chiedere al giudice distrettuale statunitense Leonie Brinkema di ordinare lo scioglimento della società.
Gli enti antitrust accusano Google di dominare i mercati della tecnologia in particolar modo per quello che riguarda la pubblicità sui siti web. Google, infatti, collega i suoi strumenti per gli editori e quelli riservati agli inserzionisti arrivando a conquistare una posizione privilegiata di intermediario.
Google ha negato le accuse, affermando di non essere tenuta a condividere i vantaggi tecnologici con i rivali e che i suoi prodotti sono interoperabili con quelli offerti dai concorrenti.
La posizione dominante di Google
Il Dipartimento di Giustizia sostiene che Google controlli il 91% del mercato dei server pubblicitari, dove gli editori offrono spazi pubblicitari, oltre l’85% del mercato delle reti pubblicitarie, che gli inserzionisti utilizzano per pubblicare annunci, e oltre la metà del mercato degli scambi di annunci.
Secondo Google, invece, la quota di mercato sarebbe pari al 30% o meno in ogni segmento, escludendo la pubblicità sui social media, lo streaming TV e le app. Concorrenti di Google dal lato dell’inserzionista, come Trade Desk e Comcast e lato editore, come PubMatic, sono nella lista dei potenziali testimoni.
Il caso metterà anche in luce come la tecnologia pubblicitaria abbia influenzato le organizzazioni giornalistiche. Secondo uno studio della Northwestern University, un terzo dei giornali negli Stati Uniti è stato chiuso o venduto dal 2005 in poi. Secondo Jonathan Kanter, responsabile antitrust del Dipartimento di Giustizia, il giornalismo è minacciato proprio dal consolidamento del mercato pubblicitario.
Dirigenti attuali o precedenti di News Corp, di Daily Mail e di Gannett, che ha anche citato in giudizio Google, potrebbero testimoniare al processo. Da canto suo, invece, Google si è concentrata su piccole aziende ed editori, alcuni dei quali ha intenzione di chiamare come testimoni al processo. Secondo Alphabet, una rottura rallenterebbe l’innovazione, aumenterebbe le tariffe pubblicitarie e renderebbe più difficile la crescita delle piccole aziende.
Il modo in cui Google progetta e sviluppa la propria tecnologia pubblicitaria costituisce un aspetto centrale del processo, con potenziali testimonianze di oltre due dozzine di attuali o ex dipendenti e dirigenti, tra cui l’amministratore delegato di YouTube, Neal Mohan, ex dirigente pubblicitario di Google.