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Il più grande produttore di pannelli solari al mondo licenzia il 30% della forza lavoro

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Continua il periodo molto difficile per l’industria dei pannelli fotovoltaici, segnata da una crisi che affonda le sue radici in diversi eventi dello scorso anno: l’introduzione degli incentivi alla produzione negli Stati Uniti per difendere il mercato nazionale dalle importazioni, i prezzi sotto-costo in Europa e le misure indiane simili a quelle statunitensi per difendere le imprese manifatturiere nazionali. Una crisi che si sta sviluppando soprattutto in Cina, sede di 7 delle 10 aziende più grandi al mondo nel settore della produzione di pannelli fotovoltaici. Per quanto la Cina sia estremamente competitiva in termini di prezzi e qualità dei pannelli, sempre più governi stranieri si muovono per bloccare le importazioni e anche l’Unione Europea sta investigando su potenziali misure di questo genere.

Il più grande produttore di pannelli fotovoltaici al mondo, la cinese Longi, avrebbe già iniziato a tagliare alcuni posti di lavoro a novembre in risposta alla necessità di abbassare i costi. Questo è stato riportato da alcune fonti interne nel corso dei mesi passati, ma oggi è arrivato il vero colpo duro per i lavoratori: l’azienda si starebbe infatti preparando a tagliare il 30% della forza lavoro, nel tentativo di salvarsi da una crisi del comparto che non accenna a rallentare. Attualmente l’impresa impiega circa 80.000 lavoratori, soprattutto nel suo grande stabilimento produttivo di Xian nella parte centrale della Cina.

Gli Stati Uniti hanno proibito l’ingresso ai pannelli e alle componenti di Longi

Prezzi in calo e investimenti totalmente fermi

L’industria dei pannelli fotovoltaici ha una storia di cicli di forte espansione e forte contrazione dettata dalle decisioni governative, ma la crisi che il settore si trova ad affrontare oggi è particolarmente dura. Longi non ha dichiarato apertamente quante posizioni lavorative intenda tagliare, ma il riferimento del 30% è stato pubblicato da Bloomberg in seguito a dichiarazioni da parte di fonti interne rimaste anonime. Longi si limita a far sapere di stare “ottimizzando la sua forza lavoro” in un comunicato stampa, nel quale si legge che la decisione sarebbe stata presa per via della forte concorrenza nel mercato dei pannelli fotovoltaici e degli “adattamenti” a cui la domanda sta andando incontro.

Nel frattempo l’azienda sta anche attivamente facendo pressione sul governo di Pechino insieme a una serie di altri grandi produttori di pannelli fotovoltaici. L’obiettivo sarebbe quello di ottenere delle regolamentazioni che fissino un prezzo minimo per i pannelli, impedendo alle imprese di vendere a un prezzo inferiore ai costi di produzione. Attualmente la pratica di vendere sottocosto è piuttosto diffusa in Cina, per via degli stock di invenduto che si sono accumulati dall’introduzione delle misure per il controllo delle importazioni negli Stati Uniti. Secondo Bloomberg Intelligence, potrebbe essere necessario aspettare fino al 2025 prima che i produttori cinesi tornino a vedere dei margini positivi sul venduto.

La produzione di pannelli fotovoltaici è uno dei fiori all’occhiello della manifattura cinese

Si cerca la via verso gli Stati Uniti

Nella lotta di sanzioni e dazi tra Cina e Stati Uniti, c’è da anni chi prova a trarne vantaggio. Secondo un’inchiesta del Japan Times del mese scorso, componenti prodotte da Longi starebbero comunque entrando negli USA attraverso uno schema per circumnavigare i dazi. Questo sarebbe possibile grazie a Waaree Energies, il più grande produttore di pannelli fotovoltaici in India, che da tempo avrebbe iniziato ad assemblare pannelli prodotti con le componenti di Longi per poi inviarli negli Stati Uniti. Il pannello fotovoltaico risulta comunque un prodotto Made in India, che può evitare le barriere commerciali a cui sono sottoposti i prodotti cinesi quando vengono esportati verso gli Stati Uniti. I dati mostrano che l’export di pannelli indiani verso gli Stati Uniti è aumentato di 5 volte tra il 2022 e il 2023, costruendo una rotta commerciale che vale quasi $2 miliardi all’anno.

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