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Invesco: i fondi sovrani stanno puntando su bond e oro
L’11esima edizione del Sovereign Asset Management Study, una ricerca annuale condotta da Invesco sulle tendenze di investimento presso i fondi sovrani, rivela chiare similitudini tra l’atteggiamento dei gestori di questi fondi in tutto il mondo. L’indagine ha riguardato sia le opinioni e le previsioni dei gestori dei fondi sovrani, sia gli asset su cui stiano investendo per navigare la situazione attuale. Le obbligazioni e l’oro fisico sono emerse come le due scelte più comuni, soprattutto in virtù dei tassi di interesse elevati delle principali banche centrali del mondo.
La pubblicazione di Invesco è sempre una delle più attese dell’anno. Riguarda infatti 85 fondi sovrani, 57 banche centrali e 142 dei Chief Investment Officers più importanti al mondo. Complessivamente le entità interpellate dall’intervista gestiscono oltre 20 triliardi di dollari in asset, di fatto determinando una buona parte delle tendenze di mercato mondiali.
I risultati dello studio sono stati molto simili a quelli della ricerca condotta sulle banche centrali dal World Gold Council all’inizio di giugno. Banchieri centrali e gestori dei fondi sovrani si dimostrano molto vicini nel modo di leggere le variabili più importanti che influenzano l’economia in questo momento.
Oro e obbligazioni le scelte più frequenti
L’atteggiamento che emerge dall’intervista è piuttosto prudente. Anche se i mercati americani hanno registrato un ottimo anno fino a qui -con una performance positiva anche per le Borse europee-, i fondi sovrani si dimostrano riluttanti a investire sull’oro. La maggior parte preferisce puntare su strumenti poco volatili come oro e obbligazioni, anche considerando che massimizzare il rendimento è meno importante di minimizzare i rischi per gli investitori di questo calibro.
Vista la situazione attuale, con alti tassi di interesse e forti incertezze sulla crescita economica dei prossimi due trimestri, i gestori dei fondi più importanti stanno cercando sicurezza nelle asset class più stabili. Spicca soprattutto l’aumento degli investimenti in bond governativi, che sono passati da un rendimento prossimo allo zero a un rendimento più che interessante sulla scia dei rialzi dei tassi centrali negli ultimi 18 mesi.
Il 28% degli intervistati ha risposto che aumenterà la percentuale di obbligazioni in portafoglio. L’atteggiamento più comune prevede una gestione attiva del portafoglio obbligazionario, con pochi fondi che mostrano invece un atteggiamento “compra e dimentica”. Emerge anche un interesse notevole per i bond delle nazioni emergenti, con il 71% degli investitori che si attende una performance pari o migliore dei paesi emergenti rispetto ai mercati sviluppati nel corso dei prossimi tre anni. Il 29% vorrebbe aumentare già quest’anno la propria esposizione all’area Asia-Pacifico.
L’inflazione è la preoccupazione più comune
I risultati dello studio di Invesco non lasciano dubbi su quali siano le preoccupazioni più comuni presso gli investitori. L’86% dei gestori intervistati -per un totale di $21 trilioni in asset in gestione- risponde che si aspetta un tasso di inflazione più alto per tutto il prossimo decennio rispetto al decennio scorso. Allo stesso tempo ci si attende comunque che l’inflazione sia più bassa rispetto ai livelli attuali. Il fatto che l’inflazione si stia dimostrando resistente e difficile da combattere è anche la preoccupazione più comune tra i fondi sovrani, ed è vista come la minaccia più imminente alla crescita economica dei prossimi anni.
Per far fronte all’inflazione, molti fondi sovrani stanno diversificando il portafoglio con prestiti diretti anziché investimenti in obbligazioni quotate. Questo affinché, se i tassi centrali dovessero continuare aumentare, non aumenterebbero in contemporanea le perdite non realizzate sul valore dei bond in portafoglio.
Un altro elemento citato dalla gran parte degli intervistati come fonte di preoccupazione è la situazione geopolitica. Il 72% ritiene che sia un problema che riguarda la crescita economica del prossimo anno e addirittura il 79% ritiene che sarà un limite per la crescita mondiale nel corso dei prossimi 10 anni. Il risultato è che le banche centrali intervistate stanno investendo una percentuale crescente del proprio denaro in oro fisico piuttosto che in dollari; molte cercano anche di aggiungere al proprio portafoglio di riserve le valute più importanti dei paesi emergenti, in ottica di diversificazione. Tra queste spicca lo yuan cinese, che per i paesi BRICS sta diventando sempre di più un’alternativa al dollaro americano.