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Iran, picco nella produzione di petrolio e negoziati con USA
La produzione di petrolio in Iran ha toccato il suo massimo da 5 anni a questa parte, raddoppiando in pochi mesi. Se nell’autunno dello scorso anno la nazione stava producendo circa 800mila barili di petrolio al giorno, ora sono 1.6 milioni i barili giornalieri che vengono estratti e commercializzati dalla nazione sanzionata dagli Stati Uniti. Ma proprio la possibilità di maggiore flessibilità nelle esportazioni di petrolio, sulla scia dei negoziati con la Casa Bianca, potrebbe presto portare l’Iran a essere uno degli esportatori di rilievo sulla scala mondiale. Non ci sono ancora comunicazioni ufficiali, ma fonti vicine alla Casa Bianca ne hanno fatto parola con la stampa nel corso degli ultimi giorni.
Stando a queste indiscrezioni, il governo statunitense starebbe negoziando il rilascio di prigionieri e l’ottenimento di limiti sulla ricerca nucleare iraniana. In cambio, alla nazione sarebbe concessa la possibilità di tornare a esportare liberamente i propri barili di petrolio. Vale la pena di ricordare che, ai livelli attuali, l’Iran vale circa il 3% della produzione mondiale di petrolio. Un ritorno di questo player sui mercati internazionali potrebbe aggiungere altra pressione sul prezzo del barile, già penalizzato da una crescita mondiale che stenta a decollare.
Altra pressione ribassista per il petrolio
L’andamento del prezzo del barile è rimasto in calo da inizio anno, malgrado l’OPEC abbia ripetutamente tagliato la produzione nella speranza di supportare la quotazione. Una dopo l’altra, le notizie provenienti dall’economia internazionale hanno vanificato questi tentativi: prima le esportazioni a prezzi di favore dalla Russia verso i paesi alleati, poi la ripartenza cinese che si è dimostrata molto lenta e affannata, ora i negoziati tra Stati Uniti e Iran che prospettano di aumentare ulteriormente i livelli di offerta intorno al mondo. Per quanto Xi Jinping sembri vicino ad approvare un pacchetto di stimoli economici per favorire la crescita cinese, sembra che le notizie ribassiste per il petrolio siano sempre dietro l’angolo.
Non aiuta anche il fatto che l’Europa, uno dei maggiori importatori di petrolio al mondo, potrebbe essere diretta verso una recessione nel corso dei prossimi 12 mesi. L’economia ha già dato forti segni di rallentamento, ma la Banca Centrale Europea ha ancora le mani legate dall’inflazione: la pressione sui prezzi è troppo alta per pensare a un taglio dei tassi in questo momento. Mettendo tutto questo insieme, non sembra che per il momento ci siano delle serie prospettive rialziste per il Brent né per il WTI. Bisognerà comunque attendere l’esito dei negoziati, dal momento che per il momento non sono state prese decisioni concrete.
Per la EIA, la domanda diminuirà dal 2026
Malgrado tutti gli aggiustamenti di breve termine, il mercato del petrolio è comunque sempre cresciuto fino a questo momento. Più popolazione significa più necessità di mezzi di trasporto, di più logistica, generatori di elettricità e così via. Stando a un report pubblicato il 14 giugno dalla IEA, però, la domanda di petrolio per i trasporti inizierà a calare dal 2026 in avanti. Piove sul bagnato per i produttori, anche se la stessa International Energy Agency ritiene che la forte domanda di prodotti petrolchimici dovrebbe essere comunque sufficiente a pareggiare i conti e fornire stabilità ai consumi.
D’altronde è questione di tempo: sempre più veicoli sono elettrici, ora anche tra i camion dedicati al trasporto merci. Nei prossimi dieci anni ci si può soltanto aspettare che questo trend possa accelerare, anche grazie all’avvento di forme alternative di alimentazione per le navi come l’idrogeno verde. Per il mondo del petrolio, l’ultimo grande trend rialzista potrebbe essere ormai alle spalle: solo il tempo dirà chi ha ragione, ma è chiaro che la sostenibilità ambientale e gli idrocarburi abbiano una coesistenza difficile.