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L’abbandono del petrolio è solo una “pericolosa narrativa” dice il vertice dell’OPEC
Haitham Al Ghais, segretario generale dell’OPEC, mette in chiaro le cose riguardo a un possibile abbandono del petrolio da parte dell’economia mondiale: secondo Al Ghais, non è nient’altro che una “pericolosa narrativa”. Il vertice dell’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio ha scritto un articolo per il Middle East Economic Survey (MEES), pubblicato apertamente per raggiungere il pubblico più ampio possibile. La sua posizione è molto netta e mostra come i paesi OPEC continuino a rinnegare la correlazione tra il cambiamento climatico, il riscaldamento globale e i combustibili fossili. Haitham Al Ghais ha specificato come l’accordo di Parigi preveda di ridurre le emissioni e non di “scegliere le fonti di energia”, come se non fossero due cose strettamente legate.
In questo momento la posizione drastica dell’OPEC, totalmente chiusa a qualunque politica per una riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, sta ostacolando un accordo mondiale sulla plastica nelle negoziazioni guidate dalle Nazioni Unite al vertice di Ottawa. Lo scorso anno al COP 28 di Dubai si verificò addirittura uno scandalo, con Al Ghais che aveva chiesto ai paesi membri del cartello di ostacolare a qualsiasi costo un accordo che prevedesse la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili. Il problema è che i progressi devono essere fatti in un’ottica globale, soprattutto presso istituzioni istituzionali come le Nazioni Unite, quindi l’ostruzionismo di alcuni paesi rischia di pesare sul progresso di tutti.
“Una pericolosa narrativa”
Secondo Al Ghais, il motivo per cui la narrativa anti-petrolio sarebbe rischiosa riguarda l’equilibrio tra investimenti e domanda. Questo è un punto su cui effettivamente diversi analisti sono allineati. Da una parte, le politiche per l’abbandono della dipendenza dal petrolio stanno scoraggiando gli investimenti in nuove strutture per l’estrazione onshore e offshore. Al tempo stesso lo scorso anno si è notato un aumento della domanda e si prevede che almeno fino alla fine del decennio il mondo continui a comprare sempre più petrolio di anno in anno. Questo lo si deve soprattutto al ruolo dei paesi emergenti, che chiaramente con la loro crescita hanno bisogno di sempre più energia.
Se da una parte ci fosse meno offerta e dall’altra parte meno domanda, il prezzo sarebbe destinato a salire in fretta e questa situazione si sta parzialmente già verificando. Vitol Group, la più grande società al mondo nel trading di petrolio, prevede che il prezzo del barile tocchi i 100$ già nei prossimi mesi. Detto questo, è vero anche il contrario: più il prezzo del petrolio è alto, più sono alti gli incentivi a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Tanto l’Europa quanto la Cina stanno già facendo tutto il possibile per affrancarsi dai paesi esportatori di petrolio, anche in ottica di protezione degli interessi geopolitici nazionali.
Difficile la situazione per i paesi emergenti
I punti toccati da Al Ghais nel suo articolo in alcuni casi colgono nel segno. I paesi emergenti stanno vivendo una fase di rapido sviluppo e veloce inurbamento: si prevede che entro il 2030, mezzo miliardo di persone si muoverà dalle campagne alle grandi città. Questo è l’equivalente di 50 nuove città delle dimensioni di Londra, un trend guidato quasi esclusivamente dai paesi emergenti. Al tempo stesso, i paesi non-OECD rappresentano meno del 5% degli investimenti mondiali in energia rinnovabile. Di conseguenza, si rischia che la scarsità di investimenti in produzione di petrolio e l’aumento conseguente dei prezzi possa pesare soprattutto sui paesi che economicamente sono già oggi più deboli. Oggi una persona che vive in un paese emergente consuma in media due barili di petrolio all’anno, mentre ne servono nove a persona in media in Europa e addirittura ventidue negli Stati Uniti. In queste aree del mondo, è difficile che la crescita dell’energia rinnovabile rimanga al passo della domanda di petrolio.