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Le piccole isole del mondo si uniscono per le richieste al COP 29: stralcio dei debiti e più peso politico

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Le piccole nazioni insulari del mondo si preparano al loro quarto incontro, che si terrà la settimana prossima ad Antigua e Barbuda. Si tratta di un evento ripetuto soltanto una volta ogni 10 anni, per cui l’ultima volta che questi paesi si sono incontrati non era ancora stato firmato l’accordo di Parigi. Quell’incontro, però, fu molto importante per convincere le altre nazioni del mondo ad accettare un target più basso sul riscaldamento globale proprio in occasione del celebre accordo di Parigi. A far parte del comitato SIDS (Small Island Developing States) sono ben 39 paesi, oltre 18 nazioni associate che possono presenziare all’evento della prossima settimana.

Per le piccole nazioni insulari, il cambiamento climatico è concretamente una minaccia diretta alla sopravvivenza. L’innalzamento del livello dei mari dovuto allo scioglimento dei ghiacciai minaccia da vicino tanti paesi: Tonga, Tuvalu, Fiji, Samoa, Barbados, Isole Cayman e tante altre. Questi paesi però non hanno i fondi necessari, nella maggior parte dei casi, per poter pensare di costruire le grandi infrastrutture necessarie a fermare l’erosione delle coste e a costruire le strutture di contenimento necessarie per evitare di venire affondate. L’obiettivo del prossimo incontro sarà proprio quello di arrivare al COP 29 di Baku con un fronte unito e delle richieste concrete per i paesi più ricchi.

I paesi insulari sono i più esposti agli effetti del cambiamento climatico

Stralcio del debito e più peso politico

Secondo il programma di sviluppo delle Nazioni Unite, per fare in modo che i piccoli paesi insulari riescano a sopravvivere al cambiamento climatico sarebbe necessario finanziarli con almeno $10 miliardi all’anno. Si tratta di una cifra elevata, ma niente rispetto ai $2,4 triliardi all’anno che sarebbero necessari, sempre secondo le Nazioni Unite, per aiutare tutti quanti i paesi emergenti che si ritrovano indietro nella loro sfida all’adattamento verso il cambiamento climatico. Il problema è che il PIL totale di questi paesi è di appena $13,4 miliardi, per cui non è possibile finanziare questo sforzo soltanto con le risorse proprie.

Una strada possibile è quella di stralciare il debito dei paesi SIDS, una scelta che non sarebbe molto pesante per le tasche dei paesi più ricchi che possiedono le obbligazioni e i diritti agli interessi su questi prestiti. Al tempo stesso permetterebbe ai paesi SIDS di avere immediatamente molto spazio per finanziare una quantità importante di progetti, per lo meno per fare gli adattamenti di breve termine che in questo momento risultano più urgenti. La strategia è quella di agire insieme per avere un peso politico che, da solo, nessuno di questi paesi riuscirebbe ad avere.

Alcuni paesi SIDS sono già in una situazione critica

Una scelta che può pagare

Il COP 29 si è aperto con dei presupposti pessimi per i grandi passi avanti sulla sostenibilità di cui il mondo avrebbe bisogno, dopo che il presidente del paese ospitante ha già anticipato di voler proibire il dialogo sui combustibili fossili e su un possibile phase-out da petrolio e gas naturale. Il presidente stesso del COP 29 ha alle spalle una carriera ventennale nel settore dei combustibili fossili, per cui è altamente improbabile che si facciano dei passi in avanti su questo tema o sulla plastica. Invece spesso i paesi di tutto il mondo sono stati felici di pulire la propria coscienza staccando grandi assegni ai paesi in via di sviluppo, ed è molto probabile che i SIDS riescano a sfruttare queste dinamiche per ottenere quantomeno lo stralcio dei propri debiti sovrani.

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