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Meta Platforms ha speso 5 miliardi per la privacy. Ma non la salvano da nuove accuse

Nuovi problemi per Meta Platforms, accusata di non gestire correttamente i dati raccolti per la pubblicità. Ed è accusata di violazione della legge sul diritto d’autore.

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Meta Platforms finisce sotto i riflettori delle autorità giudiziarie in Europa e negli Stati Uniti per due diversi motivi. Nel Vecchio Continente sono sorti nuovi problemi relativi alla gestione dei dati raccolti per la pubblicità; negli Usa, invece, sono state sollevate delle accuse in relazione all’utilizzo dei dati protetti da copyright per istruire il modello di linguaggio di intelligenza artificiale Llama.

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di comprendere quali siano i problemi che affliggono Meta Platforms e la sua controllata Facebook.

Meta Platforms, i problemi con la raccolta dati di Facebook

La Corte Suprema europea ha stabilito che Meta Platforms deve limitare l’uso dei dati personali raccolti attraverso Facebook per le pubblicità mirate. Le massime autorità Eu ha sostenuto la tesi di Max Schrems, attivista austriaco per la privacy, che ha affermato di essere stato preso di mira dalla pubblicità grazie alla profilazione dei suoi dati personali da parte di Meta Platforms.

Il tribunale austriaco ha quindi chiesto consiglio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) con sede a Lussemburgo, che proprio oggi 4 ottobre 2024 ha dato ragione a Schrems. Secondo la CGUE, un social network online come Facebook non può utilizzare tutti i dati personali ottenuti a fini pubblicitari mirati, senza limitazioni di tempo e senza distinzioni quanto alla natura dei dati.

I giudici hanno affermato che il principio di minimizzazione dei dati previsto dalle norme sulla privacy dell’UE, noto come Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), stabilisce proprio questo principio.

Meta Platforms ha risposto alle accuse sottolineando di aver investito più di 5 miliardi di euro per integrare la privacy nei suoi prodotti e di non utilizzare categorie speciali di dati forniti dagli utenti per personalizzare gli annunci, mentre agli inserzionisti non è consentito condividere dati sensibili.

Un portavoce di Meta Platforms ha inoltre ribadito che tutti coloro che utilizzano Facebook hanno accesso a un’ampia gamma di impostazioni e strumenti che consentono di gestire il modo in cui vengono utilizzate le loro informazioni.

Katharina Raabe-Stuppnig, l’avvocato di Schrems, ha dichiarato che a seguito di questa sentenza, solo una piccola parte del pool di dati di Meta Platforms potrà essere utilizzata per la pubblicità, anche quando gli utenti acconsentono agli annunci. Questa sentenza si applica anche a qualsiasi altra società di pubblicità online che non abbia rigide pratiche di cancellazione dei dati.

Meta Platforms accusata di violare i diritti d’autore

Ma i problemi di Meta Platforms non finisco qui. La casa madre di Facebook si trova al centro di una proposta di class action negli Usa promossa dallo scrittore Christopher Farnsworth, che ha accusato la big tech si aver fatto un uso improprio dei suoi libri e di quelli di altri autori per addestrare il modello di linguaggio di intelligenza artificiale Llama.

Farnsworth ha accusato Meta Platforms di aver fornito a Llama, che alimenta i suoi chatbot di intelligenza artificiale, migliaia di libri piratati per insegnargli come rispondere alle richieste umane.

Altri autori, tra cui Ta-Nehisi Coates, l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee e la comica Sarah Silverman, hanno intentato azioni simili contro Meta Platforms presso lo stesso tribunale per il presunto utilizzo dei loro libri nella formazione sull’intelligenza artificiale.

Il caso di Farnsworth – portato avanti dal grande studio legale Lieff Cabraser Heimann & Bernstein, specializzato in azioni collettive – è stato avviato dopo che un giudice federale aveva criticato l’avvocato principale degli autori nel caso precedente e aveva consentito al famoso avvocato David Boies e ad altri avvocati del suo studio Boies Schiller Flexner di unirsi al team dei querelanti.

Diversi gruppi di titolari di copyright, tra cui scrittori, artisti visivi ed editori musicali, hanno fatto causa a importanti aziende tecnologiche per l’uso non autorizzato del loro lavoro per addestrare sistemi di intelligenza artificiale generativa. Le aziende hanno sostenuto che la loro formazione di intelligenza artificiale è protetta dalla dottrina del copyright del fair use e che le cause legali minacciano la fiorente industria dell’intelligenza artificiale.

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