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Ministero della Difesa cinese: pronti a fermare con la forza l’indipendenza di Taiwan

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La questione taiwanese è arrivata a un punto di estrema tensione geopolitica dopo i commenti rilasciati oggi dal Ministro della Difesa della Repubblica Popolare Cinese. Dong Jun ha apertamente detto che il governo cinese è pronto a intervenire con la forza per difendere la One China Policy, cioè l’idea che la Cina sia soltanto una e che non esista un’identità separata taiwanese. Il messaggio non è rivolto soltanto al nuovo presidente di Taiwan, ma anche agli Stati Uniti e a tutti i partner internazionali di Taipei. Le tensioni tra Cina, USA e Taiwan vanno ormai avanti da oltre due anni, ma è arrivato un punto in cui si teme che realmente da un giorno all’altro l’esercito cinese possa invadere l’isola in armi.

Taiwan è un tema di scontro molto forte tra le superpotenze mondiali, dal momento che gli Stati Uniti hanno promesso di difendere l’isola con tutte le loro risorse. Gli USA sarebbero pronti a cercare uno scontro frontale con l’esercito cinese nel caso di un tentativo di invasione, cosa che avvicinerebbe il mondo alla Terza Guerra Mondiale in una questione di poche ore. Per questo, rispetto ad altri conflitti già in corso come quello a Gaza o quello in Ucraina, gli analisti politici ed economici ritengono che le conseguenze di un’invasione cinese a Taiwan sarebbero di diversi ordini di grandezza più significative.

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Accuse e minacce si intensificano

Dong Jun ha iniziato il suo discorso accusando i separatisti taiwanesi del Partito Democratico Progressista che ha vinto le ultime elezioni. Il programma elettorale del nuovo presidente verte proprio sul rafforzamento dell’identità taiwanese e sul cambiamento della Costituzione per cancellare le tracce che ancora risalgono al periodo della guerra civile in Cina. Il Ministro della Difesa cinese ha chiamato questi separatisti “traditori della patria” e ha promesso che la Cina interverrà in modo “risoluto e con la forza” per fermare ogni tentativo di portare il livello di indipendenza di Taiwan oltre quello di cui l’isola gode già attualmente. Per evitare uno scontro diretto con la Casa Bianca, Dong Jun non ha additato direttamente gli Stati Uniti; ha però specificato in modo molto chiaro che i suoi commenti si estendono a “chiunque” provi a separare Taiwan dalla Cina.

Per smorzare i toni, Dong si è detto estremamente favorevole a una riunificazione pacifica -essenzialmente una resa totale da parte di Taiwan per tornare a far parte della Cina-. Come “nemico della pace” ha additato l’esercito taiwanese, provando a far passare la causa cinese come quella della pace ostacolata dalla resistenza di un gruppo di estremisti. Questa sembra essere la linea che il governo cinese vuole dare al suo tentativo di aggredire l’isola, dove la grandissima maggioranza degli abitanti -come dimostrano i risultati delle ultime elezioni- non sarebbero favorevoli a un piano di riunificazione. Di recente il governo cinese ha anche tagliato i ponti commerciali con i paesi che riconoscono l’indipendenza cinese, altro elemento che indica come l’escalation sia in corso a pieno ritmo.

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La risposta internazionale

Il nuovo presidente taiwanese, Lai Ching-te, ha subito ribadito che Taiwan è già indipendente e che non ha bisogno di dichiarare questa indipendenza in modo formale o di chiedere il permesso a Pechino. Ha anche etichettato i commenti del Ministro della Difesa cinese come “provocatori e irrazionali“, cosa che evidenzia come ormai i due governi siano ai ferri corti sotto ogni punto di vista. Attualmente meno del 10% dei taiwanesi sarebbe favorevole alla riunificazione, appena il 3% si riconosce come “cinese” e oltre il 67% degli abitanti dell’isola si riconosce come taiwanese. Per il momento manca invece la risposta degli Stati Uniti, quella che sarà probabilmente la più indicativa di quanto i due paesi siano vicini a un conflitto armato in grado di cambiare il corso della storia umana.

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