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Petrolio, Cina vale il 65% dell’aumento di domanda nel 2023

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La IEA (International Energy Administration) ha pubblicato stamattina il suo report mensile sull’andamento del mercato del petrolio. Si nota subito un dato interessante: la IEA ritiene che a settembre la domanda di petrolio sia arrivata a 17,1 milioni di barili al giorno, un record nella storia cinese. Secondo i numeri del report, la Cina sta pesando enormemente sull’aumento della domanda mondiale di petrolio. La IEA si attende che il 2023 si chiuda con una domanda in aumento di 2,4 milioni di barile al giorno rispetto al 2022. Di questo aumento, addirittura il 65% (1,8 milioni di barili) sarebbe proprio legato al rimbalzo della domanda cinese.

La direzione è totalmente opposta per quanto riguarda le nazioni sviluppate dell’OECD, dove invece si prevede un calo della domanda durante il 2024. Anche per questo motivo, le stime della IEA parlano di un aumento di “soli” 904mila barili al giorno della domanda durante il prossimo anno. Se le nazioni sviluppate hanno ormai oltrepassato il picco della domanda di petrolio, da parte delle nazioni in via di sviluppo -soprattutto Cina e India- si continua a notare una crescita del consumo di combustibili fossili. Per questo motivo i prezzi si muoveranno soprattutto in base all’evoluzione dell’offerta, che attualmente rimane segnata da politiche OPEC di tagli ai tassi delle esportazioni.

L’offerta fa timidi passi avanti

La IEA rivela che l’offerta mondiale di barili è stata di 102 milioni al giorno durante il mese di ottobre, per cui al di sotto della domanda. Il dato è in linea con le stime fornite dall’OPEC e quelle dell’EIA statunitense, anche se con alcune differenze rispetto alla distribuzione delle quote di produzione intorno al mondo. Il mese scorso si è dunque chiuso con un aumento della produzione di 302mila barili al giorno, raggiungendo un record storico anche sotto questo profilo. La crescita è attribuibile soprattutto ai paesi non-OPEC, in primo luogo Brasile e Stati Uniti. Le due nazioni stanno cercando di approfittare dei bassi volumi di offerta da parte del cartello OPEC per incassare margini elevati sulle loro esportazioni, calmierando il mercato e mantenendo i prezzi sotto ai 90$ per barile.

Nel frattempo, in controtendenza rispetto ai dati americani, la IEA ritiene che a ottobre ci sia stato un calo dell’export russo. Questo è un tema difficile da monitorare, anche per via delle sanzioni imposte al Cremlino e di tutti i modi con cui Mosca sta tentando di aggirarle. La IEA conferma comunque che i ricavi russi siano stati di $18,34 miliardi di dollari, indicando dunque un prezzo del barile più elevato rispetto al price cap di 60$ al barile imposto dal G7 e dall’Unione Europea. Per quanto riguarda le scorte mondiali di barili, si rimane molto vicini ai minimi storici: 9.9 milioni di barili.

Calano i margini per le raffinerie

Uno dei trend importanti di inizio anno sono stati i margini record delle raffinerie di petrolio, segnati soprattutto dal fatto che gli impianti operativi fossero insufficienti per stare al passo con la domanda. La IEA e tutti i principali attori del mercato del petrolio monitorano il cosiddetto cracking spread, che misura la differenza tra i prezzi dei barili di petrolio e i prezzi dei barili di prodotti raffinati. Sembra che il mercato abbia ritrovato a pieno la sua capacità di processare il greggio, anche grazie ai bassi livelli di offerta.

La IEA fa notare anche che sembra essersi abbassato il premio per il rischio di fine ottobre, quando i prezzi erano aumentati in risposta all’inizio del conflitto tra Israele e Hamas. Ora i mercati sembrano convinti del fatto che i principali esportatori di petrolio, a cominciare dall’Iran, resteranno fuori dal conflitto. Da ultimo, la IEA fa notare che l’offerta mondiale di petrolio sta beneficiando delle scoperte dei giacimenti in Guyana: anche grazie alla piccola nazione sudamericana che sta gradualmente diventando una potenza petrolifera, la traiettoria complessiva dell’offerta è a rialzo anche malgrado le politiche di tagli alla produzione dell’OPEC.

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