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Petrolio, cresce l’offerta: l’Arabia Saudita taglia i prezzi

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La produzione di petrolio continua a crescere più delle attese, soprattutto all’interno dei paesi OPEC. Malgrado il cartello dei principali paesi esportatori fissi delle quote di produzione per ogni paese membro, un’attività di estrazione in forte aumento in Africa sta colmando il gap tra le quote e l’effettiva produzione di paesi come Angola, Nigeria e Iraq. In un momento in cui il prezzo del barile continua a oscillare intorno a quota 75$, senza prendere una direzione forte, sembra che i mercati continuino a valutare da una parte l’eccesso attuale di offerta e dall’altra la possibilità che la situazione in Medio Oriente possa degenerare con un potenziale conflitto in Yemen o in Iran. Con le petroliere che stanno evitando il canale di Suez, per i paesi del Golfo sta anche diventando più complicato gestire la catena logistica delle spedizioni.

La prima mossa è arrivata dall’Arabia Saudita, che ha deciso di tagliare il prezzo ufficiale di vendita dei barili di petrolio in consegna a febbraio. Aramco ha deciso di abbassare i prezzi proprio per via della forte concorrenza tra i produttori, con nuova capacità estrattiva che sta venendo aggiunta a un ritmo sempre più alto intorno al mondo. Dopo i tagli di oggi, il prezzo dell’Arab Light Crude -la forma di petrolio grezzo più venduta dall’Arabia Saudita- è sceso al suo prezzo più basso degli ultimi 27 mesi. Sembra dunque che i tagli volontari alla produzione di Arabia e Russia, almeno per il momento, non stiano riuscendo a compensare una domanda che rimane debole sia dalla Cina che dai principali importatori Occidentali.

I livelli americani di scorte di petrolio rimangono molto alti

Aumenta la concorrenza tra i paesi OPEC

Il cartello OPEC è stato creato appositamente affinché i principali paesi esportatori di petrolio possano stabilire i livelli di offerta intorno al mondo, influenzando direttamente i prezzi con le loro decisioni. A ogni paese membro è assegnata una quota, ed è vietato produrre più petrolio di quanto la quota stabilisca. Nel corso del tempo, però, si è venuta a creare una discrepanza sempre maggiore tra le quote assegnate a ciascun paese e la quantità di petrolio effettivamente esportata: prima in Venezuela, per via del disastro economico venezuelano degli ultimi tre decenni; poi in Iran e in Russia, per via delle sanzioni internazionali, e infine in Africa dove mancano gli investimenti necessari per aumentare la produzione.

Ora che il prezzo del barile è tornato a essere una preoccupazione importante per le economie Occidentali, sempre più investimenti vanno verso i paesi africani che hanno ancora margine per produrre di più all’interno della propria quota assegnata dall’OPEC. L’Angola ha addirittura iniziato a collaborare direttamente con la Cina, abbandonando l’organizzazione. In Nigeria stanno arrivando grandi investimenti dalla Germania, la Guyana è diventata un fortissimo esportatore non-OPEC in meno di tre anni, e in Venezuela sono state alleviate le sanzioni imposte dagli Stati Uniti. In abbinamento al fatto che il Cremlino riesce sempre di più a evitare i limiti internazionali posti all’esportazione di petrolio, l’eccesso di offerta ha costretto l’Arabia Saudita a tagliare i suoi prezzi per continuare a mantenere alto il volume di ordini.

L’Arabia Saudita è il leader de facto dell’OPEC

Blinken cerca di calmare le acque in Medio Oriente

Tony Sycamore, analista di IG Group, ha fatto un’analisi molto tagliente della situazione: analizzando i livelli record di scorte, la debole crescita cinese e l’aumento dell’offerta di petrolio, ritiene che focalizzandosi solo sui fondamentali sarebbe “impossibile non essere bearish” sul prezzo del barile in questo momento. Fa anche notare, però, che rimane una variabile imprevedibile da tenere in considerazione: le tensioni in Medio Oriente. Con gli attacchi di Israele sulla Striscia di Gaza che continuano a intensificarsi, si sta scaldando la situazione in Yemen, in Iran e in Iraq. Attualmente il Segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, sta incontrando i leader arabi per provare a calmare le acque e rassicurare i mercati.

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