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Siemens Energy contro il protezionismo: CEO favorevole all’import di turbine eoliche cinesi

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Il CEO di Siemens Energy ritiene che le importazioni dalla Cina non debbano essere considerate un problema per l’Unione Europea. Secondo Christian Bruch, per quanto possano causare dei problemi alle società europee che si occupano di turbine eoliche e pannelli fotovoltaici, la velocità a cui l’Unione Europea può avanzare nella transizione energetica senza Cina è troppo lenta. Il caso è molto interessante, considerando anche che la società tedesca l’anno scorso ha dovuto chiedere un bail-out per salvarsi dalla bancarotta. Il caso è stato dovuto in parte ai difetti di fabbricazione delle turbine di Siemens Energy e in parte proprio ai prezzi più bassi dei produttori cinesi.

In questo momento l’Unione Europea sembra divisa tra due scelte inconciliabili: quella di fare de-risking dalla Cina, termine utilizzato ampiamente dalle autorità di Bruxelles, oppure continuare a fare affidamento sull’import cinese. “De-risking” è un termine che indica il rischio eccessivo di affidarsi a un solo paese come fornitore, con il rischio di avere interruzioni significative della supply chain come è avvenuto durante la pandemia. Nel concreto, però, si tratta soprattutto di aiutare i produttori europei di pannelli e turbine che hanno costi di produzione significativamente superiori a quelli degli esportatori cinesi.

La Cina è per distacco il principale esportatore di pale eoliche e pannelli solari al mondo

Siemens Energy difende l’import

Secondo il CEO di Siemens Energy, la velocità a cui avanza la transizione energetica dovrebbe essere messa davanti all’interesse di difendere i produttori europei. L’Unione Europea vorrebbe i pannelli fotovoltaici e le turbine eoliche che arrivano dalla Cina, ma non vorrebbe la concorrenza che ne deriva. Nel momento in cui si lascia la porta spalancata all’import cinese, tutto il mercato passa nelle mani dei pannelli e delle turbine cinesi dal momento che a parità di performance possono costare il 30-50% in meno rispetto alle soluzioni proposte dai produttori europei.

Di recente l’Unione Europea ha anche lanciato un’investigazione sui produttori cinesi di pannelli fotovoltaici e pale eoliche, affermando che la differenza di prezzo tra imprese europee e imprese cinesi sarebbe dovuta strategie di concorrenza sleale e incentivi pubblici da parte di Pechino. Sono decine le imprese tedesche e di altri paesi del Nord Europa che nei primi anni 2000 erano grandi produttori di turbine e pannelli, ma che oggi si ritrovano a fare licenziamenti e in alcuni casi a dichiarare bancarotta per via dell’import low-cost. Secondo Bruch, sarebbe possibile sfruttare la connessione tra i due paesi e lavorare insieme per cercare di abbattere i costi ma difendere le imprese europee.

All’inizio degli anni 2000, erano le imprese europee a esportare questi prodotti verso la Cina

Impossibile un addio senza problemi?

Il CEO di Siemens Energy fa notare che, anche nel caso in cui l’Unione Europea dovesse decidere di affrancarsi dalla Cina, la situazione sarebbe molto complessa. L’azienda tedesca, ad esempio, deve al mercato cinese solo l’1,5% del proprio fatturato ma dipende quasi interamente dalle importazioni di terre rare, minerali e magneti dalla Cina. Questa è una delle ragioni chiave per cui i prezzi dei produttori cinesi sono più bassi di quelli europei, a prescindere dalle pratiche sulla concorrenza. Se l’UE dovesse decidere di alzare i dazi verso la Cina, Pechino potrebbe decidere di sospendere le esportazioni di queste forniture essenziali verso l’Europa; a quel punto non soltanto i produttori europei sarebbero comunque in una situazione critica, ma nel frattempo si bloccherebbe anche la transizione energetica.

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