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Alle aziende USA la Cina non piace più. Caccia a nuova strategia
L’economia cinese e il suo futuro continuano a essere motivo di grande preoccupazione tra gli analisti statunitensi. L’ultimo dispaccio in ordine temporale è quello pubblicato da Reuters, che parla della ritrosia di società USA che storicamente hanno investito in Cina anche in impianti produttivi, a investire da qui in avanti. O meglio, a farlo da qui in avanti. Una situazione che, se confermata, sarà l’ennesimo problema che si aggiunge a quelli tra Stati Uniti e Cina di carattere commerciale e che oggi ha preso la forma di ispezioni fiscali nelle sedi di Foxconn, primo fornitore di Apple.
In sintesi, le aziende che hanno già investito in Cina non sarebbero più disposte a farlo oggi e hanno addotto motivazioni legate proprio al clima politico – di ferri corti – che continua a montare e che continua a impensierire anche gli investitori. Le preoccupazioni principali, per il momento, sembrano essere però concentrate a Pechino, con i capitali stranieri che come in tutte le economie emergenti sono da considerarsi uno dei carburanti principali.
Gli americani si tirano indietro? Ancora problemi tra Cina e USA
Ci sono ancora problemi tra Cina e USA e la cosa starebbe facendo tirare i remi in barca a aziende, importanti e meno importanti, che in passato avevano già investito all’interno della Repubblica Popolare Cinese. Andiamo con ordine: Reuters ha intervistato diverse società di questo tipo, che hanno tutte o quasi risposto che oggi non aprirebbero più impianti produttivi in Cina. Il motivo addotto, per tutti o quasi i casi, è la sensazione che sarà sempre più difficile sia trovare dipendenti disposti a lavorare per gruppi americani, sia ricevere un trattamento equo come quello riservato alle aziende cinesi.
Al centro, dunque, l’attrito tra le due superpotenze che per ora – e fortunatamente – ha preso soltanto la forma di un conflitto sul piano commerciale: limite alle importazioni di chip e hi-tech per la Cina, restrizioni nel trasferimento di know how e, per ritorsione, un clima di maggiori controlli e di possibili interventi sulle società che operano in Cina. Il risultato immediato potrebbe punire un’economia cinese già in difficoltà. Quello più di medio e lungo periodo è la necessità, per le imprese USA, di trovare paesi esteri ai quali destinare i propri investimenti. Il Messico è la destinazione naturale, paese che è tornato a essere dal 2021 la prima destinazione degli investimenti esteri delle aziende USA. Ma non basterà, se la guerra commerciale con la Cina dovesse inasprirsi.
Una questione geopolitica, che può trasformarsi in questione economica
Della questione si discute ormai da tempo: l’outflow importante in termini di investimenti degli USA in Cina non è iniziato ieri e con ogni probabilità non si arresterà domani. Qualcuno ha adocchiato l’India, che è stata lanciata come rimpiazzo della Cina per questo tipo di operazioni. Per quanto il trend comunque sia chiaro, è difficile per ora prendere per buone le analisi che – ricorrendo al solito modello superfisso – non tengono conto di azioni e reazioni che le modificate condizioni inevitabilmente porteranno.
La Cina, che per più di un decennio intero è stata presentata al grande pubblico – e anche a quello più sofisticato, come unica possibile fabbrica del mondo, oggi viene presentata come un paese che affonda a ritmo accelerato. La verità, come spesso accade, sarà probabilmente nel mezzo. La Cina ha tanti problemi, la guerra commerciale negli USA sta peggiorando i suddetti problemi, ma da qui a mandare in pensione un paese che ha trainato la crescita mondiale così a lungo, almeno ad avviso di chi vi scrive, manca tanto. Così come, sempre chi vi scrive, ritiene per ora molto difficile trovare un rimpiazzo – almeno sul breve e brevissimo periodo.