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Argentina senza un piano per i bond in scadenza nel 2024

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Luis Caputo, Ministro dell’Economia del nuovo governo formato da Javier Milei, arriva da una settimana di riunioni con i vertici delle banche argentine. Durante gli incontri si sono scambiate delle idee su come procedere con la strategia di gestione del debito, un tema che indubbiamente è di primaria importanza per evitare il default nei prossimi mesi. L’Argentina è la più grande debitrice del Fondo Monetario Internazionale, con oltre $110 miliardi di debiti soltanto nei confronti di questa istituzione. Tra questi debiti e quelli legati alle obbligazioni del Tesoro, complessivamente ci sono $75 miliardi da trovare o più probabilmente da rinnovare al futuro. Lo stesso Caputo, in un commento pubblico, ha dichiarato che in questo momento “non ci sono proposte concrete” su cosa fare con i debiti in scadenza.

Gli incontri con il settore bancario sono serviti proprio a raccogliere diverse idee da diverse istituzioni, ascoltando le parti per comprenderne le esigenze. Un tema importante da ricordare è che, in questo momento, il peso argentino sta perdendo rapidamente valore contro il dollaro: è l’effetto del timore dei mercati che questa valuta possa essere completamente estinta dal nuovo governo, e del fatto che l’amministrazione Milei non abbia intenzione di difendere artificialmente un cambio diverso da quello di mercato. Il nuovo Presidente aveva già annunciato, durante la sua campagna elettorale, che per arrivare a una posizione migliore sarebbe servita una cura dolorosa e di diversi anni.

I bond in scadenza stanno diventando una questione pressante per l’Argentina

Ipotesi di rimandare tutti i bond fino al 2025

Caputo e il governo nel complesso non hanno voluto fornire dei dettagli sulle conversazioni che ci sono state in questi giorni, ma alcune delle banche coinvolte hanno parlato con la stampa internazionale in maniera anonima. Una delle ipotesi che hanno preso piede è quella di scambiare tutte le obbligazioni in scadenza nel 2024 e nel 2025 con nuove obbligazioni -probabilmente dal rendimento più alto- in scadenza nel 2027. La speranza dell’amministrazione Milei, in questo caso, sarebbe quella di riuscire a ottenere una ristrutturazione del debito e dell’economia argentina nel frattempo. Se la nazione dovesse riuscire a conquistare la fiducia internazionale nei prossimi due anni, potrebbe diventare decisamente più semplice ottenere una nuova iniezioni di liquidità da investitori esteri.

Nel frattempo è estremamente interessante riconoscere il fatto che venerdì il governo avrebbe dovuto incontrare il Fondo Monetario Internazionale per discutere la situazione del debito, ma alla fine i dialoghi sono stati rimandati. Il problema pressante per l’Argentina è che il governo vorrebbe mettere in piedi delle riforme per migliorare la situazione della nazione a lungo termine, ma nel breve termine ci sono già dei debiti pressanti che richiedono un intervento immediato per evitare il default. Una politica economica che riesca a combinare entrambe queste necessità non sembra facile da trovare.

Grafico del cambio USD/ARS

Un problema da $400 miliardi

I debiti complessivi dell’Argentina nei confronti di investitori internazionali e nazionali, in questo momento, ammontano a oltre 400 miliardi di dollari. L’effetto-Milei sta svalutando il peso, cosa che rende questi debiti ancora più onerosi quando misurati con la valuta nazionale. Il governo ha deciso di avvicinare il cambio ufficiale a quello del mercato nero, nella speranza che questa mossa aiutasse a favorire le riconversioni di peso in dollari.

Secondo Milei e i principali economisti argentini, però, la situazione rimarrà dura almeno fino ad aprile: questo dovrebbe essere il mese in cui arriveranno i dollari delle vendite internazionali di soia, di cui l’Argentina è il più grande esportatore al mondo. Da quel momento in avanti la situazione dovrebbe stabilizzarsi, ma fino ad aprile rimarrà una lotta per cercare di finanziare i debiti in scadenza con nuovi debiti: tra le ipotesi, anche quella di emettere nuovi bond indicizzati al tasso di inflazione.

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