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Attacchi alle raffinerie russe con droni ucraini: fermata raffineria da 4 milioni di tonnellate all’anno

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Torna a far parlare di sé la possibilità che il mercato del petrolio possa subire degli scossoni legati al calo della produttività in Russia, dopo una nuova ondata di attacchi ucraini a grandi impianti di raffineria. Dopo aver ricevuto un nuovo pacchetto di aiuti militari dagli Stati Uniti, l’esercito ucraino torna ad avere una quantità sufficiente di risorse per potersi dedicare agli attacchi sul territorio russo. Nelle ultime ore sono state colpite due importanti raffinerie: quella di Ilsky e quella di Slavyansk, entrambe legate soprattutto al petrolio. Sui social media stanno già girando diversi video degli attacchi, in cui è possibile notare importanti danni alle strutture critiche. Nella raffineria di Slavyansk è già arrivata la conferma del fatto che tutte le operazioni per il momento sono sospese; non ci sono ancora dei riscontri certi per quanto riguarda invece quella di Ilsky.

Il governo ucraino ha già rivendicato gli attacchi, mentre i mercati tornano a fare i conti con questa variabile di incertezza che sembrava aver già cessato di essere una preoccupazione dopo i vari attacchi avvenuti in passato. Più volte, sia l’esercito americano che le istituzioni europee hanno chiesto a Kiev di cessare gli attacchi per evitare che la scarsità di offerta sul mercato del petrolio potesse peggiorare ulteriormente. A quanto pare, però, queste domande non sono state accolte. Al momento non è ancora dato sapere quanti barili di petrolio in meno la Russia riuscirà a esportare dopo i recenti attacchi, mentre ci si attende che ne seguano altri nel corso dei prossimi giorni.

L’esclusione della Russia dal mercato del petrolio porterebbe velocemente i prezzi del barile al di sopra dei 100$

Cessate le operazioni alla raffinerie di Slavyansk

Malgrado i rinnovati inviti del governo americano a non colpire le raffinerie russe, il governo Zelenskyy ha già fatto sapere che ritiene bersagli legittimi le infrastrutture per l’estrazione e il processamento di combustibili fossili in Russia. Nel caso della raffineria di Slavyansk, un dirigente dell’amministrazione locale ha già fatto sapere che tutte le operazioni sono state cessate. Ci sono stati nove attacchi sulle infrastrutture critiche dell’impianto e ci vorranno probabilmente settimane, se non mesi, prima che le operazioni possano ricominciare. Le raffinerie russe si affidano anche in modo consistente alle componenti occidentali, più difficili da ottenere a causa delle sanzioni.

La raffineria di Slavyansk produce da sola 4 milioni di tonnellate di prodotti ottenuti dalla raffinazione del petrolio ogni anno, per cui il danno è significativo per l’export russo e non trascurabile per la quotazione internazionale del petrolio. Non ci sono state vittime e al momento non è chiaro se le infrastrutture chiave che sono state colpite all’interno della raffineria abbiano sostenuto dei danni tali da dover necessariamente richiedere una sostituzione. Nel frattempo la Russia ha già ordinato una rappresaglia per questo attacco, colpendo con missili guidati quattro centrali elettriche in Ucraina che ne sono uscite “severamente danneggiate”.

I droni ucraini riescono a colpire efficacemente anche profondamente all’interno del territorio russo

La Russia rilancia sull’aggirare le sanzioni

Mentre ci si preoccupa per la produzione di petrolio russo, le recenti sanzioni europee sul gas naturale liquefatto prodotto nel paese sono state oggetto di una nuova dichiarazione da parte del Cremlino. Il governo russo fa sapere che la Russia utilizzerà qualsiasi sistema a disposizione per aggirare le sanzioni e continuare a esportare GNL verso e attraverso l’Europa. Il Ministro dell’Energia russo Petrov ha etichettato questa mossa da parte dei governi occidentali come “ostacoli illegali e pratiche di concorrenza sleale”. Ha anche commentato che questo sarebbe uno stratagemma americano per costringere l’Unione Europea a importare una maggior quantità di gas liquefatto dagli Stati Uniti, pagando dei costi più alti e finendo per danneggiare l’economia locale più di quella russa. A distanza di oltre due anni dallo scoppio del conflitto, la questione dei combustibili fossili rimane viva quanto all’inizio.

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