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Ban coreano sugli short non piace a tutti. Banche protestano

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Il ban imposto dalle autorità della Corea del Sud sulle vendite allo scoperto delle azioni quotate sui mercati coreani non è piaciuto a tutti e in particolare ha innescato le reazioni di diverse banche internazionali, che hanno parlato addirittura di farsa ordita per scopi elettorali. Il governo di Seul, qui la notizia per chi se la fosse persa, ha imposto a partire dallo scorso 6 novembre un ban su tutte le attività di short, in risposta agli eccessivi, sempre secondo le autorità, naked short che impegnavano i titoli quotati in Corea del Sud.

Una farsa elettorale, perché la mossa ha avuto come eventuale obiettivo quello di soddisfare gli appetiti, per tanti bestiali, degli investitori locali a scapito, dice chi si lamenta, di una price discovery da effettuarsi con tutti gli strumenti possibili. Non è chiaro però se tali banche internazionali, almeno a parole sul piede di guerra, decideranno di fare alcunché.

Arrivano le proteste, forse tardive

Si continua a discutere del ban sugli short, in Corea del Sud

In verità non è la prima volta che un governo impone la sospensione delle vendite allo scoperto delle azioni quotate presso i propri mercati. È successo innumerevoli volte in passato anche in Europa – e nello specifico in Italia – per quanto ci sia letteratura scientifica da poter riempire intere librerie che indica diversi dubbi sull’efficacia di tali misure. Cosa ha provato a ottenere Seul? Semplice: l’interruzione di tutte le operazioni di short al fine di, dicono loro, bloccare attività speculative che spingevano al ribasso il valore dei titoli. Al tempo steso Seul aveva indicato la propria volontà di indagare su almeno 10 grandi banche internazionali che hanno operato naked short illegalmente.

Una mossa che per qualcuno avrà avuto la dolce musica della giustizia, ma che per altri, in particolare le banche colpite direttamente o indirettamente, è invece segnale di qualcosa che non va in Corea del Sud. Gli investitori, secondo diversi dirigenti sentiti da Financial Times, sono anche persone che votano ed è proprio per questo che la Corea del Sud avrebbe optato per misure così draconiane. In altre parole, un voto di scambio articolato, dove agli investitori locali è stata offerta una breve corsa dei titoli a scapito della regolarità del mercato. Posizioni molto dure, che non mancheranno di scatenare le solite polemiche e che faranno scuola anche per eventuali misure simili che potrebbero essere implementate in altri paesi.

Il ban durerà fino al prossimo giugno

La caccia allo speculatore funziona?

Diversi dei fondi hedge che operano nel paese hanno battuto i piedi dicendo che senza vendite allo scoperto possono più facilmente crearsi bolle sul mercato azionario. Che sia vero o meno, è presto per dirlo. I principali indici della borsa coreana sono in rialzo, per quanto modesto, rispetto alla data di implementazione delle draconiane misure di Seul.

Per quanto i sospetti di manovra populista siano più che fondati, c’è da tenere in considerazione, con il senno di poi, che tipo di effetti avrà sulla price discovery di medio e lungo periodo. Per ora un apprezzabile, per quanto contenuto, effetto positivo per il prezzo c’è stato.

Ci sarà ora da vedere se si paleserà la situazione paventata dai gestori di fondi e dalle grandi banche, ovvero la formazione di una bolla la cui espansione non sarà limitata dal provvidenziale intervento degli short, per naked o meno che siano.

Gli investitori retail hanno ottenuto per ora dei guadagni almeno sui principali indici, per quanto modesti. Chissà se saranno sufficienti a giustificare misure che renderanno il mercato coreano meno appetibile per i grandi capitali, in mancanza dei quali ogni piazza può rapidamente diventare poco liquida e poco in grado di individuare prezzi in modo efficiente.

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